Mentre è in corso al Palazzo di Vetro di New York l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il segretario generale Antonio Guterres ha deciso di affrontare la questione dei risarcimenti per i danni causati dalla tratta transatlantica degli schiavi africani. Lo ha fatto pubblicando un rapporto nel quale si deplora che finora nessun Paese ne abbia affrontato l’eredità attuale, le sue conseguenze.
Cosa dice il rapporto
“Nel contesto dei torti e dei danni storici subiti a causa del colonialismo e della schiavitù – si legge nel rapporto – la valutazione del danno economico può essere estremamente complicata a causa del tempo trascorso e della difficoltà di identificare gli autori e le vittime. Tuttavia, la difficoltà di avanzare una richiesta legale di risarcimento non può essere la base per annullare l’esistenza di obblighi legali”. Gli Stati colpevoli, conclude il rapporto, dovrebbero quindi prendere in considerazione una “pluralità di misure per affrontare le conseguenze della riduzione in schiavitù e del colonialismo tra cui perseguire la giustizia, offrire riparazioni e contribuire alla riconciliazione”.
Idea non nuova
L’idea che i responsabili della tratta transatlantica degli schiavi africani debbano risarcire in denaro le vittime, ovvero i loro discendenti, o fare ammenda in qualche altro modo non è nuova. Più volte è stata avanzata in contesti internazionali nel corso dei decenni, ad esempio in occasione della Conferenza mondiale contro il razzismo, svoltasi a Durban nel 2001. All’epoca si erano fatti avanti degli studi legali disponibili ad assistere gli afroamericani che intendessero avviare cause di risarcimento.
Se ne è parlato anche di recente, al vertice dei leader dell’Unione europea e della Comunità di stati latino americani e caraibici svoltosi a luglio, a Bruxelles, dove è stato concordato un piano di riparazione in dieci punti che include l’esortazione ai Paesi europei a chiedere formalmente scusa per la tratta degli schiavi e prevede tra l’altro un programma di rimpatrio assistito per gli afroamericani che desiderassero trasferirsi in Africa. Il documento finale contiene un paragrafo in cui si dice che la schiavitù e la tratta transatlantica degli schiavi sono state “tragedie spaventose… non solo a causa della loro abominevole barbarie, ma anche in termini di dimensioni”.
E la tratta arabo-islamica?
Mentre la questione della tratta transatlantica è stata più volte affrontata, nessuno invece ha mai pensato ai torti e ai danni provocati dall’altra tratta degli schiavi africani, quella arabo-islamica che, per barbarie e dimensioni, ha avuto conseguenze ancora più tragiche. La tratta transatlantica, europea, è durata quattro secoli, tra il XVI e il XIX, quella arabo-islamica è stata praticata per 13 secoli, dal VII al XIX. Si stima che circa 12 milioni di persone siano state deportate nelle Americhe attraverso l’Oceano Atlantico, da 14 a 17 milioni nei Paesi arabi attraverso l’Oceano Indiano.
Ogni anno il 25 marzo si celebra la Giornata internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 2007 per “onorare e ricordare coloro che hanno sofferto e che sono morti per mano di questo brutale sistema schiavistico” e per “diffondere la consapevolezza dei pericoli oggi del razzismo e del pregiudizio”. Nel 2023, come sempre, Guterres per l’occasione ha diffuso un messaggio. Vi si legge:
La malvagia attività della riduzione in schiavitù è durata oltre 400 anni. Milioni di bambini, donne e uomini africani sono stati vittime della tratta attraverso l’Atlantico, strappati alle loro famiglie e alle loro terre d’origine: le loro comunità distrutte, i loro corpi mercificati, la loro umanità negata. La storia della schiavitù è una storia di sofferenza e barbarie che mostra il lato peggiore dell’umanità. Eppure l’eredità della tratta transatlantica degli schiavi ci perseguita ancora oggi. Possiamo tracciare una linea retta dai secoli di sfruttamento coloniale alle disuguaglianze sociali ed economiche di oggi. E possiamo riconoscere i cliché razzisti resi popolari per razionalizzare la disumanità della tratta degli schiavi nell’odio suprematista bianco che sta rinascendo oggi.
Pregiudizio anti-occidentale
Nessun giorno invece ricorda le vittime della tratta arabo-islamica. La scelta delle Nazioni Unite di commemorare solo una tratta, quella transatlantica, è parte delle campagne antioccidentali alle quali l’Onu partecipa da decenni, quando non è essa stessa a promuoverle, che mirano a condannare la civiltà occidentale come la peggiore, responsabile di tutti i mali del pianeta.
Guterres nel suo rapporto e nel discorso pronunciato il 25 marzo parla anche dei danni causati dal colonialismo, senza specificare quale, evidentemente dando per scontato che sia da intendere quello europeo. Ecco un altro esempio clamoroso di colpevole omissione, perché quella europea non è stata l’unica colonizzazione del continente africano, bensì la terza.
La colonizzazione Bantu
La prima, forse la più cruenta, risale al primo millennio dopo Cristo ed è stata realizzata dal grande gruppo etno-linguistico dei Bantu. Si è trattato di una migrazione plurisecolare grazie alla quale la lavorazione del ferro e l’agricoltura sono state introdotte in gran parte delle regioni subsahariane. I Bantu però hanno respinto le etnie dedite alla pastorizia nelle grandi savane semiaride e hanno decimato i cacciatori-raccoglitori, costringendoli a ritirarsi nelle foreste e nei deserti, gli ambienti più inospitali dove tuttora sopravvivono, disprezzati ed emarginati.
La colonizzazione arabo-islamica
Nel VII secolo è incominciata la seconda colonizzazione del continente, anch’essa devastante per violenza e impatto. È quella arabo-islamica che, partendo dall’Arabia Saudita pochi anni dopo la morte del profeta Maometto avvenuta nel 632 dopo Cristo, ha conquistato il nord Africa per poi proseguire più lentamente verso sud. Ha imposto l’islam, al quale molte etnie si sono convertite, sistemi politici meglio organizzati, contatti economici più estesi e complessi. Ma quasi subito le merci più richieste del commercio a lunga distanza sono diventate alcuni prodotti animali – zanne di elefante, pelli… – e gli esseri umani.
Tornando alle tratte degli schiavi africani, entrambe sono state rese possibili perché la schiavitù era praticata in Africa e perché gli africani vi hanno preso parte, indispensabili per rifornire di schiavi i mercati locali dove venivano scambiati con denaro e merci. I negrieri africani ne hanno tratto profitto tanto quanto quelli europei e arabi e, con loro, i territori costieri – specialmente gli attuali Stati di Senegal e Gambia, a ovest, di Kenya e Tanzania, a est – in cui sorsero i principali centri commerciali.
Guterres non deve averci pensato, ma questo complica ulteriormente l’individuazione dei responsabili e dei Paesi che oggi dovrebbero chiedere formalmente scusa e risarcire per i danni inflitti.