Esteri

Il ruolo ambiguo di Erdogan nel confronto Usa-Russia e la minaccia iraniana

Intervista a Michela Mercuri: accordo lontano sul nucleare e tensioni nel Mar Rosso. In Libia abbiamo permesso alla Turchia di sostituirsi all’influenza italiana

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Michela Mercuri è un ufficiale di riserva dell’Esercito Italiano, docente di Cultura, storia e società dei Paesi musulmani presso l’Università di Padova, ricercatore dell’Osservatorio sul fondamentalismo e il terrorismo di matrice jihadista dell’Università della Calabria (Oft) e insegna Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano. Ha recentemente pubblicato “Incognita Libia. Cronache di un Paese sospeso” (2019).

Il protagonismo di Erdogan

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Il ritorno del protagonismo turco in Medio Oriente è compatibile con gli interessi di difesa israeliani?

MICHELA MERCURI: Anche se l’opinione pubblica è stata “distratta” da altre questioni, va ricordato che la Turchia non ha mai abbandonato il suo impegno nel quadrante mediorientale e in particolare in Siria. Ankara ha da tempo in mente una nuova operazione militare contro i miliziani curdi, soprattutto nel nord della Siria. Questo potrebbe mettere in discussione i rapporti con Tel Aviv ma anche con l’Iran.

La guerra in Ucraina ha scompaginato le carte di un assetto internazionale apparentemente congelato. Erdoğan, Putin e Raisi si sono incontrati a Teheran per la settima riunione del cosiddetto meccanismo di Astana. Mosca per dimostrare all’Occidente di non essere isolata, Teheran per inviare un messaggio agli Stati Uniti dopo le recenti visite del presidente Biden in Israele e Arabia Saudita. Erdoğan è andato a principalmente per perorare la causa dell’operazione militare che Ankara intende realizzare in Siria.

Un vertice interlocutorio. Le tre potenze eurasiatiche sono unite unicamente dall’ostilità nei confronti dell’egemonia Usa e dalla necessità tattica di fare blocco. La questione curda potrebbe, però, creare disaccordi. A questo punto Ankara potrebbe di nuovo rivolgere il suo potere “contrattuale” verso l’Occidente per chiedere un maggior spazio di manovra in Siria in cambio dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. La Turchia resta, insomma, un ambito ago della bilancia.

Il confronto Usa-Russia

TADF: Come giudica la recente intesa Usa-Israele in funzione anti-iraniana?

MM: Questo accordo va collocato nell’ambito di un confronto più ampio tra Russia e Stati Uniti, volto a ridisegnare nuove sfere di influenza in Medio Oriente. Il recente incontro tra Putin, Raisi ed Erdogan, come già ricordato, ha un’alta carica simbolica poiché è avvenuto a pochi giorni di distanza dal viaggio del presidente Usa in Medio Oriente, con le tappe in Israele e Arabia Saudita, ovvero i due rivali regionali dell’Iran.

La visita di Putin a Teheran è quindi un contraltare diplomatico dell’incontro di Biden con gli alleati mediorientali. Entrambi gli schieramenti cercano di rafforzare i legami con gli attori più importanti nella regione, spostando in quest’area una parte del confronto che li coinvolge nel teatro ucraino. L’unico punto di rottura resta la “questione siriana” che contrappone i disegni turchi a quelli iraniani.

Va detto che Biden ha ottenuto un unico successo, quello di accelerare il processo di normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele, confermato dall’accordo per la cessione delle isole di Tiran e Sanafir dall’Egitto alla monarchia del Golfo e dall’apertura dello spazio aereo saudita ai voli israeliani. Tuttavia, ha fallito nel convincere i sauditi a schierarsi contro la Russia, aumentando la produzione di petrolio.

Da vedere anche come andrà l’alleanza di difesa contro l’Iran che potrebbe vedere Riad avvalersi dei sistemi di difesa antimissile israeliani, lasciando però aperta la strada diplomatica per evitare un’escalation.

Sul nucleare iraniano accordo lontano

TADF: Ritiene che la presidenza Biden abbia abbandonato l’intenzione di arrivare ad un nuovo accordo sul programma nucleare iraniano?

MM: Il programma nucleare iraniano è un dossier aperto che non appare vicino a una soluzione. Le trattative, ormai paralizzate, non decollano. La Russia, coinvolta nell’accordo internazionale, non ha alcun interesse a sbloccare i negoziati. E Israele ha chiesto a Biden di prendere una posizione netta in caso di aumento della tensione.

Le dichiarazioni dei leader appaiono come ulteriori segnali di gelo tra Washington e Teheran. Al momento, un accordo appare lontano, soprattutto alla luce del fatto che Teheran sembra aver rinvigorito la sua sponda con la Russia.

Tensione nel Mar Rosso

TADF: L’espansionismo iraniano in Medio Oriente e le tensioni con Israele potrebbero condurre ad un conflitto diretto già nel breve periodo?

MM: Credo che per capire la postura futura dell’Iran, al di là di questa “rinnovata armonia” con il Cremlino, si debba guardare ai Paesi del Golfo ed in particolare all’Arabia Saudita. Probabilmente è già impossibile impedire all’Iran di costruire l’atomica. L’Arabia Saudita ha due alternative: o “si fa la sua bomba nucleare”, o entra nello scudo protettivo nucleare americano, come hanno già fatto altri Paesi arabi.

Dall’altra parte, appare evidente che i sauditi abbiano più di una reticenza ad entrare nel progetto di Biden di una “Nato mediorientale”. Biden aspira a coinvolgere Riad negli Accordi di Abramo che, firmati durante la presidenza Trump a settembre 2020, avevano un obiettivo nascosto dietro la normalizzazione delle relazioni tra Israele, Bahrain ed Emirati: rafforzare il fronte anti-Iran.

Accordi che vacillano perché le monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa, non disdegnano un certo non–allineamento nei confronti della Russia, della Cina e persino dell’Iran.

Non è facile dire se questo potrebbe portare a un conflitto diretto, che al momento non vedo imminente, ma c’è un’area di crisi che può diventare molto rischiosa: l’Iran si sta sempre più basando nel Mar Rosso, con navi da guerra che pattugliano la regione.

Come ha recentemente affermato il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, “negli ultimi mesi abbiamo identificato la più significativa presenza militare iraniana nell’area nell’ultimo decennio”. Per la difesa israeliana ci sono immagini satellitari di almeno quattro navi da guerra iraniane che pattugliano il Mar Rosso.

Più volte negli ultimi anni i Pasdaran hanno compiuto sabotaggi e azioni aggressive contro imbarcazioni transitanti per lo Stretto di Hormuz. Il timore è che possano allargare il raggio di queste attività.

Libia

TADF: Complice la nuova ascesa della Turchia, l’Italia rischia di non poter più esercitare un peso geopolitico nel Mediterraneo?

MM: Purtroppo, non è per colpa dell’attivismo turco in Nord Africa, Medio Oriente e nella crisi ucraina che l’Italia ha perso il suo peso geopolitico nel Mediterraneo e soprattutto in Nord Africa, area prioritaria per i suoi interessi nazionali.

La Turchia ha un ruolo ambiguo come lo ha sempre avuto negli ultimi anni. Voleva il sistema antiaereo russo e i caccia americani, vende droni all’Ucraina e non partecipa alle sanzioni contro la Russia. È nella Nato ma si oppone al suo allargamento o comunque lo sfrutta per i suoi interessi personali. Questo glielo abbiamo permesso soprattutto noi europei e, in particolare, noi italiani.

Non supportando, in Libia, il nostro alleato a Tripoli, Fayez al-Serraj, nella guerra contro il generale Khalifa Haftar nel 2019 abbiamo permesso alla Turchia di sostituirsi all’Italia nell’ovest libico, stringendo accordi con le autorità di Tripoli per una ZEE (Zona economica esclusiva) che potrebbe ledere anche gli interessi energetici dell’Italia.

Ankara, così, si è assicurata basi strategiche in territorio libico e probabilmente anche il controllo dei flussi migratori. Su questo è necessario fare chiarezza: i migranti partono in larghissima parte della coste di Tripoli e l’aumento degli sbarchi è prevalentemente dovuto al fatto che abbiamo deciso di non finanziare più le milizie che gestivano i traffici e, di conseguenza, come forma di ricatto queste aprono i “rubinetti”.

L’Italia per la sua posizione geografica e per i rapporti che anche grazie ad ENI ha sviluppato nel Paese potrebbe fare molto per la Libia. Una ripresa economica, ad esempio, potrebbe ridurre il peso delle milizie.

La nuova partita di Mosca in Africa

TADF: Anche la Russia sta esercitando una forte ingerenza nel continente africano…

MM: Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una nuova partita della Russia in Africa. Il ministro degli esteri russo Lavrov negli ultimi giorni si è recato in Egitto, Etiopia, Uganda e Congo per affermare che la Russia provvederà alle forniture di grano necessarie per il continente

L’Africa è poi utile al Cremlino per ostacolare le forniture di gas all’Europa. Basti pensare che un terzo delle armi russe che arrivano in Africa giungono in Algeria, con cui l’Italia ha stretto accordi per un aumento delle forniture di gas. I russi della compagnia Wagner sono presenti in Libia e sono vicini alle milizie che controllano i pozzi di petrolio e gas della Cirenaica.

La strategia è chiara: penetrare sempre più nel continente, anche sfruttando l’arma del grano, mettere più di un piede nelle terre rare di cui l’Africa abbonda, trovare una pacifica convivenza con la Cina, presente da anni nel continente, ma soprattutto ostacolare Usa ed Europa.