Quasi 200 missili su Israele. L’Iran stavolta ha deciso di attaccare a volto scoperto, non attraverso i suoi gruppi terroristi, Hezbollah, gli Houthi, o le milizie in Siria e Iraq, ma lanciando missili balistici a raggio intermedio direttamente dalle rampe iraniane contro bersagli in Israele.
La difesa anti-missile ha funzionato
La difesa anti-missile israeliana ha dato ancora una volta una buona prova di sé. Gli ordigni diretti ad aree disabitate e prive di importanza strategica sono stati lasciati passare, quelli diretti ad aree abitate e sensibili intercettati e distrutti in aria. Ancora presto per fare valutazioni, ma se 200 missili balistici hanno provocato il ferimento di due persone e niente altro, possiamo già parlare di un altro flop iraniano.
E si trattava di un compito molto più arduo rispetto al 13 aprile scorso, quando l’Iran lanciò una salva di lenti droni “suicidi” molto lenti e facilmente intercettabili, prima di tirare anche i missili. Anche questa volta gli alleati di Israele sono intervenuti per proteggerne i cieli. Gli Usa hanno partecipato all’intercettazione dei missili iraniani con tre cacciatorpediniere in navigazione nel Mar Rosso.
Le incertezze Usa
In queste ore, mentre questo articolo va online, sia negli Usa che in Israele i rispettivi governi sono nelle loro war room a decidere come rispondere e quando. Tira aria di resa dei conti. L’Iran sembra che abbia fatto apposta a decidere di lanciare un attacco nel giorno del centesimo compleanno di Carter, il presidente che subì il primo atto di terrorismo iraniano, la cattura del personale dell’ambasciata Usa a Teheran, che determinò anche la sua successiva sconfitta elettorale.
Gli Usa di Biden, sotto elezioni, sembrano riflettere lo stesso atteggiamento, fra la sorpresa e la timidezza, oltre alla paura di una guerra in Medio Oriente proprio quando si deve votare. Israele è determinato a rispondere, ma deve comunque attendere le decisioni degli Usa, con cui è strettamente coordinato.
Il messaggio di Netanyahu
Un alleato migliore può arrivare… dall’Iran stesso. L’Iran è nemico di Israele, perché è ostaggio, dal 1979, di un regime oggettivamente criminale. Questo regime ha dirottato l’Iran e lo ha spinto alla guerra contro i suoi ex alleati di lunga data: Usa e Israele. Ma gli iraniani non sono il loro regime.
È agli iraniani comuni che si è rivolto il premier Benjamin Netanyahu, all’indomani dell’uccisione di Hassan Nasrallah: “Ogni giorno, vedete un regime che vi soggioga, fa discorsi infuocati sulla difesa del Libano, sulla difesa di Gaza. Eppure ogni giorno, quel regime fa sprofondare la nostra regione sempre più nell’oscurità e nella guerra. Ogni giorno, i loro burattini vengono eliminati. Chiedete a Mohammed Deif. Chiedete a Nasrallah”.
E non solo: chiedete anche a Ismail Haniyeh, capo di Hamas, ucciso proprio mentre era in visita a Teheran, con una bomba ben piazzata in un palazzo dove sono ospitati i veterani di guerra.
Dice sempre Netanyahu agli iraniani comuni: “Immagina se tutti i soldi che il regime ha sprecato in armi nucleari e guerre straniere fossero investiti nell’istruzione dei tuoi figli, nel miglioramento della tua assistenza sanitaria, nella costruzione delle infrastrutture della tua nazione, acqua, fognature, tutte le altre cose di cui hai bisogno. Immaginalo”.
Gli iraniani contro il regime
Secondo un vecchio mantra, gli iraniani, se attaccati, farebbero prevalere il loro istinto nazionalista e si stringerebbero attorno al loro regime, contro Israele, gli Usa o chiunque attaccasse il loro paese. Può darsi che sia ancora così, ma dopo due anni di manifestazioni contro il regime, nate a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini (ragazza uccisa dalla Polizia Morale solo perché portava il velo, ma in modo non appropriato), dopo due anni di repressione feroce, dopo il record mondiale di esecuzioni capitali raggiunto nel 2023, lo scollamento fra popolo e regime non è mai stato così grande.
Gli iraniani sono bombardati tutti i giorni dalla propaganda islamica per la causa palestinese, ma rispondono con uno scetticismo sempre più evidente. Solo qualche esempio, tutt’altro che esaustivo, ma significativo. Nel 2020, all’ingresso dell’università di Teheran, le autorità avevano steso una bandiera israeliana e una americana per terra, in modo da farle calpestare dagli studenti che entravano. Ebbene: tutti cercavano di aggirarle ma non calpestarle. Probabilmente, più che per amore di Israele o degli Usa, per disobbedire a chi ordinava loro di odiarli.
In occasione della guerra a Gaza, il 9 ottobre 2023 (due giorni dopo il pogrom scatenato da Hamas) a una partita giocata nello stadio di Teheran, i tifosi hanno urlato slogan contro la bandiera palestinese issata dalle autorità. “Quella bandiera, ficcatevela…” si può capire dove, cantavano i tifosi, in coro.
Terzo esempio: feste in piazza per la morte del presidente Ebrahim Raisi, detto “il boia di Teheran”, per aver condannato a morte decine di migliaia di dissidenti in veste di giudice e poi di dirigente politico. Al lutto ufficiale, gli iraniani comuni hanno risposto tirando i fuochi d’artificio la notte stessa in cui hanno ricevuto la notizia della morte di Raisi, deceduto in un incidente d’elicottero mentre tornava da una visita di Stato in Azerbaigian.
Questi saranno tutti piccoli episodi, ma sono straordinari considerando che avvengono all’interno di un regime islamico. In tutti i Paesi musulmani, anche quelli laici, si fa a gara a calpestare o bruciare la bandiera di Israele, non si sono mai viste dimostrazioni di segno opposto, né si sono mai uditi cori di stadio contro la bandiera palestinese, un feticcio in tutto il mondo islamico.
Per questo dice il vero Netanyahu quando, rivolgendosi all’iraniano comune, afferma: “Da Qom a Esfahan, da Shiraz a Tabriz, ci sono decine di milioni di persone buone e perbene con migliaia di anni di storia alle spalle e un futuro brillante davanti a loro. Non lasciare che un piccolo gruppo di teocrati fanatici distrugga le tue speranze e i tuoi sogni”.
La soluzione è a Teheran
La chiave di volta di tutte le crisi in Medio Oriente è l’Iran. Il governo Netanyahu lo ha capito da subito e lo aveva compreso molto bene anche l’amministrazione Trump che, nei quattro anni di governo, aveva isolato il regime islamico, lo aveva sanzionato e indebolito. Prima di Donald Trump, i neoconservatori avevano sempre individuato, in una potenziale rivoluzione anti-ayatollah in Iran, la possibile soluzione definitiva per la pace in Medio Oriente.
Hezbollah, Houthi, milizie siriane, milizie irachene, tutti gli agenti di destabilizzazione mediorientale, incluso Hamas, rispondono ormai solo al regime di Teheran. Rovesciarlo, possibilmente facendo leva sul popolo iraniano, sarebbe come tagliare la testa dell’idra.