Esteri

I punti di forza della campagna Trump e il panico in casa Dem

Attacchi e insulti: Harris paragona Trump a Hitler e Biden chiama “spazzatura” i suoi sostenitori, mentre The Donald punta su pochi temi che stanno a cuore alle persone comuni

Trump garbage truck (C-span)

Mancano pochi giorni, quando gli occhi di tutto il pianeta saranno nuovamente puntati sulla più grande democrazia del mondo che, nonostante le sue imperfezioni, continua a esercitare a degno titolo il ruolo di leader del mondo libero. Il clima si fa sempre più rovente per quelle che si apprestano a essere, a detta di tutti i sondaggisti, le elezioni più combattute degli ultimi anni.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad una netta risalita di Donald Trump nei sondaggi. Mai come prima l’ex presidente era entrato in una corsa presidenziale con dati così incoraggianti per lui. Sarebbe alquanto incauto parlare di favorito sulla base di tali rilevazioni, ma la sensazione che qualcosa possa mandare per aria il blitz orchestrato in estate della famiglia Obama, con la complicità dei media progressisti, per spianare le porte della Casa Bianca a Kamala Harris è sempre più concreta.

Guerre e inflazione

Il nervosismo in casa Dem è alle stelle, la paura di perdere questa volta è ancora più concreta che nel 2020. Adesso non c’è solo il Covid, ma scenari di guerre in più aree del mondo alle quali gli Stati Uniti, durante la presidenza Biden, hanno assistito con impotenza o complicità. Come nel caso della frettolosa fuga dall’Afghanistan, uno dei disastri più gravi nell’immaginario collettivo statunitense, paragonabile solo alla caduta di Vietnam nel 1975. Allora, quelle immagini così dolorose costarono la presidenza a Gerald Ford.

A questo si aggiunge un’inflazione alle stelle, con i beni nei supermercati che hanno raggiunto prezzi folli, la crescita della disoccupazione che in alcuni stati chiave come il Michigan o la Pennsylvania potrebbero voler dire molto e una situazione migratoria al collasso. E pensare che la migrazione è stato l’unico dossier affidato a Kamala Harris durante l’amministrazione Biden, un disastro totale.

Panico in casa Dem

Il terrore Dem che tutto stia per crollare lo si evince persino dai toni della campagna elettorale, i quali si fanno sempre più aspri man mano che il sentiment positivo nei confronti del candidato repubblicano aumenta e la campagna elettorale mostra sempre più il vero volto di Kamala Harris, quale persona impreparata, goffa e non all’altezza di gestire situazioni complesse.

Ci stanno provando in tutti i modi i media progressisti a tenere a galla la sua campagna fallimentare, così come hanno fatto per anni, mentendo sulle condizioni fisiche di Biden, salvo poi ricredersi all’ultimo minuto per salvare la nave che affondava. Ebbene questa volta, così come nel 2016 (e per pochissimo nel 2020) potrebbero veramente non farcela, anche perché molto spesso il popolo si dimostra sempre più intelligente di chi invece ha la pretesa di istruirlo.

Dipingono Trump come un mostro, lo accusano di essere divisivo e violento, quando invece quel clima di odio viene alimentato ogni giorno dai presunti “buoni”, che questa volta si sono spinti davvero oltre, paragonando Trump a Hitler. Noi italiani ne sappiamo qualcosa, anche da noi capita spesso di imbattersi in persone di sinistra che, a corto di argomenti e ancora prima di incominciare una qualsiasi discussione, etichettano come fascista all’avversario così da togliere a quest’ultimo anche la minima dignità di poter avere un confronto o un dialogo. Facile per chi la pratica, meno credibile per chi vi assiste; questa strategia della disperazione potrebbe rivelarsi fatale per Harris.

L’insulto di Biden

Non basta, ieri, mentre Harris continuava nel suo delirio secondo il quale Trump utilizzerebbe i militari contro gli americani che non la pensano come lui, in un collegamento Joe Biden paragonava i sostenitori di Trump alla spazzatura (“The only garbage I see floating out there is his supporters”).

Tali dichiarazioni, oltre ad essere offensive, mostrano la vera natura della sinistra radicale mondiale; la presunzione di assoluta superiorità nei confronti di coloro i quali la pensano diversamente. Un vizio di fabbrica, insomma, anche se si pensa al 2016, quando Hillary Clinton descrisse gli allora sostenitori di Trump come un branco di deplorevoli (“a basket of deplorables”). Allora tale paragone non portò fortuna all’ex First Lady che, a sorpresa, perse contro Trump.

La campagna di Trump

Per conto suo Trump, sfuggito a due tentativi di uccisione, gira in lungo e largo l’America riempiendo palazzetti con un’ondata di cappellini rossi con l’iconica scritta “Make America Great Again”. A lui si possono rimproverare molte cose, tranne il fatto che la sua campagna elettorale sia perfetta da un punto di vista mediatico e comunicativo. Dalla foto segnaletica il giorno in cui venne accusato, all’attentato alla vita trasformato in una prova di forza e orgoglio sino alla sua tappa al McDonald’s per cucinare le patatine e servire i clienti, la campagna di The Donald è già entrata nella storia, tanto da rendere queste elezioni memorabili, a prescindere da quel che sarà il loro esito finale.

Trump ha incentrato la sua campagna su pochi temi, ma molto efficaci perché stanno a cuore alle persone comuni, che poco o niente toccano invece le élite e le star di Hollywood che ogni giorno corrono per offrire il proprio supporto pubblico a Harris. Che cosa ne sa Beyoncé di quanto l’inflazione possa impattare sul ceto medio, semplicemente per i generi alimentari? Che cosa ne sanno Demi Lovato, Julia Roberts e Ricky Martin dei problemi di sicurezza che ogni giorno migliaia di americani incontrano per le strade o alla fermata della metro o del bus?

Coloro i quali considerano Trump un miserabile solo perché ha osato andare al McDonald’s dovrebbero fare i conti con la realtà e comprendere che il Tycoon sta parlando all’America reale, che niente ha in comune con queste celebrità e che, proprio per tali ragioni, non ha motivo di ascoltare il loro insegnamento o consiglio su chi votare. Casomai, questo dovrebbe avere un effetto opposto. Immaginate un cacciatore del Montana, un allevatore dell’Arkansas o un rancher del Wyoming: quali ragioni razionali potrebbero spingere questi ultimi a votare in maniera analoga a una star californiana miliardaria? Al netto del fatto che questi possano apprezzare o meno i film o le canzoni di tali personaggi, che senso avrebbe per loro votare come loro?

Trump va forte nell’America vera perché, pur essendo anch’egli miliardario, non si vergogna e non considera deplorevole bere Coca-Cola o mangiare nei fast food. Quando afferma, come ha fatto nello storico comizio al Madison Square Garden, di voler riportare il sogno americano, Trump appare credibile proprio perché di quel sogno faceva parte anche il modo di mangiare “all’americana” che oggi molti nutrizionisti elitari o persone benestanti rifiutano, ma che per gli americani ha rappresentato, e continua a rappresentare, un tratto identitario forte.

La politica estera

Per il mondo, la vittoria di Trump significherebbe ripristinare l’immagine del leader del mondo libero come una persona forte, energica e in grado di prendere decisioni forti in momenti critici. Vedere l’istituzione presidenziale indebolita questi ultimi anni non ha fatto solo male agli Stati Uniti, ma al mondo intero, con dittatori che hanno colto l’occasione per agire in maniera unilaterale scatenando guerre e disordini, in Ucraina come in Medio Oriente.

Il ritorno di Trump significherebbe avere un presidente in grado di imporre una linea chiara alla politica Usa in Medio Oriente, senza ondeggiamenti e ambiguità che da sempre caratterizzano i presidenti democratici. Una presidenza Trump avrebbe anche il merito di spingere a una rimodulazione, tanto auspicata ma mai compiuta dagli stessi europeisti, dei rapporti Ue-Nato, spingendo i Paesi europei a investire seriamente in un progetto di difesa europea credibile che sappia essere complementare e non dipendente dal continuo appoggio statunitense. La presidenza Trump significherebbe infine una maggiore pressione e attenzione sulla vera sfida del secolo: la Cina.

Insomma, per queste e per molte altre ragioni, una vittoria di Trump sarebbe auspicabile. La rivincita del Tycoon non sarebbe solo personale, ma un vero e proprio grido di liberazione per tutte quelle persone orgogliosamente deplorevoli che amano il McDonald’s, la Coca-Cola, la musica country, i film di Hollywood, ma soprattutto la libertà.