- Un secondo lotto di documenti top secret ritrovato in un garage di Biden, vicino alla sua Corvette
- Il primo lotto al Penn Biden Center, ospitato dall’Università della Pennsylvania, che nei tre anni in cui Joe vi era affiliato, e Hunter trafficava con i cinesi, ha ricevuto 47,7 milioni di dollari dalla Cina
- La stessa università che nel febbraio 2022 ha fatto pressioni per la chiusura del programma dell’FBI sullo spionaggio cinese
“Sì, ma la mia Corvette è in un garage chiuso, mica se ne stavano fuori in strada”. Questa la sconcertante risposta del presidente Usa Joe Biden a chi in conferenza stampa gli chiedeva conto del secondo lotto di documenti top secret ritrovato in garage vicino alla sua Corvette Sting Ray del ’67, in Delaware.
Immaginate il putiferio se Donald Trump se ne fosse uscito con una risposta simile… Ma quello che segue in questo articolo difficilmente lo troverete sui media mainstream italiani.
Il video
In un video piuttosto recente, due anni fa durante la campagna presidenziale, Biden viene ripreso mentre guida la sua Corvette e addirittura, mentre la parcheggia in garage, si intravedono sullo sfondo degli scatoloni ammucchiati. Chissà che i documenti in questione non fossero proprio lì, a favore di telecamera…
Il doppio standard
Ricorderete come poche settimane fa la mancata consegna di documenti classificati agli Archivi nazionali sia costata all’ex presidente Donald Trump, nell’ordine: perquisizione dell’FBI senza avvocati e testimoni nella sua residenza privata di Mar-a-Lago, in Florida; fogli gettati sul pavimento, fotografati dagli agenti e dati in pasto ai media; e infine, nomina di un procuratore speciale.
È ora evidente il doppio standard e altrettanto palese che l’indagine e lo spettacolare blitz di Mar-a-Lago fossero un’operazione politica – l’ennesima – di DOJ e FBI.
Trump si è sempre difeso sostenendo che il presidente ha l’autorità di declassificare i documenti e custodirli in sedi private. Fondata o meno la sua difesa, Biden non può appellarsi nemmeno ad essa, dato che i documenti ritrovati risalgono ad un periodo tra il 2013 e il 2016, quando era vicepresidente.
Sebbene con oltre due mesi di ritardo, l’Attorney General Merrick Garland non ha potuto far altro che nominare un procuratore speciale, Robert Hur, per indagare anche su Biden, ma si è ben guardato dal ricusarsi come aveva fatto Jeff Sessions, il primo AG di Trump, nell’indagine-bufala del Dipartimento di Giustizia sul Russiagate.
Il primo lotto al Penn Biden Center
Un primo lotto di una decina di documenti classificati, che hanno come oggetto Ucraina, Iran e Regno Unito, era stato ritrovato lo scorso 2 novembre – a soli sei giorni dalle elezioni di midterm, ma casualmente la notizia è trapelata solo pochi giorni fa – nei suoi uffici al Penn Biden Center, un think tank ospitato dalla University of Pennsylvania, di cui l’ex vicepresidente era professore onorario.
50 milioni dalla Cina
Università della Pennsylvania che nei tre anni di affiliazione di Biden, dal 2017 al 2019, ha ricevuto quasi 50 milioni di dollari di finanziamenti dalla Cina comunista.
Ed è di questo che vogliamo parlarvi. Perché come riportato dal giornalista John Solomon, da quella stessa università che aveva raccolto generose donazioni dalla Cina mentre pagava profumatamente Joe Biden (quasi un milione di dollari risulta dalle dichiarazioni dei redditi) e ospitava il suo think tank di politica estera, sono partite le pressioni al Dipartimento di Giustizia di Biden che hanno portato alla chiusura di un programma di controspionaggio dell’FBI sulla crescente influenza di Pechino all’interno del mondo accademico statunitense.
L’appello
L’Attorney General Merrick Garland ha chiuso il programma nel febbraio 2022, poco dopo l’appello firmato da oltre 160 membri dell’Università della Pennsylvania che ne chiedevano la chiusura con la scusa della profilazione razziale:
Riteniamo che la China Initiative abbia deviato in modo significativo dalla sua missione dichiarata: sta danneggiando la competitività della ricerca e della tecnologia degli Stati Uniti e sta alimentando pregiudizi che, a loro volta, sollevano preoccupazioni sulla profilazione razziale.
Dopo solo due settimane dall’invio della lettera, Garland ha annunciato la fine del programma. Secondo gli esperti un duro colpo alle capacità dell’FBI di contrastare lo spionaggio cinese nel mondo accademico Usa.
L’influenza cinese
Sul sito del Dipartimento di Giustizia si può leggere ancora oggi un lungo elenco di casi penali avviati durante i quattro anni del programma contro membri del mondo accademico che lavoravano con la Cina – sia per accuse di spionaggio che per mancate denunce di valuta estera.
Solo un mese prima della chiusura, ricorda Solomon, il direttore dell’FBI Christopher Wray aveva tenuto alla biblioteca presidenziale Reagan un discorso in cui sollecitava il governo a dedicare più attenzione e risorse alla lotta alla devastante influenza della Cina all’interno degli Stati Uniti, citando esplicitamente casi in cui Pechino si era servita di accademici universitari per i suoi scopi e avvertendo come lo spionaggio cinese fosse diventato “più sfacciato e più dannoso”.
I legami con l’Università della Pennsylvania
Estesi i legami dell’Università della Pennsylvania sia con la famiglia Biden che con la Cina. La sua ex presidente, Amy Gutmann, ad esempio, nel 2021 è stata nominata dal presidente ambasciatore in Germania.
Durante la sua audizione di conferma in Senato, Gutmann ha riconosciuto che l’università ha preso soldi da cinesi, assicurando che ciò non ha influito sui valori dell’istituzione, la quale ha rifiutato l’apertura di un Istituto Confucio nel campus (“nessuna donazione, nessun contratto, può minacciare la libertà accademica o la sicurezza nazionale”).
La “Penn” vanta numerosi programmi in Cina, tra cui “attualmente oltre 20 partnership internazionali con istituzioni cinesi, tra cui la Shanghai Jiao Tong University … I docenti di tutte le 12 scuole della Penn hanno segnalato oltre 350 progetti di ricerca e attività didattiche in Cina, molti dei quali presentati all’annuale Penn China Research Symposium“.
I donatori cinesi
I registri mostrano che la “Penn” ha raccolto oltre 67 milioni di dollari in donazioni e contratti dalla Cina tra il 2013 e il 2019, la stragrande maggioranza dei quali però, 47,7 milioni, proprio durante i tre anni in cui Biden è stato professore onorario.
Quasi 20 milioni (di cui 14,5 di donazione anonima) nei primi quattro mesi di apertura del think tank di Biden dal febbraio 2018.
Donazioni anonime “in chiara violazione” della norma dell’Higher Education Act secondo cui “tutte le donazioni o i contratti superiori a 250.000 dollari devono rivelare la proprietà o il controllo estero della donazione o del contratto”, si legge in una denuncia dell’organizzazione conservatrice National Legal and Policy Center (NLPC).
“È un dato di fatto che UPenn ha ricevuto circa 60 milioni di dollari di donazioni cinesi, di cui anonime per 22 milioni”, ha spiegato a Solomon il legale dell’NLPC Paul Kamenar. “I veri donatori dovrebbero essere resi noti”.
Il miglior investimento del PCC
Ora l’università è tornata sotto i riflettori perché proprio negli uffici del Penn Biden Center a Washington, da un paio d’anni prima che il think tank fosse aperto, sono finiti i documenti classificati ritrovati il 2 novembre scorso dagli avvocati del presidente durante il trasloco. Ma perché degli avvocati dovrebbero occuparsi di un trasloco, si chiede Kamenar.
“Questo potrebbe essere il miglior investimento da 67 milioni di dollari che il PCC abbia mai fatto”, osserva Kevin Brock, ex vicedirettore per l’intelligence dell’FBI:
Donando un’incredibile quantità di denaro ad una università americana con stretti legami con Joe Biden, la Cina è riuscita ad eliminare completamente un grosso ostacolo alla sua strategia rivolta ai ricercatori accademici americani in tutto il Paese per gentile concessione dell’Attorney General di Biden, Merrick Garland.
L’idea che la China Initiative fosse basata su un pregiudizio razziale è “assurda” anche per John Bolton.
Il collegamento con gli Hunter Files
Ma il sospetto, collegando il Penn Biden Center e il flusso di denaro cinese all’Università della Pennsylvania che lo ospitava agli Hunter Files, è che dietro i donatori anonimi possano celarsi gli stessi soggetti e la stessa società energetica cinese con cui, come ormai accertato, era in affari Hunter Biden, il figlio dell’allora vicepresidente, e quindi che possa trattarsi di una più ampia operazione di influenza cinese sulla famiglia Biden.
Le banche statunitensi hanno iniziato a segnalare attività sospette al Dipartimento del Tesoro già nel 2013, dopo che Hunter Biden aveva accompagnato suo padre in un viaggio a Pechino e iniziato a fare affari all’estero.
Gli affari di famiglia
Nel periodo 2017-18, mentre il Penn Biden Center veniva istituito, l’ex vicepresidente era professore onorario e l’università riceveva la gran parte delle donazioni dalla Cina, Hunter Biden era in trattative con la società energetica cinese CEFC per un accordo che avrebbe dovuto indirizzare il gas naturale e altre risorse energetiche Usa verso la Cina.
L’accordo prevedeva che la famiglia Biden ricevesse 5 milioni di dollari come prestito condonabile senza interessi da fonti cinesi, secondo un documento trovato nel laptop di Hunter Biden – al centro dello scoop del New York Post la cui diffusione in rete come ricorderete fu soppressa dall’FBI con la complicità dei social media.
Patrick Ho, uno dei soci di Hunter nell’accordo con la cinese CEFC, da lui chiamato “the fucking spy chief of China”, è stato accusato di aver utilizzato un think tank Usa per un piano di corruzione di alcuni funzionari africani ed è stato condannato a tre anni di carcere per molteplici reati.
Secondo il DOJ, Ho avrebbe anche tentato di mediare transazioni di armi e altri accordi con l’Iran, in violazione delle sanzioni occidentali. Almeno uno dei documenti classificati ritrovati al Penn Biden Center di Washington riguarda proprio l’Iran.
L’ufficio di K Street
Fondato a questo punto il sospetto che documenti classificati potessero trovarsi anche nell’ufficio di K Street, anch’esso a Washington, che nel 2017, prima dell’apertura del Penn Biden Center, la famiglia Biden (Hunter, il padre Joe, la matrigna Jill e lo zio Jim) condivideva con Gongwen Dong, definito nelle e-mail come “l’emissario” del presidente della CEFC.
A frequentare l’ufficio di K Street anche un altro dirigente della CEFC in stretti rapporti con Hunter, JiaQi Bao, sospettato di lavorare per l’intelligence cinese.
In una e-mail del 25 marzo 2018, Bao chiedeva a Hunter se vi fosse “qualcosa in ufficio che vorresti che prendessi/organizzassi per te”. E lo aveva anche esortato a prendere quanti più soldi possibile dalla sua partnership con CEFC (“trovare un modo per trasferire il denaro sul giusto conto statunitense prima di qualsiasi restrizione imposta dalle autorità di regolamentazione cinesi”).
Ricapitolando
Insomma, ricapitolando: il primo lotto di documenti classificati si trovava negli uffici di Washington del Penn Biden Center, think tank ospitato e finanziato dall’Università della Pennsylvania, la quale nei tre anni in cui pagava Joe Biden come professore onorario – e in cui Hunter Biden trafficava con entità cinesi – ha ricevuto ben 47,7 milioni di dollari dalla Cina, di cui una ventina da anonimi, e nel febbraio 2022 ha chiesto e ottenuto dal Dipartimento di Giustizia di Biden la chiusura di un programma di controspionaggio dell’FBI sull’influenza di Pechino nel mondo accademico Usa.
Ce n’è abbastanza per parlare di Chinagate?