Giulio Meotti è una delle poche voci schiettamente filoisraeliane del panorama giornalistico italiano. Con i suoi articoli per Il Foglio, i suoi libri e la sua newsletter, persevera nel raccontare la profonda crisi culturale in cui si dibatte la civiltà occidentale. Su Israele scrive da anni con passione e precisione, allo scopo di smentire le menzogne che su di esso che vengono costantemente propalate.
I barbari in mezzo a noi
DAVIDE CAVALIERE: Vorrei partire dal suo ultimo libro, “Il sabato nero. La distruzione d’Israele, i barbari e l’Europa“. I barbari del sottotitolo sono certamente i terroristi di Hamas, ma potremmo chiamare “barbari” anche gli occidentali del presente?
GIULIO MEOTTI: I barbari occidentali sono di gran lunga peggiori dei barbari islamici. La Jihad la conosciamo bene. Chi sono invece questi utili idioti che vivono in mezzo a noi, che brandiscono la foto di Sinwar, che chiamano Hamas “resistenti”, che negano gli stupri al Nova Festival e che concordano con Khamenei su Israele “entità” da smantellare?
Di questi barbari sono piene le tv, le case editrici, i giornali, le ong, l’Onu, le cancellerie, le università. Sono la colonna sonora della disfatta occidentale, anche quando si presentano come “amici” di Israele e invocano la resa della democrazia sotto attacco. Il nuovo antisemitismo si presenta anche sotto la maschera della “critica a Israele”. Mai visti tanti doppi e tripli standard come contro lo stato ebraico.
Gli ebrei in Europa
DC: Le piazze delle principali città europee e americane si riempiono di manifestanti filo-palestinesi, e dunque filo-Hamas. Il legame tra l’immigrazione musulmana e lo sviluppo dell’antisemitismo è evidente, ma per molto tempo è stato impossibile denunciarlo. Quali sono le cause di questa censura? Gli ebrei hanno ancora un futuro in Europa?
GM: L’islamizzazione, prima causa. Il peso elettorale dei musulmani, seconda, dall’Inghilterra al Belgio. La paura di finire scannati, la terza. E quella antica e malsana abitudine europea a flirtare con l’antisemitismo. No, gli ebrei non hanno un futuro in Europa come collettività. Rimarranno comunità ebraiche in Francia, in Inghilterra e in Germania, i soli tre Paesi con numeri significativi. Ma come storia secolare, è finita.
Robert Wistrich, compianto storico dell’antisemitismo, dava agli ebrei europei ancora un paio di decenni. Nei prossimi anni vedremo quel che resta dell’ebraismo europeo post-Shoah dimezzarsi, nascondersi, diventare “discreto”. Un po’ come i marrani sotto l’Inquisizione. Lo vediamo oggi: via le kippah, via i cognomi ebraici dalle cassette delle lettere, via le stelle di David al collo.
Il ritorno dei confini
DC: Per la sua newsletter scrive con frequenza della crisi d’identità che attanaglia l’Occidente. L’Homo Europaeus è stretto tra i liquidatori organizzati della sua cultura e gli islamisti. A suo avviso quale sarà il destino della nostra civiltà post-cristiana e post-nazionale?
GM: Il Cristianesimo in Europa è finito da tempo, ora è entrato nella sua fase “zombie”. I numeri sono impietosi. Ma a chi importa? Forse neanche al Papa, che a Notre-Dame non va. Aveva ragione Ratzinger: sopravviveranno piccole minoranze cristiane.
Lo stato-nazione invece tornerà in auge a causa dei flussi migratori. Lo vediamo con la crisi di “Schengenland”, il ritorno ai controlli dei confini da parte di Paesi, come Svezia e Germania, che pensavano di vivere in una La La Land. L’Unione europea può sopravvivere soltanto così, con il ritorno alle frontiere esterne del blocco. Oppure verrà spazzata via dal “Grande Pan”, come lo chiamò Ezra Pound nel 1968.
L’ondata delle destre
DC: Di fronte alle reazioni degli europei allo stato di cose presenti, dai successi elettorali di AfD in Germania fino alle rivolte in Inghilterra, le élites intellettuali e politiche reagiscono parlando di “fascismo” o “propaganda russa”. Da dove deriva questa loro incapacità di comprendere la realtà?
GM: Prima di tutto fanno di tutta l’erba un fascio, mentre AfD, Wilders, Brexit, Le Pen, Meloni etc sono fenomeni molto diversi. AfD è antisemita, Brexiter e Wilders sono filosemiti. La propaganda russa agisce dove meglio può, come una talpa che scava e come in AfD. Ma liquidare il grande ritorno della questione identitaria in Europa, a seguito dello choc di civiltà e dello sconquasso demografico migratorio, come un complotto, non farà che peggiorare la crisi.
Il fascismo invece è morto nel 1945, anche se non abbiamo mai visto tanti antifascisti come oggi. Prima le élite cambiano registro, prima e meglio sapremo salvare quel che resta dell’ordine occidentale. Ma lo vogliono davvero? A me non pare. Il woke è un veleno mortale.
La risposta di Israele
DC: Venendo più strettamente a Israele: come giudica, nel complesso, la risposta israeliana al massacro del sette ottobre?
GM: Luci e ombre. Israele ha dimostrato di essere ancora un Paese capace di difendersi, persino dopo un evento senza precedenti come il 7 ottobre: 1.200 morti, 200 rapiti, decine di kibbutz e moshav assaltati e conquistati per ore da Hamas, stupri, mutilazioni, famiglie assassinate, vecchi donne bambini, il fallimento dell’esercito, della politica, dell’intelligence, ma anche della società, perché Israele veniva da mesi di boicottaggi incrociati nelle piazze e nella politica. Israele aveva mostrato il suo ventre molle, che gli islamisti sanno attaccare molto bene. Israele ha riportato Hamas indietro di 20 anni e ora dovrà fare altrettanto con Hezbollah.
Ombre anche, perché le democrazie occidentali, tutte diritti e conquiste materiali e un po’ ubriache della “fine della storia”, si sono dimostrate fragili di fronte alla Jihad. L’America è stata spazzata via dall’Afghanistan dopo 20 anni di protettorato occidentale. Cosa resta? Niente, neanche l’insegna dell’aeroporto Internazionale Karzai. In Iraq, sappiamo come è andata. In Iran resistono gli ayatollah nel Paese che era il più tollerante e laico del Medio Oriente. Le primavere arabe sono state un inverno islamico e abbiamo evitato l’era glaciale solo con altri colpi di stato.
Hamas è popolare a Gaza come in Cisgiordania. Si prepareranno al prossimo 7 ottobre. Hanno pazienza, numeri, tempo e risorse illimitate da parte di Paesi come il Qatar. Israele potrà resistere in questo deserto come villa nella giungla? La domanda è lecita e atterrisce. Esiste semplicemente un limite a ciò che un Paese così piccolo, anche quello scampato ad Auschwitz, può sostenere.
Questo Paese è così piccolo che il suo nome non sta nemmeno su una mappa. Non puoi difendere una nazione ad alta tecnologia da un’orda di barbari. In questo caso vale ciò che una volta Osama bin Laden disse così eloquentemente: “Voi amate la vita, noi amiamo la morte”. E tu non puoi molto e molto a lungo contro milioni di barbari che amano la morte. Non è terribile, pensarci?
DC: Benjamin Netanyahu è forse il leader politico più vituperato del momento. Quale giudizio ha maturato sulla sua figura?
GM: Netanyahu ha tanti difetti, dall’ego alla tendenza ad assumersi i meriti e mai le colpe. Ma alla prova dei fatti, resta l’unico politico israeliano oggi in grado di tenere testa persino all’America, che vorrebbe Israele mansueto, vassallo, sugli attenti. Fu così sotto Obama e ora sotto Biden. Se ci presentano una valida alternativa, è il momento.
Libano stuprato
DC: Si profila all’orizzonte un nuovo conflitto con il Libano. Col senno di poi, se il Paese dei cedri fosse rimasto in mano ai cristiani maroniti di Gemayel, come sperava Begin, oggi verserebbe in una condizione migliore?
GM: Il Libano è stato distrutto prima dai palestinesi, poi da siriani e infine dagli iraniani. Era la “Svizzera del Medio Oriente”. Oggi è uno stato fallito, in preda alla corruzione endemica e alle bande. Una storia molto triste. I cristiani se ne andranno in gran numero.
Un conto aperto con gli ebrei
DC: Lo stupro delle israeliane il 7 ottobre è stato chiamato “resistenza”, la detonazione dei cercapersone di Hezbollah, invece, sarebbe un “crimine di guerra”. Ogni tattica adottata da Israele è considerata illegittima perché proviene dallo Stato ebraico e perché l’Occidente non riesce a tollerare l’ebreo che si difende. Quali sono le cause di questa incapacità di accettare uno Stato ebraico combattivo?
GM: È una questione puramente psicologica: non sopportiamo un occidentale in armi, forte, che non si arrende, che ha una identità, che se la gioca a testa o croce, che non accetta il ricatto emotivo e umanitario occidentale. E visto che i popoli occidentali (tranne ancora un po’ gli americani, ma anche loro secondo me se ne stanno andando) sono remissivi, deboli e fluidi, Israele scatena i peggiori istinti.
Oggi ci sono 14 milioni di ebrei in tutto il mondo. E a quanto pare la gente è infastidita da quei 14 milioni. Non so perché, ma a quanto pare il mondo ha un conto in sospeso con gli ebrei. E per dirla ancora più chiaramente: il lavoro abbandonato a metà del 1945 doveva essere portato a termine. Questa volta “dal fiume al mare”.
DC: Lei ha scritto un libro tragico ma pieno di speranza, “Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele“. Nonostante quest’ora buia, lei crede che Israele sopravvivrà?
GM: Sì certo. Dobbiamo crederlo. Ho definito Israele “l’ultimo Paese europeo”. Sarà un Paese da 15 milioni, pieno di bambini. Ma dovrà sempre pagare un prezzo altissimo per restare quello che è, una enclave ebraica e occidentale miracolosa che resiste nella giungla. Noi occidentali dovremmo aiutarlo a rendergli il lavoro meno gravoso. In fondo, Israele ci para a tutti il culo.