Esteri

Il momento dei distinguo: l’ipocrisia delle mozioni e la “vecchia amica” di Israele

L’equidistanza morale, le mozioni che non bloccano i fondi ad Hamas ed Emma Bonino “vecchia amica”, ma di Teheran

Bonino Rouhani

Non ne dubitavamo e ci siamo arrivati. Dopo le prime tre-quattro ore (altro che tre-quattro giorni), tanto sono durati la condanna senza se e senza ma e il sostegno incondizionato a Israele, siamo in piena fase dei distinguo, delle ambiguità, dell’equidistanza morale, con la sinistra a difesa della sua cittadella ideologica. È il momento dei teorici della complessità, di vecchie accuse, già lanciate in passato contro Israele, come quella di “reazione sproporzionata”, ma anche di nuove accuse.

Hamas e i palestinesi

Ora il rimprovero a Israele che va per la maggiore è che la sua risposta militare contro Hamas condannerebbe i palestinesi ad una sorta di “colpa collettiva“. L’accusa è sottile e particolarmente subdola. Prim’ancora che le forze israeliane siano entrate a Gaza, le si accusa di una guerra indiscriminata contro i civili, che Israele non ha mai fatto e non farà nemmeno questa volta, e non sta facendo ora che sta bombardando pesantemente le postazioni di Hamas nella Striscia.

Israele farà il massimo, come fa sempre, per distinguere i civili dai terroristi, ma dobbiamo essere consapevoli che saranno giorni, settimane durissimi, come ha avvertito il portavoce dell’IDF, “non sarà una cosa pulita”, anche perché è stranoto che è tattica militare di Hamas e Hezbollah farsi scudo dei civili. Ma purtroppo, a questo punto, la presenza di civili non può più essere un pretesto per rimandare la distruzione di Hamas.

Dobbiamo ricordarci che arrivare a Berlino nel ’45 non fu una passeggiata. Che se ci si è arrivati, è anche perché non sempre i comandi alleati hanno potuto fare distinzioni tra la Wermacht o le SS e i civili tedeschi. Giusto? No, ma forse scelte obbligate, moralmente difendibili.

“I palestinesi non sono Hamas”, è il ritornello di questi giorni. Sicuramente ci sono civili innocenti, anche a Gaza, anche se guardandoci intorno non li scorgiamo. Non scorgiamo alcun gruppo o individuo palestinese dissociarsi dal massacro compiuto da Hamas, né nei territori, né nelle cosiddette “piazze arabe”, e nemmeno purtroppo nelle piazze occidentali. Anzi, ne abbiamo visti parecchi festeggiare. Vogliamo credere che non siano tutti così, ma diciamo è un atto di fede nell’umanità.

Mozioni ipocrite

Il caso ha voluto che proprio nel giorno in cui arrivavano da Israele nuovi dettagli ancora più raccapriccianti sul massacro compiuto sabato mattina da Hamas, il ritrovamento nei Kibbuz di intere famiglie arse vive e decine tra bambini e neonati anche decapitati, in Parlamento le forze politiche si dividevano su inutili e ipocrite mozioni, in particolare sul tema dei finanziamenti ad Hamas.

Pilatesca la mozione della maggioranza, che impegna il governo a “evitare che arrivino fondi ad Hamas che vengano utilizzati per finanziare attacchi terroristici e incitare all’odio”. E ci mancherebbe… Ma come? Come si verifica? Di chi possiamo fidarci? Balle, bastavano tre parole: a “bloccare qualsiasi fondo”. In pratica, la mozione Pd-5S-Avs dice la stessa cosa: “fornire alla popolazione civile di Gaza accesso a beni essenziali e vitali” etc… Stesso problema: come? Finché c’è Hamas, si passa per Hamas. Quindi, prima bisogna rimuovere Hamas. Ed è quello che vuole fare Israele.

Anche il ministro degli esteri Antonio Tajani ci è caduto, spiegando che lo sforzo sta nel “vigilare in modo severo, rigoroso, sugli effettivi destinatari dei fondi europei, anche della cooperazione”. Ma questa da pia illusione rischia di trasformarsi in consapevole e comoda ipocrisia.

Finalmente, lo ha spiegato in modo chiarissimo Giulio Terzi di Sant’Agata al Senato: “Non è immaginabile che finanziamenti ad Hamas possano avere anche una parvenza di essere destinati a persone in stato di necessità individuate dalle entità donatrici, o dalle organizzazioni internazionali o dagli stati… Non c’è garanzia, c’è anzi garanzia che verranno utilizzati prima per compiere atti di terrorismo. E questo vale per Hamas, per Hezbollah e per l’Iran”.

Poi, ascoltando l’intervento di Elly Schlein alla Camera, ci è apparso tutto più chiaro. Di una cosa hanno paura: che si blocchino i fondi destinati ai palestinesi che però “transitano” per le ong, per il mondo della cooperazione. Tutta qui la questione.

Emma Bonino

Ma tra i distinguo di questi giorni preferiamo menzionare non quelli, prevedibili, degli storici nemici di Israele, ma quelli degli storici amici. In questo caso storica amica: Emma Bonino. Perché, per dirla con la saggezza senza tempo degli antichi romani, non virtute hostium, sed amicorum perfidia decidi – un detto cristianizzato in “dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”.

Nella sua intervista di ieri a La Stampa, Bonino liquida la pratica Hamas in poche parole: “Hamas è un’organizzazione terroristica, lo è da tempo, e io mi considero una vecchia amica di Israele“. Il resto dell’intervista è per condannare la risposta israeliana, e ovviamente il premier Netanyahu, spiegando quanto sia criminale e controproducente, nonostante non sia ancora partita.

“Mi ha sorpreso che l’escalation da parte dell’esercito di Tel Aviv si sia evoluta in questo modo”. A noi sorprende il termine scelto, “escalation”. Per Bonino l’escalation è di Israele, non di Hamas.

L’assedio “non è tollerabile. Questi si chiamano crimini di guerra e Netanyahu dovrà risponderne”. Chi risponderà dei ben più clamorosi crimini di Hamas?

L’intervista è un compendio perfetto dei concetti di cui parlavamo in apertura: quello della “reazione sproporzionata”, l’equidistanza morale, la distinzione tra Hamas e i palestinesi, come se Israele non avesse mai avuto cura dei civili.

Anche sul delicato confine con il Libano, la preoccupazione è quella di non provocare Hezbollah: “Il Libano non vorrebbe entrare in guerra, ma se ci fosse una scintilla, un errore militare israeliano…”. Scontato che la scintilla, se ci sarà, sarà un errore israeliano.

E il tema degli ostaggi? Per Bonino “uno strumento di pressione, sia per gli israeliani sia per Hamas“, come se fossero equiparabili i civili rapiti da Hamas e i terroristi arrestati da Israele. E meno male che era un’amica…

Vecchia amica, ma di Teheran

“Vecchia amica”, per la precisione. E forse qui l’ex ministro intendeva che molto, molto tempo fa era amica di Israele, oggi sicuramente vecchia amica dell’Iran. Abbiamo scelto questa immagine non per rimproverare a Emma Bonino l’incontro in sé con l’allora presidente iraniano Rouhani, né per la scelta di presentarsi con il velo di fronte al suo interlocutore. Fa parte dei doveri istituzionali di un ministro degli esteri incontrare gli interlocutori, più o meno controversi, e rappresentare al meglio il nostro Paese. Non è questo il punto.

Il punto è politico. Ricordiamo infatti che da ministro degli esteri del governo Letta, nel 2013-2014, ma anche successivamente, sposò convintamente la linea dell’appeasement con il regime iraniano promossa dall’amministrazione Obama, che avrebbe prodotto nel 2015 lo sciagurato accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), con conseguente revoca delle sanzioni e legittimazione politica.

Benefici che Teheran ha sfruttato per proseguire indisturbata il suo programma missilistico (che non rientrava nell’intesa), ma soprattutto di completare e rafforzare la sua architettura di proxies regionali attraverso i quali destabilizzare la regione e colpire i suoi avversari, tra cui Israele, schermandosi dalle conseguenze. Basti pensare che dall’agosto 2006, fine della seconda guerra israelo-libanese, Hezbollah ha accumulato grazie all’Iran un arsenale stimato in 140 mila missili.

Una politica fallimentare riesumata, come abbiamo spiegato su Atlantico Quotidiano, dalla presidenza Biden dal primo giorno in cui si è insediata.

Iscrivi al canale whatsapp di nicolaporro.it
la grande bugia verde