Esteri

Il ticket Trump-Vance per un’America che ritrovi se stessa

E che faccia piazza pulita delle follie woke e dei complessi di colpa che negli ultimi anni l’hanno frenata. Scelta di Vance coglie in contropiede le élite progressiste

Trump Vance (Cnn)

Nonostante i molti e prevedibili commenti negativi, la conferma della candidatura di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti rappresenta indubbiamente un fatto significativo per l’intero Occidente. Questo perché abbiamo bisogno di un’America di nuovo forte, che finalmente faccia piazza pulita delle follie dell’ideologia woke e dei complessi di colpa che negli ultimi anni l’hanno frenata, lasciando spazio alle autocrazie anti-occidentali come Russia, Cina e Iran.

In questo senso Trump è stato geniale indicando J.D. Vance come candidato alla vice-presidenza. Si tratta infatti di una figura nuova, giovane (tra poco compirà quarant’anni) e colta, la cui nomina coglie in contropiede le élite progressiste, abituate da sempre a dipingere gli esponenti del mondo conservatore come rozzi e ignoranti, e quindi inadatti a ricoprire cariche pubbliche.

La classe operaia bianca

Vance viene dall’Ohio, Stato chiave della Rust Belt, vale a dire la vasta regione degli Usa compresa tra i monti Appalachi e i Grandi Laghi, che un tempo era il cuore industriale e manifatturiero degli States. La globalizzazione, che ha consentito alla Cina comunista di diventare in pochi decenni la seconda potenza mondiale, l’ha poi desertificata, con la chiusura di aziende che prima erano leader internazionali nei loro settori, causando l’impoverimento della classe operaia bianca.

Quest’ultima era lo zoccolo duro dell’elettorato democratico, che faceva riferimento alle Trade Unions. Gli operai bianchi impoveriti hanno ben presto capito che alle élite del Partito Democratico importava assai poco della loro sorte. Hanno, tali élite, una visione globalista che le proietta nel mondo, disinteressandosi dei problemi interni americani.

E, non a caso, i bianchi poveri si sono sempre più staccati dai Democratici, votando Trump nelle ultime elezioni presidenziali. Con grande sorpresa degli analisti internazionali, abituati a considerare la “working class” bianca indissolubilmente legata ai Democratici. Grande merito di Trump è averlo capito subito, proponendo un programma volto a frenare il declino della Rust Belt e di altre aree di crisi.

Il fatto è che i bianchi sono ancora maggioranza nel Paese, anche se in misura minore rispetto al passato. Mentre si critica il “suprematismo bianco”, si chiudono gli occhi davanti ai danni prodotti da movimenti quali Black Lives Matter, e da una rilettura della storia americana che la identifica in toto con il razzismo, negando le fondamenta stesse sulle quali la nazione è sorta ed è diventata la prima potenza mondiale.

Un intellettuale pratico

Vance è l’uomo adatto per rimarcare queste storture. È un intellettuale conservatore molto pratico, che ha prestato servizio militare con i Marines in Iraq, ritornando in patria convinto che il governo Usa mandi all’estero i propri soldati senza avere le idee chiare circa gli obiettivi da conseguire (vecchia storia, già vista in Vietnam). Proviene da una famiglia umile e ha avuto un’infanzia difficile, riuscendo però a laurearsi in legge a Yale e diventare scrittore di successo.

Concorda con Trump nel sostenere che l’America, opponendosi all’ecologismo ideologico, deve ricostruire il settore industriale e manifatturiero che l’ha resa potente, recuperando le posizioni perdute negli ultimi anni. Combatte l’immigrazione clandestina ma è favorevole a quella legale quando serve agli interessi del Paese. Del resto ha sposato una donna di origine indiana e nessuno può quindi accusarlo di razzismo.

Naturalmente è ancora presto per dire se il ticket Trump-Vance vincerà, anche se i Democratici versano in una condizione di confusione estrema. Non v’è dubbio, tuttavia, che sarà in grado di competere con ottime possibilità di successo, e questo rappresenta un’ottima notizia per l’intero Occidente.

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