Esteri

Il vero messaggio di Putin è per noi: l’Ucraina non esiste, il nemico è la Nato

Riscrive la storia a suo uso e consumo, Incolpa la Polonia, Hitler “non poteva fare altro” (come lui in Ucraina). Poi recita la parte dell’amante respinto da Clinton e Bush

Putin Tucker Carlson (TCN su X)

I dittatori, oltre a controllare totalmente i media del loro Paese, nei momenti che ritengono importanti vogliono rivolgersi anche alla audience dei Paesi più potenti nel campo avversario. Lo fece anche Hitler, quando ormai aveva vinto la campagna di Francia, affidando la sua intervista al giornalista tedesco-americano Karl von Wiegand, per lanciare a un’America, ancora neutrale, ma già palesemente schierata dalla parte degli Alleati, la sua tesi: “ormai ho vinto la guerra, non ho nulla di male contro di voi, inutile che sprechiate i vostri soldi a sostenere la causa delle democrazie contro i vostri stessi interessi”.

Siccome la storia non si ripete mai allo stesso modo, ma spesso è ripetitiva, Vladimir Putin ha pensato di fare la stessa cosa accettando di essere intervistato al Cremlino dal giornalista americano Tucker Carlson.

Come Karl von Wiegand era una certezza per i tedeschi del 1940 (già noto per le sue sbilanciate corrispondenze da Berlino nella guerra precedente), anche Carlson, oggi, è una certezza per i russi, grazie ai suoi continui rilanci, nelle sue trasmissioni, dei principali argomenti della propaganda di guerra russa. Enfant terrible solo per gli americani di sinistra, Carlson è stato accolto da un Putin sicuro di non essere messo in discussione, di poter dire tutto quel che voleva, senza contraddittorio e senza limiti di tempo.

La lezioncina di storia

A dire il vero, il giornalista americano, ex anchorman di Fox, ha fatto la sua domanda sulla percezione russa della minaccia della Nato, per sentirsi rispondere “vogliamo fare dell’umorismo o parlare di cose serie?”. E una volta zittito l’ospite, Putin, il padrone di casa, ha incominciato la lezioncina di storia. O meglio: la storia ricostruita ad arte a immagine e somiglianza della sua ideologia, in cui la Russia nasce 700 anni prima del principato di Moscovia, l’Ucraina è parte della sua terra di origine, tutto è accaduto perché giganteggiasse la Terza Roma.

Un lungo discorso che, di fronte ad un ammutolito e ammirato Carlson, ha avuto l’unico scopo di dimostrare un solo concetto politico: l’Ucraina non esiste. Se finora è sempre stata riconosciuta come un Paese indipendente e sovrano, era evidentemente solo per graziosa concessione di Mosca.

Questo il succo, poi nei dettagli si nasconde il demone che l’americano, ormai ridotto a megafono, non ha probabilmente neppure saputo riconoscere. Arrivando alla storia contemporanea, infatti, Putin ha dichiarato che la Polonia è responsabile della Seconda Guerra Mondiale. Prima ha accusato Varsavia di aver “collaborato sempre con Hitler”, poi di aver tenuto un atteggiamento “troppo intransigente”. La conclusione è semplicemente mostruosa: “Hitler non ha potuto fare altro che iniziare la guerra contro la Polonia”.

Non ha potuto fare altro. Metafora perfetta per descrivere la sua stessa azione contro l’Ucraina. Siccome anche l’Urss si prese una fetta di territorio polacco, a seguito del Patto Ribbentrop-Molotov, Putin introduce una nuova distorsione della storia: quei territori (che oggi appartengono alla Bielorussia e all’Ucraina) vennero annessi “alla Russia, che allora si chiamava Urss”. Doppia menzogna: far coincidere la Russia con l’Urss (mentre era una delle sue repubbliche) e dichiarare così l’attuale Russia erede di tutti i territori dell’ex Urss. Compresi i Paesi Baltici?

La promessa che non ci fu

Quando il discorso torna sull’attualità, Putin sfodera nuovamente il suo repertorio classico. Prima di tutto ripete la menzogna ormai rilanciata talmente tante volte che anche in Italia è diventata verità: quella secondo cui la Nato avrebbe “tradito” una promessa fatta a Gorbachev nel 1990 di non espandersi a Est. Come abbiamo già spiegato su queste colonne, non solo non vi fu alcuna promessa simile, ma non avrebbe nemmeno potuto esserci: nel 1990 c’erano ancora l’Urss e il Patto di Varsavia, per cui un allargamento della Nato (termine improprio con cui si indica l’adesione di Paesi indipendenti e sovrani all’Alleanza) sarebbe ancora stato inconcepibile. Ma va bene, sappiamo che su questo punto, Putin continuerà ad insistere per mostrare la Russia vittima di una inesistente aggressione Nato.

L’amante respinto

Poi arriva la parte più interessante: Putin stesso avrebbe chiesto a Clinton di aderire alla Nato. E si sarebbe sentito umiliato dopo che l’allora presidente gli ebbe fatto intendere di poterlo ammettere come alleato, per poi negarglielo, a cena, dopo aver parlato “con i suoi consiglieri”. Lo stesso tipo di situazione, da amante respinto, si sarebbe ripetuta, anni dopo, con George W. Bush, quando Putin gli propose di realizzare uno scudo antimissile comune. In quel caso furono Robert Gates (allora segretario alla Difesa) e Condoleezza Rice (segretario di Stato) a dargli il due di picche, mentre Bush inizialmente pareva allettato all’idea.

Morale, quando Bush ha iniziato i lavori per la costituzione di uno scudo antimissile in Europa, assieme ai nuovi alleati cechi e polacchi, ma senza la Russia, Putin avrebbe perso definitivamente la pazienza.

Qui Tucker Carlson può aver toccato il cielo con un dito, convinto di aver dimostrato l’esistenza del Deep State. Putin ha infatti l’accortezza di assolvere i presidenti eletti e di incolpare ministri tecnici, come Gates e la Rice, la quintessenza del Deep State. Ma in questo modo svicola dalla domanda che un giornalista più attento avrebbe potuto fargli.

Voglia di rivincita

Allora la Nato non è così pericolosa, se Putin avrebbe voluto farne parte? Allora lo scudo antimissile non è così pericoloso, se avrebbe voluto parteciparvi? Solo un ideologo russo, o un esperto di geopolitica italiano, infatti, può condividere la logica contorta di un dittatore che, dopo aver ricevuto il rifiuto da un amico, invece di meditare sulla sua inadeguatezza, sul perché la Russia non fosse all’altezza degli standard (politici e militari) richiesti dall’Alleanza, inizia a considerarlo come un pericolo esistenziale.

A chiunque altro appare chiaro che si tratta solo di un discorso pretestuoso. Il discorso reale, che si legge fra le righe, è invece un altro: l’Urss ha perso la Guerra Fredda in modo umiliante, senza neppure combattere, ora la Russia vuole la rivincita con la Nato.

Sull’Ucraina, in sé, Putin non fa altro che ripetere la solita propaganda sul presunto nazismo ucraino, sulla rivoluzione del Maidan che lui vede come “golpe” organizzato dalla Cia e sul Donbass visto come un conflitto “scatenato dagli ucraini”. Sappiamo già tutto e sappiamo anche che è tutto falso. Ma già abbiamo capito che non importa, perché l’Ucraina è solo il primo campo in cui sfidare la Nato.

L’ostilità, lo dice Putin stesso, nasce dal fatto che la Russia è stata esclusa dalla Nato, dove avrebbe voluto entrare, certamente, per comandare, non per obbedire, con un peso pari a quello americano. L’onta viene indicata dal presidente nel summit Nato di Bucarest, dove l’Alleanza ha aperto le porte (per poi richiuderle subito, per altro) alla candidatura di Georgia e Ucraina, ma non alla grande Russia. Ai suoi occhi, i grandi del mondo, avrebbero potuto ammettere nel loro salotto due misere province, ma non la grande Russia.

Quale pace?

Ma se il problema, il nemico, è la Nato, perdono completamente di credibilità tutti i successivi discorsi sulla pace in Ucraina e sul possibile “congelamento” delle linee attuali.

Anche per quanto riguarda la continua resistenza degli ucraini dopo quasi tre anni di guerra, Putin non trova di meglio che la spiegazione della “guerra per procura”. Convinto che l’accordo fosse già a portata di mano nella primavera del 2022, dichiara che Zelensky abbia rotto le trattative per ordine di Boris Johnson, a sua volta fattosi portavoce di Biden. Non lo sfiora neppure il pensiero che, nei territori liberati dall’occupazione, le fosse comuni scoperte (ma sempre negate dalla propaganda russa e messe in dubbio dallo stesso Tucker Carlson) abbiano indotto gli ucraini a respingere ogni proposta di pace e combattere a oltranza.

Non lo sfiora, perché è sempre convinto che l’Ucraina non esista. Che ora sia solo un “satellite” (così lo definisce) degli Stati Uniti. In sintesi: che la sua sia una guerra contro la Nato, in un territorio cuscinetto.

Putin dichiara di non aver nulla contro la Polonia (“a meno che non mi attacchino”) o con i Paesi Baltici, ma diceva le stesse cose anche dell’Ucraina fino al 23 febbraio 2022. Il dittatore russo dà ad intendere che vuole la pace, che è pronto a firmare un accordo oggi stesso, basta che Biden lo voglia. Ma c’è da credergli? Dopo aver parlato di “denazificazione” quale suo obiettivo ultimo per l’Ucraina, della Nato come suo nemico numero uno, di che pace si sta parlando? Se non di una (nostra) resa?

Il killer e il giornalista

Già che c’era, nelle ultime battute di due ore e mezza di intervista, Putin ha fatto anche capire che è pronto a liberare il giornalista Evan Gershkovich, in carcere a Mosca da dieci mesi, con l’accusa di spionaggio, in cambio della liberazione di un killer dei suoi servizi segreti, arrestato per aver ucciso un separatista ceceno a Berlino. Nell’unico vero botta-e-risposta fra Carlson e il dittatore, Putin, dopo lunghe digressioni sullo spirito russo e il senso religioso, fa capire di non aver neppure capito la differenza fra un giornalista e un killer.

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