Può esistere una “dinastia comunista”? Essendo un ossimoro, non dovrebbe esistere nulla di simile. Eppure la Corea del Nord ne è una perfetta incarnazione, e la sua importanza sta aumentando come dimostra l’invio di truppe di Pyongyang in Ucraina per combattere con l’esercito di Vladimir Putin. Ma anche la Cina comunista di Xi Jinping continua a sostenerla perché la sua presenza è utilissima ai piani strategici di Pechino.
Occorre partire da lontano poiché il fenomeno va inquadrato nel contesto di una cultura millenaria come quella coreana, capace in alcuni periodi storici di affrancarsi dal vicino colosso cinese e di confrontarsi addirittura con il Giappone dei Samurai.
Il caso Corea del Nord
La Repubblica Popolare Democratica di Corea, che noi conosciamo come Corea del Nord, venne fondata nel 1948 con l’avallo di Stalin. Paese in pratica impenetrabile per gli osservatori esterni, la RPDC rappresenta l’ultima esemplificazione del cosiddetto “socialismo reale” realizzato nella ex Unione Sovietica e nelle nazioni a essa collegate, soprattutto quello in vigore durante il periodo staliniano.
Ciò rende la Corea del Nord indubbiamente interessante agli occhi degli analisti, costituendo un case study unico nel genere. Nel suo territorio il tempo sembra essersi fermato all’immediato Dopoguerra, con i piani quinquennali, la coreografia tipica dei regimi comunisti quando Stalin era in vita e un culto della personalità molto forte e interamente centrato sul leader di turno.
La dinastia dei Kim
L’unicità, tuttavia, è fornita soprattutto da un altro elemento. Nel Paese il potere è detenuto, per l’appunto sin dalla fondazione, da una sola famiglia e viene trasmesso, di fatto, da padre in figlio senza soluzione alcuna di continuità. La famiglia è ovviamente quella dei Kim che, dopo aver ottenuto il controllo completo del partito e delle forze armate, continua a governare con mano ferrea senza che qualcuno – almeno in apparenza – osi opporsi.
La saga inizia con il fondatore Kim Il-sung (Kim I) che approfittò abilmente della Guerra Fredda e dell’appoggio staliniano per proclamare la Repubblica socialista nella parte settentrionale della penisola coreana. Giunse poi anche il sostegno della Cina di Mao, il cui massiccio intervento nella guerra del 1950-53 impedì la sconfitta del Nord e favorì la divisione permanente della nazione in due parti, legate l’una al blocco occidentale e l’altra a quello sovietico.
Kim I si sbarazzò ben presto di ogni oppositore e promosse nel Paese il culto della propria persona. A poco a poco assunse connotati quasi divini anche grazie alla dottrina del “Juche”, la versione coreana del marxismo-leninismo che insiste in particolare sull’indipendenza e autosufficienza nazionali. Si esalta la sovranità delle masse popolari le cui aspirazioni, tuttavia, vengono interpretate da una Guida Suprema che concentra nelle sue mani tutto il potere.
Quando il fondatore muore, nel 1994, Guida Suprema diventa suo figlio Kim Jong-il (Kim II), che segue la strada paterna. Si noti però che, secondo la storia ufficiale del Paese, Kim Il-sung è morto solo dal punto di vista fisico. In realtà egli è in qualche modo assurto al cielo da dove continua a guidare la nazione. E, infatti, detiene tuttora il titolo di presidente. Dunque il culto della personalità si è col tempo trasformato in un culto religioso a tutti gli effetti. Nel mausoleo di Pyongyang la salma imbalsamata del fondatore è meno importante del suo spirito, che dall’alto continua a governare e a proteggere la RPDC.
E siamo giunti ai giorni nostri. Alla scomparsa di Kim Jong-il nel 2011 gli succede il figlio Kim Jong-un (Kim III), l’attuale leader. Da lui si attendevano riforme che non sono venute, anche perché la rigida struttura del regime non lo permette. Eppure persino la Cina, da sempre alleata della Corea del Nord, spinge in tale direzione, preoccupata dal fatto che Pyongyang si sia nel frattempo dotata di un arsenale nucleare in grado di minacciare i Paesi vicini (e non solo).
Kim Jong-un continua a contare sulla fedeltà del partito e dell’esercito anche perché viene visto come il miglior strumento per garantire la continuità di uno dei regimi dittatoriali più longevi della storia, superiore persino alla dittatura di Castro a Cuba iniziata nel gennaio 1959.
Fuori dalla Storia
Permane, alla fine della narrazione, un senso di mistero. Com’è possibile che una sola famiglia riesca a imporsi per un periodo così lungo, trasmettendo il potere assoluto per vie dinastiche senza causare una ribellione di massa, che sarebbe del resto giustificata dalle condizioni in cui vive la popolazione?
Settant’anni possono sembrare pochi, ma sono moltissimi se si rammenta che il regime è rimasto tale e quale mentre nel resto del mondo si sono avuti mutamenti epocali. I media nordcoreani sostengono che il “Presidente Eterno”, Kim Il-sung (Kim I), dall’al di là protegge la Corea del Nord con la sua immensa bontà e infinita saggezza. Ma la storia non si è mai fermata. Basta quindi attendere che, anche là, si rimetta in moto.
La Corea del Nord evoca l’immagine di un Paese fuori dalla storia, governato da un dittatore lunatico e omicida. Nel migliore dei casi quello di Kim Jong-un viene descritto come un regime eccentrico, feroce e cupo nel suo remoto grigiore totalitario. E a succedere a Kim III sarà quasi sicuramente la giovane sorella 37enne Kim Yo-jong, che già ora ha in mano l’apparato di propaganda e di spionaggio del partito.
L’approccio Usa
È in pratica impossibile spiegare i tanti misteri del “Regno eremita”. Occorre tuttavia prendere atto della sua presenza e dei rapporti privilegiati che tuttora intrattiene con Pechino e Mosca, sempre rammentando che il suo arsenale nucleare rappresenta un pericolo reale per il mondo intero.
E in questo caso gli Stati Uniti giocano un ruolo rilevante, pur indeboliti dal caos istituzionale susseguente alle recenti elezioni presidenziali Usa con la presenza di un presidente fantasma come Joe Biden. Donald Trump, nel suo precedente mandato, ha cercato il dialogo con il regime incontrando di persona Kim III e varcando – primo presidente americano a farlo – la linea di demarcazione tra le due Coree. Tuttavia gli incontri non conseguirono effetti concreti, giacché il regime non sembra affatto disposto a rinunciare all’arma atomica.
Ed è interessante notare, a tale proposito, come Joe Biden abbia già affermato a quel tempo che occorre “finirla con la farsa coreana”, accusando Trump di aver dato solo spettacolo. Non ha mai detto, però, come lui stesso intendesse affrontare un problema che esiste e non è affatto fittizio. È noto che i Democratici Usa sono più inclini dei Repubblicani a intervenire militarmente all’estero, ma il caso coreano è davvero complicato e un intervento armato rischia di produrre conseguenze incalcolabili.
Occorre insomma analizzare la questione coreana senza alcuna superficialità, e capire perché un Paese che ci appare assurdo e surreale, comico sia in realtà molto concreto e reale. C’è bisogno di una buona dose di realismo, e senza dubbio Donald Trump dovrà farvi di nuovo ricorso.