Ron DeSantis ha ufficializzato la sua discesa in campo alle primarie per le presidenziali del 2024. È da mesi che serpeggia l’ipotesi di una sua corsa alla Casa Bianca e finalmente, ad un anno e mezzo dalle elezioni, è arrivata la conferma.
La sua campagna, “The Great American Comeback”, è stata definita da molti come l’alternativa trumpiana a Donald Trump. Dal canto suo, l’ex presidente, sta giocando la carta del discredito, rappresentando lo sfidante come l’ennesimo candidato appartenente a quell’establishment osteggiato da una larga parte dell’elettorato repubblicano.
Diversi ma non troppo
DeSantis possiede alcune caratteristiche capaci di attrarre anche una quota di voto indipendente, più difficile da intercettare per Trump: una fra tutte, il rispetto per le istituzioni e per il sistema elettorale su cui Trump ha invece scagliato tutto il suo risentimento dalle ultime elezioni ad oggi. Comincia così il lungo peregrinare delle primarie repubblicane, che decreteranno il vero sifidante di Joe Biden.
Se Trump perseguirà nella sua retorica incendiaria contro chiunque rappresenti un ostacolo alla sua rielezione, DeSantis tenterà di ribaltare la sua attuale posizione, che lo vede dietro l’ex presidente nei sondaggi. Pur essendo diversi, i due candidati in questione non sembrano essere così distanti su molti temi, aderendo alle istanze del conservatorismo sociale e impostando la loro collocazione ideologica sul piano nazional-conservatore, ad oggi dominante nel partito.
Le sfide del passato
Il tempo in cui le candidature erano frutto di visioni nettamente diverse appartiene al passato, quando le sfide per la nomination repubblicana rispecchiavano generalmente l’anima conservatrice, portavoce dell’America profonda, e quella moderata ed elitaria della East Coast. Ogni volta, come in questo caso, i candidati sono numerosi, ma a duellare sono sempre i due favoriti, protagonisti a livello mediatico e popolare.
Taft-Eisenhower
Alle primarie del 1952 si scontravano il senatore Robert A. Taft e il popolarissimo generale Dwight D. Eisenhower. Taft, figlio di un presidente, si era distinto come la vera anima conservatrice, la più sincera voce in dissonanza rispetto al consenso costruitosi attorno al New Deal rooseveltiano.
Eisenhower, reduce dalla vittoria sul nazifascismo in Europa, divenne il rappresentante dell’establishment costiero, più accomodante verso l’interventismo economico e internazionalista sul piano globale. Nonostante Taft fosse inizialmente in vantaggio su Eisenhower, quest’ultimo si aggiudicò la nomination che decretò la sconfitta dei conservatori nel partito.
Goldwater
La rivincita sarebbe arrivata con la vittoria di Barry M. Goldwater alle primarie del 1964. Erede di Taft sui grandi temi di libertà economica, Goldwater era un libertario dell’Arizona in vera antitesi con il suo principale sfidante, Nelson A. Rockefeller.
Rampollo della nota dinastia, Rockefeller governava lo stato di New York e sperava di emulare la vittoria di Eisenhower nel 1952. A prevalere furono i conservatori di Goldwater, il cui entusiasmo finì però a novembre, quando Lyndon B. Johnson venne ampiamente riconfermato alla presidenza.
Reagan-Bush
Un altro duello memorabile è quello del 1980, fra Ronald Reagan e George H. W. Bush, tra l’ex governatore della California e l’autorevole direttore della CIA che dal New England stava scrivendo la sua storia in Texas. Davanti ad un’America in crisi d’identità economica e sociale, Bush si opponeva alla spinta liberista di Reagan, per poi essere scelto da quest’ultimo come vice-presidente nel ticket del novembre dello stesso anno.
Il 1988 diede a Bush l’opportunità persa otto anni prima e nel 1992, nonostante la nomination assicurata, emerse uno sfidante di rilievo, il populista paleo-conservatore Patrick Buchanan. Pur perdendo anche le primarie del 1996 contro il senatore Bob Dole, Buchanan gettò il seme di una nuova battaglia culturale interna al Partito repubblicano che, a ben vedere, sposterà il baricentro della destra verso posizioni più radicali, soprattutto nelle tematiche sociali.
Gli anni Duemila: da McCain a Trump
Finita l’era Clinton, nel 2000 si confrontarono l’erede inaspettato dei Bush, George W., e il veterano del Vietnam John McCain. Quest’ultimo, sconfitto, vinse poi la nomination del 2008 senza riuscire ad aggiudicarsi la presidenza.
Dopo l’ulteriore fallimento di Mitt Romney nel 2012, si verificò quel riposizionamento ideologico che ora spopola nel Grand Old Party. Nel 2016, Donald Trump e Ted Cruz sono i due volti principali designati alla nomination, entrambi frutto della svolta radicale evocata dopo la fine dall’era Bush e della débâcle dell’era Obama.
Trump-DeSantis
L’attuale confronto fra Trump e DeSantis appare molto diverso da quelli del passato. Inizialmente in simbiosi politica, Trump ha cominciato a distaccarsi dal suo pupillo quando ne ha intuito la rilevanza a livello nazionale.
Il modello Florida, vincente sul fronte economico ma a tratti contraddittorio su quello culturale, ha fatto risonanza in tutta l’America come laboratorio politico del conservatorismo odierno.
Ad oggi però, l’appeal e il successo mediatico di DeSantis non sembrano essere sufficienti a scalfire il sostegno per Trump. Quale che sia la scelta della base elettorale repubblicana, è chiaro che per vincere contro i Democratici è necessario pensare anche a guadagnare terreno nel voto indipendente e moderato, cosa che forse Trump faticherà ad ottenere se dovesse aggiudicarsi la nomination.