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Guerra economica permanente con la Russia: in Europa sarà ordine Nato vs ordine Ue

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Il discorso di Putin del 21 febbraio è stato descritto da Enzo Reale come “ideologia revanchista”, “un discorso revisionista, che chiama in causa le decisioni prese in passato dagli stessi leader sovietici e che lascia poco spazio all’interpretazione: la riconquista dell’Ucraina è cominciata e sarà realizzata con una guerra d’aggressione”. Il discorso del 24 febbraio (forse registrato lo stesso giorno del precedente) conferma come tale revanchismo sia relativo, non ad una revisione dei confini internazionali, bensì all’esito della Guerra Fredda.

Si discuterà per decenni se tale fosse dal principio la posizione russa, oppure maturata a seguito del rifiuto americano a concedere un trattato internazionale che garantisse la finlandizzazione dell’Ucraina. Noi crediamo la seconda ma, ormai, non ha più importanza.

Così Putin, “gli eventi di oggi … riguardano la difesa degli interessi della Russia stessa, contro coloro che hanno preso l’Ucraina in ostaggio e che cercano di usarla contro il nostro Paese e il nostro popolo”, “le nostre azioni sono un’autodifesa contro le minacce”; e con intenzioni durevoli, visto che “ci impegneremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina”. Laddove, tre cose saltano all’occhio: il regime change (“denazificazione”); il riferimento all’“Ucraina” tutta intera, intendendosi che il nuovo regime non ammetterebbe operazioni tipo Donbass al contrario; la smilitarizzazione, intendendosi l’orientamento del futuro apparato di difesa ucraino, non più verso la Russia, bensì verso ovest. Una prospettiva bielorussa, insomma.

Negli auspici russi, si tratterebbe di una operazione tipo Cecoslovacchia 1968, alla peggio tipo Ungheria 1956. Ciò che non prevederebbe un’effettiva capacità e addirittura volontà dell’esercito ucraino di difendersi. Da giorni, Foreign Affairs invitava a prepararsi: “What if Russia Wins in Ukraine?” E se la Russia vincesse in Ucraina? E richiamava un altro precedente:

“Quando la Russia si è unita alla guerra civile in corso in Siria, nell’estate del 2015, ha sconvolto gli Stati Uniti e i suoi partner. Per la frustrazione, l’allora presidente Barack Obama ha affermato che la Siria sarebbe diventata un pantano per la Russia … In Siria, ciò che l’amministrazione Obama non ha previsto era la possibilità che l’intervento della Russia avrebbe avuto successo”.

Escluso un intervento armato in difesa. D’altronde, abbiamo letto tutti Robert Kaplan: “l’Ucraina conta più per la Russia che per l’Europa, figuriamoci per l’America … l’Ucraina interessa più ai russi che agli occidentali”, schernendo un eventuale intervento come “guerra per fini umanitari” che gli Usa non possono più permettersi e dando per scontato un trionfo militare russo (“l’esercito di Mosca arriva nella capitale ucraina, installa un governo fantoccio filorusso e dopo tre mesi lascia il territorio”). Poi Francis Fukuyama: “nessuno vuole mandare truppe a combattere per l’Ucraina”, fermare Putin in Ucraina “non sembra possibile ora”.

Invero, l’Ucraina non è nemmeno la posta in gioco. Per Fukuyama, sì “Kiev è il fronte della lotta globale per la democrazia”, in quanto “Putin ha affermato che la democrazia non si adatta ai popoli slavi e quindi essa, se riuscisse a prosperare a Kiev, dimostrerebbe che può farlo in Russia, senza di lui”. Ma gli obiettivi importanti sono altri, così per Kaplan, Biden “si è mosso bene, molto bene” in quanto “ha tenuto compatta la Nato, ha spinto i tedeschi a fermare il Nord Stream 2 e sta tenendo sotto pressione Mosca senza mandare truppe”. Il tutto riassumibile in un obiettivo principale: tenere compatta la Nato. Se ciò accadrà, avverte Foreign Affairs, l’apparente vittoria di Putin si trasformerà in sconfitta: “wars that are won are never won forever”, “le guerre vinte non sono mai vinte per sempre. Troppo spesso i Paesi sconfiggono sé stessi nel tempo lanciando e poi vincendo le guerre sbagliate”.

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Addentriamoci, quindi, dentro tale nuovo mondo. Primo passo, Nord Stream 2, la pietra dello scandalo. Federico Punzi ha ben spiegato la debolezza della sospensione tentata da Berlino, seguita dalla durezza delle successive sanzioni americane. Kaplan pare quasi suggerire come gli Usa abbiano praticamente invitato Mosca a non fermarsi al Donbass: il blocco del gasdotto “sposta i negoziati su un nuovo livello … avanzare con i piani per invadere Kiev, visto che il Nord Stream è chiuso”. In effetti, le sanzioni americane rendono meno facile forzare l’apertura del gasdotto nuovo ricorrendo ad una interruzione dei gasdotti vecchi che passano in Ucraina. Sicché, a questo punto, per Mosca tanto vale impossessarsi di questi ultimi, mettendoli sotto controllo e rendendoli a tal fine equivalenti al gasdotto nuovo (effettivamente, tre direttrici dell’attacco militare corrispondono ai principali ingressi in Ucraina dei gasdotti dalla Russia). Così sembra ragionare Kaplan.

Poco male, sembra dire Foreign Affairs in quanto, caduta Kiev, “l’ordine in Europa dovrà essere concepito principalmente in termini militari”. A dettare l’agenda sarà la Nato e non la Ue, giacché “la politica di difesa dell’Ue, contrariamente a quella della Nato, è ben lungi dall’essere in grado di garantire sicurezza ai propri membri” (con tanti cari saluti all’esercito europeo). E, se nella Ue comandano i tedeschi, nella Nato comandano gli americani, così Kaplan: la Nato è sempre stata controllata da Stati Uniti e Regno Unito … è stata fondata per contrastare l’Urss e su questo terreno si esprime al meglio”. Sicché, viene facile a Foreign Affairs la previsione: “gli Stati Uniti e l’Europa saranno in uno stato di guerra economica permanente con la Russia”.

Naturalmente, tale stato di cose troverà l’opposizione di parti consistenti dell’opinione pubblica dei diversi Stati europei, opposizione che potrà contare sul sostegno russo. Basti pensare alla crisi energetica, sostanzialmente inevitabile. Oppure ai rifugiati i quali, dice Foreign Affairs, “fuggiranno in più direzioni, molto probabilmente a milioni … i massicci flussi di rifugiati in arrivo in Europa esaspereranno la irrisolta politica dell’Ue in materia di rifugiati ed offriranno terreno fertile ai populisti”; tanto più visto che, a redistribuirli, saranno quelle stesse Polonia e Ungheria che, sin qui, hanno sempre rifiutato la redistribuzione dei rifugiati che giungono dal Mediterraneo. Ma pure all’aumento delle spese militari: “una più ampia invasione russa dell’Ucraina dovrebbe spingere ogni membro Nato ad aumentare le proprie spese per la difesa. Per gli europei, questa sarebbe l’ultima occasione per migliorare, in tandem con gli Stati Uniti, le capacità difensive dell’Europa, in modo da aiutare gli Stati Uniti a gestire il dilemma russo-cinese”.

Come ottenerlo? Beh, con l’evidenza della minaccia. Della quale, la conquista manu militari di Kiev sarà incancellabile testimonianza ed i rifugiati vivente dimostrazione. Già Fukuyama spiega che Putin mira a “tutto l’ex Patto di Varsavia” (mentre Kaplan parla solo di “Stati baltici”) ed aggiunge come l’argomento sia destinato ad avere successo pure in Svezia e Finlandia. Foreign Affairs si dice speranzosa che funzioni persino con la Turchia, ancorché in termini dubitativi. Il problema, semmai, sono gli Stati dell’Europa occidentale. Fukuyama segna a dito “Le Pen e Zemmour in Francia, o Salvini in Italia”, ma li considera contenibili.

Fukuyama segna a dito pure Trump e così pure Foreign Affairs: “L’elezione di Donald Trump o di un candidato trumpiano potrebbe distruggere le relazioni transatlantiche nell’ora di massimo pericolo per l’Europa, mettendo in discussione la posizione della Nato e le sue garanzie di sicurezza per l’Europa”. Il che è fortemente discutibile visto che, nello scenario che stiamo descrivendo, alla fine Biden otterrebbe parecchio di ciò che Trump aveva desiderato: basti pensare al blocco di Nord Stream 2.

Un’Europa così, riarmata e diretta dalla Nato sarebbe, per Foreign Affairs, “a well-functioning, peaceful Europe”, un’Europa pacifica e ben funzionante, capace di “potenziare la politica estera americana”; il contrario di una “destabilized Europe”, “se l’Europa è destabilizzata, gli Stati Uniti saranno molto più soli al mondo”. Laddove par lecito interpretare che l’Europa è destabilizzata già oggi, a prescindere dall’affare ucraino. E par lecito ricordare che l’Europa di oggi è l’Europa lasciata da Merkel: l’Europa tedesca.

Insomma, l’intera faccenda sarebbe riassumibile correggendo il menzionato obiettivo principale: da “tenere compatta la Nato” come oggi a “tenere compatta la Nato” come una volta. Ricompattarla, insomma. Ricostruire l’Occidente, se il lettore preferisce.

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E noi italiani? Siamo pregati di allinearci, così Kaplan: la Nato “è essenzialmente un’alleanza del Centro e Nord Europa che richiede ai Paesi del Sud – come l’Italia e la Grecia – di allinearsi … Capisco le preoccupazioni dell’Italia per il Mediterraneo, la crisi libica, il Sahara e i profughi figli delle guerre e crisi mediorientali. Ma non sono temi nelle corde della Nato”.

Verranno rifugiati ucraini? Beh abbiamo integrato assai bene oltre un milione di rumeni e un quarto di milione di ucraini. Semmai il problema sarà la crisi economica, in un contesto di interruzione dei commerci con la Russia e conseguente crisi energetica; tanto più se accompagnata da un aumento delle spese militari. Qui i casi sono due: 1) il problema non sarebbe insormontabile se nel contesto di una politica economica espansiva come quella dei decenni della Guerra Fredda, nei quali ha comandato la Nato cioè l’America. Orbene, sulle intenzioni espansive per sé stessa dell’America di oggi non c’è alcun dubbio, ma resta da conoscere la sua consapevolezza di dover imporre la medesima espansione pure qui da noi; 2) al contrario, il problema sarebbe insormontabile se continuasse la politica economica recessiva degli ultimi tre decenni, nei quali ha comandato la Ue cioè la Germania. In tale secondo deprecato caso, prima o poi l’Italia si consegnerebbe ad una opposizione politica popolare, motivata, e inevitabilmente russa nel senso di simpatetica con Mosca. Non vogliamo credere che a Washington siano così infinitamente stupidi.

Considerazioni che valgono, pure e almeno altrettanto, per la Francia. Perciò fa veramente ridere Daniel Gros su La Stampa, quando ingiunge a Roma di “rimanere attaccata all’asse Berlino-Parigi senza cedimenti”: quale asse Berlino-Parigi? Ah Fritz, ma non vedi che sei solo!?

Naturalmente, ciò aggrava il problema per Berlino, la quale dovrebbe subire, non solo l’interruzione dei propri commerci e forniture energetiche, ma pure una politica economica che sa di non volere. Pure qui i casi sono due: 1) O Berlino negozia con Washington un ritorno allo status quo delle precedenti crisi energetiche: pure se gli Stati Uniti erano divenuti inflazionisti, una Germania fermamente nella Nato persisteva tenacemente deflazionista, nel senso di sistematicamente accettare la rivalutazione del Marco tedesco, come prezzo per non inflazionare pure lei. In tale primo caso, i rapporti monetari fra la Germania e l’Italia (e, più in generale, fra il paese germanico ed il paese latino) torneranno indietro a 40 anni fa; 2) Oppure Berlino si ribella e si trasforma in Grande Svizzera. Pure in tale secondo caso, i rapporti monetari fra la Germania e l’Italia torneranno lo stesso indietro a 40 anni fa. Ma sarebbe il meno: oltre all’Euro, esploderebbe pure la Nato (ciò che gli Usa non saprebbero permettere) ed esploderebbe pure la Ue (ciò che non può piacere ai tedeschi). La tentazione a Berlino sarà forte: quella di far partire Nord Stream2; quella di giocare la Ue contro la Nato (già ieri Scholz rispondeva alla proposta di espellere la Russia da SWIFT con l’opposizione “della Germania e della Ue”); di giocare Bce (finché c’è) contro la Nato, esasperando la crisi di qualche altro Paese membro alla maniera greca, in modo da farlo ribellare per primo. Tutti rischi dei quali immaginiamo che a Washington siano avvertiti.

Insomma, noi italiani avremo l’interruzione dei commerci con la Russia, la conseguente crisi energetica e l’aumento delle spese militari … ma potremmo avere pure la moneta e la politica economica che ci meritiamo: sia nel senso di compatibili con lo “stato di guerra economica permanente con la Russia”, sia nel senso di non insensate come la moneta e la politica economica imposteci da Berlino. Andrà così? Beh, lo si può sperare. Per lunghi decenni, l’ordine in Europa venne concepito primariamente in termini militari, perciò a dettare l’agenda era la Nato, e l’Italia prosperò. Con la caduta del Muro di Berlino, l’ordine in Europa venne concepito primariamente in termini finanziari, perciò a dettare l’agenda era la Ue, e l’Italia andò ai cani. Oggi l’ordine in Europa torna ad essere concepito primariamente in termini militari, perciò a dettare l’agenda torna ad essere la Nato. Cari amici americani, volete voi che l’Italia vi segua per davvero? Liberateci dal giogo monetario tedesco e consentiteci, così, di seguirvi e tornare a prosperare.