Esteri

Il piano B: controffensiva per una pace onorevole

Con Kiev nella Nato un compromesso territoriale sarebbe accettabile. Ma rimane un punto ineludibile: per fare la pace bisogna essere in due

Il presidente Usa Biden incontra il presidente ucraino Zelensky al vertice Nato di Vilnius Il presidente Usa Biden incontra il presidente ucraino Zelensky al vertice Nato di Vilnius

Negli ultimi giorni si sono susseguiti segnali di pace da Occidente, accolti anche con un certo fastidio dall’Ucraina, comprensibilmente orientata alla liberazione di tutto il suo territorio nazionale. A questi segnali la risposta russa è stata netta come spesso è accaduto in passato: il consiglio nazionale di sicurezza russo ha dichiarato che “la guerra non si fermerà prima di smantellare l’attuale Stato dell’Ucraina, anche se ci vorranno anni o decenni”.

Il fattore tempo

Anni o decenni… al di là delle dichiarazioni di propaganda il fattore tempo diventa fondamentale per entrambi gli schieramenti. È evidente che la Russia non può protrarre a oltranza il suo impegno bellico. Le sanzioni stanno funzionando e le difficoltà del rublo costringono Mosca a compiere manovre di salvataggio che incideranno pesantemente sulla economia e il tenore di vita della popolazione.

A questo si aggiunge che, nonostante le ambizioni dell’attuale leadership, la Federazione Russa non è più l’Unione Sovietica: i suoi vertici militari non possono adottare nel XXI secolo quella arcaica strategia militare di scaraventare contro il nemico “ondate” di soldati per ottenere il massimo rendimento con il massimo sacrificio (altrui).

E tuttavia si sarebbe ingenui o un po’ troppo enfatici se si negasse il fatto che un “fattore tempo” esiste anche per l’Ucraina e il vasto schieramento internazionale che supporta il Paese in lotta dapprima per la sua indipendenza e da qualche tempo per la sua integrità territoriale.

L’Ucraina può contare su numeri più risicati rispetto a quelli che teoricamente può mobilitare la Russia. L’entusiasmo patriottico si è manifestato nelle prime ore della invasione e nel corso dei mesi è addirittura aumentato. Tuttavia la possibilità di ricambio delle prime linee va incontro ad un comprensibile limite fisiologico.

Smentita la retorica dell’escalation

Certo, se l’Occidente che supporta l’Ucraina gettasse sul campo tutta la sua forza militare e tecnologica il problema della disparità di numeri tra Ucraina e Russia non si porrebbe neppure, ma l’Occidente e la sua espressione militare – la Nato – ha adottato una strategia di “controllo dell’escalation” che ha dato buoni frutti in questo mese e ha smentito quello che era uno slogan dei “pacifisti” filo-russi: non si può difendere l’Ucraina senza provocare una Armageddon nucleare…

Opinione pubblica tiepida

Ipocrita sarebbe inoltre negare che negli Stati Uniti e in Europa vi è una fetta di opinione pubblica che, senza arrivare agli eccessi di simpatia per la Russia che caratterizza le ali estremi (nazional-populisti di destra, veterocomunisti di sinistra), pure esprime tiepidezza verso le ragioni dell’intervento a favore dell’Ucraina e viceversa si infiamma quando si affronta il tema dei costi economici. Certo verrebbe da ribattere: e quale costo economico dovremmo pagare nei prossimi anni se la Russia fosse accontentata nella sua prepotenza e magari assumesse una posizione egemone nel Mar Nero controllando le rotte del grano?

Il piano B

Di fronte a questa complessità di pulsioni, qualcuno avanza una proposta che somiglia ad un “second best”: se la ipotesi migliore è quella di una controffensiva vigorosa che porti l’Ucraina a recuperare i territori “del 23 febbraio 2022” e magari anche la Crimea, in cosa consisterebbe il più modesto “piano B”?

Innanzitutto, nel mettere l’Ucraina nelle condizioni migliori per realizzare la sua seconda controffensiva: ci sono ancora tre mesi di piena agibilità sul terreno conteso. La speranza realistica è che l’esercito ucraino avanzi il più possibile ad est per poi tracciare una linea di cessate il fuoco sulla base dei risultati conseguiti sul campo e nello stesso tempo avviare una rapida procedura di ingresso nella Nato in modo da “blindare” il Paese realizzando proprio ciò che Putin non voleva

È questo che ha lasciato intendere il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg quando appunto si è fatto garante di una corsia preferenziale di ingresso di Kiev nella “Security Community” atlantica non appena si passi dalla fase della guerra aperta a quella di un (problematico) dopoguerra.

Bisogna essere in due

Da un punto di vista liberale-occidentale l’Ucraina ha già vinto: ha difeso con la materia prima del coraggio (senza il quale tutti gli aiuti militari rischiano di essere involucri di metallo vuoti) la sua integrità nazionale, sfatando la miserabile calunnia dei propagandisti filorussi di una “guerra per conto di”.

Ha preservato il suo spazio nazionale. Si avvia ad integrare il proprio sistema economico-sociale nelle due istituzioni sovranazionali occidentali: Nato e Ue. Dopo questa feroce guerra neanche gli ideologi russi a più alta gradazione alcoolica potranno pensare di riagganciare l’Ucraina con la retorica dei “popoli fratelli”.

Date queste premesse, anche un compromesso territoriale sarebbe una pace con onore, ma… Ma rimane un punto ineludibile: per fare la pace bisogna essere in due. Fino a quando la Russia non smobilita, far venire meno l’appoggio all’Ucraina è una ipotesi irricevibile.

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