In Ucraina, dopo sette mesi di battaglia, queste parrebbero ore decisive per Bakhmut, nei pressi di Lugansk, Donbass. I russi paiono sul punto di vincere, hanno completamente circondato la cittadina, con l’assalto al villaggio di Khromove (periferia occidentale) e ad una pompa di benzina all’arrivo dell’autostrada 0504 (periferia sudoccidentale).
Gli ucraini non mollano, però. E la visita a sorpresa delle truppe da parte del generale Oleksandr Syrsky (comandante delle forze di terra ucraine) fa presagire che anche i difensori stiano preparando qualcosa, o un’azione per sfilare le truppe dalla sacca, o un contrattacco.
Il senso di Bakhmut
Il problema della battaglia di Bakhmut è capirne il senso. Si tratta di un crocevia, utile per attaccare Kramatorsk e Sloviansk, ultimi obiettivi dei russi nel Donbass. Ma merita davvero sette mesi di battaglia e (probabilmente) decine di migliaia di caduti?
Ricorda molto le battaglie della Prima Guerra Mondiale, quando alture, boschi, città insignificanti o quasi fino al giorno prima, diventavano improvvisamente obiettivi imprescindibili, per cui sacrificare anche centinaia di migliaia di uomini. Le perdite ucraine per difendere Bakhmut sono ignote, ma comunque molto gravi. Quelle russe, da fonti ucraine, ammonterebbero da un minimo di 10 mila a un massimo di 20 mila morti dal 1 agosto ad oggi.
La Wagner
Se vogliamo capire il perché di una battaglia, dovremmo sondare le intenzioni di chi l’ha iniziata, dunque il Cremlino. La battaglia di Bakhmut è associata al nome della compagnia Wagner e al suo fondatore, Evgenij Prigozhin, “lo chef di Putin”.
La compagnia Wagner è l’equivalente russo della legione straniera. È formata da volontari russi e anche stranieri, alcune foto mostrano con orgoglio la presenza di combattenti dal Mali, dal Centrafrica e ultimamente anche palestinesi. Il materiale umano è abbastanza discutibile, spesso il reclutamento avviene direttamente nelle carceri.
Come “ai bei vecchi tempi”, si sottopone il candidato alla scelta fra la galera o una possibilità di battersi con onore sui campi di battaglia. La legione straniera russa della Wagner si è distinta in azioni di contro-insurrezione in Siria e di peacekeeping in vari Paesi africani, i cui governi preferiscono i russi ai “neocolonialisti” francesi.
Peccato che gli anti-colonialisti russi si siano dimostrati sempre molto più cinici e disinteressati a risparmiare i civili nelle loro azioni contro i jihadisti. Per dirlo in numeri, in Mali negli scontri fra la Wagner e i jihadisti sono morti 725 civili, a fronte di 16 terroristi dell’Isis e di 20 di al Qaeda.
La battaglia di Prigozhin
Prigozhin ha fatto di Bakhmut la sua battaglia. E in questo ha vinto la sua guerra di propaganda. L’offensiva russa non è sostenuta solo dai suoi uomini, ma anche da paracadutisti russi e dalle milizie separatiste di Donetsk e Lugansk, ma i media parlano solo dei “wagneriani”.
Un primo significato di tanta carneficina, dunque, è politico. Come Kadyrov e i ceceni hanno avuto il loro momento di gloria nella battaglia di Mariupol, ora Prigozhin vuole la “sua” vittoria.
Carne da cannone
Però, siccome l’esercito russo non è (ancora del tutto) un esercito medievale formato da nobili, ciascuno con il proprio esercito, ma ancora una forza armata con comando centralizzato, che senso ha questo exploit della Wagner?
Il punto è che i contractors che vi combattono, siano essi stranieri o russi, se muoiono non hanno un impatto sulla società russa. Sono persone “sacrificabili” anche in gran numero. Le testimonianze, ormai numerose e tutte simili, dal campo di battaglia, rivelano tutte un grande sprezzo della vita umana.
Si parla di “onde umane” contro le postazioni ucraine, di attacchi di contractors nelle prime fasi dell’assalto, seguite da truppe meglio addestrate solo successivamente. E pare vi sia anche uno scarso coordinamento fra la Wagner e l’esercito regolare.
Lungi dall’essere l’élite delle forze russe, un mito rimasto vivo anche nei primi mesi di guerra in Ucraina, i “wagneriani” paiono più come la vecchia carne da cannone, da usare per attirare il fuoco nemico nelle azioni più pericolose.
Un’offensiva di logoramento
Alla luce di ciò, la battaglia di Bakhmut assume il suo vero significato: è un’offensiva di logoramento, lanciata dai russi per prendere tempo e riorganizzarsi. Dopo il fallimento della prima offensiva in Ucraina e le sconfitte subite a Kharkiv e Kherson l’estate scorsa, i russi hanno reclutato altri 300 mila uomini e aumentato la produzione industriale per equipaggiare nuove unità.
Avevano ed hanno bisogno ancora di tempo prima di lanciare di nuovo azioni offensive. Quindi, una battaglia di logoramento, per tenere impegnato il nemico e infliggergli gravi perdite, è stata evidentemente considerata come il modo migliore per guadagnare tempo. Tanto si manda la “carne da cannone”, che è sacrificabile.
La violenza degli occupanti
Gli esperti militari italiani filo-russi ribaltano la frittata e denunciano lo spreco di vite umane da parte dei comandi ucraini, ostinati nella difesa di una cittadina “secondaria”.
Ma trascurano il fatto fondamentale che ogni territorio abbandonato viene trasformato in un cimitero dagli occupanti: la decisione di non abbandonare più niente e nessuno deriva dalle fosse comuni scoperte a Bucha, Irpin, Gostomel, Borodianka, Izyum e tanti altri luoghi del dolore.
Gli ucraini sono dunque costretti, dalla violenza dell’occupante, a difendere il terreno palmo a palmo. I russi lo sanno e per questo possono permettersi una lunga battaglia di logoramento, infliggendo gravi perdite ai difensori e, letteralmente, ignorando le proprie.
La lezione da trarre
E questa è la vera lezione da trarre da questo massacro apparentemente insensato: abbiamo di fronte una Russia che ignora del tutto il valore della vita umana, a partire da quella dei suoi uomini.
I nostri eserciti occidentali fanno di tutto per preservare la vita dei loro uomini, come è evidente quando vediamo combattere gli americani, gli inglesi e gli israeliani nelle guerre contemporanee, dalle Falkland all’Afghanistan. I russi no, hanno ancora l’idea che l’importante sia la vittoria finale, a prescindere dal costo umano. Questo è l’avversario che ci troviamo (e ci troveremo ancora) di fronte. Siamo veramente pronti ad affrontarlo?