Esteri

I motivi inconfessabili dietro le pressioni di Biden su Netanyahu

La Casa Bianca guarda solo alle chance di rielezione: più in crisi nei sondaggi, più critica Israele per arrestare l’emorragia di consensi della base Dem

Biden guerra Israele Gaza

La “reazione sproporzionata”

Anche il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani è caduto nella retorica onusiana e filo-palestinese della “reazione sproporzionata”. C’è da apprezzare Israele, in effetti, per la sua reazione “sproporzionata”. Perché, se la sua fosse stata una reazione proporzionata ai crimini commessi da Hamas il 7 ottobre scorso – ma in realtà almeno da quando è al potere a Gaza – si sarebbe macchiato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di genocidio.

Se qualcuno può portare uno straccio di prova, anche un sospetto, che qualcosa di simile a quanto commesso da Hamas sia avvenuto, casi concreti in cui le forze di difesa israeliane abbiano intenzionalmente preso di mira e massacrato civili lontani da obiettivi militari, allora dovrebbe essere accusato, semmai, di reazione proporzionata.

No, non è una prova il semplice conteggio delle vittime presunte civili – non verificabile perché fornito da Hamas e dalle agenzie Onu la cui complicità consapevole o meno con i terroristi è ormai stata esposta. Su Atlantico Quotidiano abbiamo ricordato cosa dice il diritto internazionale, non è una prova di crimine di guerra o di “reazione sproporzionata” il semplice fatto – comunque da verificare – che siano morti più civili palestinesi che israeliani, perché messa in questi termini, sul banco degli imputati a Norimberga ci sarebbero dovuti essere i comandi Alleati.

I motivi di Biden

Le parole di Tajani si spiegano purtroppo con l’adesione italiana al clima di pressione su Israele che viene sempre più alimentato da Washington per motivi inconfessabili, perché ignobili – e dai quali il governo Meloni si dovrebbe tenere a debita distanza. Mentre Israele sta combattendo per la sua stessa esistenza, per debellare un’organizzazione terroristica genocidaria, l’amministrazione Biden è unicamente preoccupata dalle chance di rielezione del presidente in carica.

Più il presidente Biden sembra tracollare nei sondaggi, più si sforza di recuperare la base radicale, anti-israeliana e persino pro-Hamas del suo partito. E lo fa aumentando l’intensità e la frequenza delle sue critiche e dei suoi appelli al governo israeliano – ora persino insultando in privato il primo ministro Benjamin Netanyahu, definito un testardo “str” – e sostenendo pubblicamente che la risposta di Israele al peggior massacro di ebrei dai tempi dell’Olocausto è “esagerata”, nel patetico tentativo di nascondere all’elettorato del suo stesso partito il poderoso – e doveroso – sostegno militare Usa.

Fermare Israele

Inizialmente, l’obiettivo di distruggere Hamas era stato condiviso e sostenuto dall’amministrazione Biden, ma ora il presidente e la sua squadra sembrano intenzionati a fermare Israele prima che il lavoro sia finito, come purtroppo avevamo intuito quasi subito. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha affermato che un’operazione israeliana a Rafah sarebbe un “disastro” e “non qualcosa che sosterremmo”.

Né si può sostenere che il problema sia Netanyahu, dal momento che portare a termine la distruzione di Hamas è un obiettivo ampiamente e trasversalmente condiviso in Israele – anche da Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra che sarà il principale rivale di Netanyahu alle prossime elezioni, il quale ha ribadito che “non c’è dubbio sulla necessità di agire ovunque ci sia terrore. Un’ampia azione a Rafah, come abbiamo detto in passato, non è in discussione”.

L’operazione a Rafah

E il caso tra l’altro ha voluto che proprio mentre veniva condannata l’operazione israeliana a Rafah, al confine con l’Egitto, grazie ad un blitz militare Israele riusciva a liberare alcuni ostaggi, mostrando così la necessità di non escludere un solo metro quadrato di territorio di Gaza.

Due messaggi chiari al presidente Biden. Innanzitutto, le operazioni a Rafah sono necessarie per distruggere Hamas. In secondo luogo, gli ostaggi possono essere liberati con azioni militari e non semplicemente attraverso negoziati il cui fine manifesto è indurre Israele ad abbandonare i suoi legittimi obiettivi bellici – in pratica salvare ciò che resta di Hamas.

Biden spera di riuscire a convincere Israele ad accettare un accordo sugli ostaggi che non solo comporterebbe il rilascio di un numero enorme di prigionieri di Hamas ma anche un cessate-il-fuoco di diversi mesi, con l’obiettivo di renderlo permanente, proprio nel momento in cui Israele potrebbe non essere così lontano dallo smantellamento di Hamas a Gaza. E tutto questo al solo scopo di arrestare l’emorragia di consensi interni.

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