Mentre il jihad in Medio Oriente sperimenta la forza e la determinazione di Israele, in Africa trova sempre meno resistenza e guadagna terreno. Ormai sono almeno 23 su 54 gli Stati africani in cui i jihadisti sunniti hanno portato la loro guerra santa, la guerra più lunga della storia umana perché fu dichiarata contro cristiani ed ebrei nel 622, l’anno in cui il profeta Maometto fuggì dalla Mecca e si trasferì con i suoi seguaci a Medina.
Le enclave islamiste
In alcuni paesi, la Somalia ad esempio e gli stati del bacino del lago Chad, gruppi jihadisti legati ad al Qaeda o all’Isis controllano delle enclave inespugnabili nelle quali impongono regole e tasse. In molti paesi sono riusciti a radicarsi, hanno creato basi nelle quali addestrano i giovani che decidono di arruolarsi, attratti se non tutti dalla missione di conquistare territori e popoli all’islam, dalla prospettiva allettante di un salario e del potere che danno le armi di abusare di persone inermi, depredarle, sottometterle.
Da quelle basi partono per mettere a segno attentati, imboscate, attacchi anche oltre confine. Il loro potere è enorme. Colpiscono villaggi remoti, insediamenti isolati, ma non soltanto. Attaccano anche caserme, scuole di polizia, chiese e moschee. Penetrano nel cuore di grandi città e uccidono.
Gli attacchi
Nel 2021, in Mozambico, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, Ansar Al-Sunna Wa Jamma, un gruppo membro dell’Iscap (Islamic State Central Africa Province) formatosi nel 2017, è riuscito persino a impadronirsi per mesi di Mocimboa da Praia, una importante città portuale di oltre 130.000 abitanti che è stata liberata solo nel 2022.
Lo scorso agosto in Burkina Faso i militanti del Jnim (Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin) hanno aperto il fuoco su centinaia di persone intente a scavare delle trincee per impedire ai jihadisti di entrare nella loro città, Barsalogho, un centro di oltre 100.000 abitanti. I morti sono stati più di 400, forse 500, non è mai stato diffuso un bilancio esatto.
Anche diverse capitali africane – Abuja, Mogadiscio, Nairobi, Tunisi, Algeri, Ouagadougou, il Cairo, Bamako… – hanno già conosciuto la ferocia jihadista e la temono. A Mogadiscio, anche dopo che sono state installate migliaia di fotocamere, quasi ogni settimana al Shabaab, il gruppo somalo affiliato ad al Qaeda, mette a segno attentati dinamitardi scegliendo luoghi pubblici, alberghi e ristoranti frequentati da ministri, parlamentari, diplomatici e uomini d’affari. Il più grave, a un crocevia affollato, risale al 2017. Fece quasi 600 morti e più di 300 feriti. Il più recente risale al 17 ottobre. Una esplosione, nei pressi dell’Accademia di polizia e di un vicino ristorante frequentato da soldati e agenti di polizia, ha ucciso sette persone e ne ha ferite sei.
Burkina Faso, Mali e Niger sono attualmente i paesi in cui la minaccia jihadista è più forte per il numero di gruppi presenti, per la notevole estensione dei territori in cui sono riusciti a creare le loro basi operative, per la frequenza e la letalità degli attacchi e degli attentati messi a segno contro basi militari e insediamenti civili, per l’ampiezza del raggio d’azione entro cui riescono a colpire.
I colpi di stato
L’insicurezza crescente è stata uno dei motivi per cui i loro abitanti hanno festeggiato i colpi di stato militari con cui due volte in Mali, nel 2020 e nel 2021, due in Burkina Faso, entrambe nel 2020, e infine in Niger nel 2023 sono stati rovesciati i governi democraticamente eletti. La speranza era che i militari fossero meno corrotti dei politici e più capaci di ristabilire condizioni di vita tollerabili.
I leader militari dei tre i paesi hanno seguito linee d’azione simili: accusare i governi occidentali di non aver saputo sconfiggere il jihad, ordinare a truppe e in alcuni casi rappresentanze diplomatiche occidentali di lasciare il paese, affermare orgogliosamente di essere in grado di fare da soli potendo comunque contare sul sostegno militare della Russia, direttamente o tramite i mercenari del gruppo Wagner.
Ma se Onu, Stati Uniti ed Europa non sono riusciti a sconfiggere i jihadisti, i militari al potere, seppure sostenuti dalle forniture di armi e dalla presenza dei militari russi, si sono dimostrati ancora meno capaci di farlo. Gli attacchi e gli attentati si moltiplicano.
I successi dei jihadisti
L’episodio più grave in Niger è stata una strage di soldati governativi, 15 uccisi, 16 feriti e altri dispersi. Risale alla fine di luglio. Prima e dopo si contano decine di incursioni in villaggi e insediamenti. In Burkina Faso i gruppi jihadisti hanno intensificato gli attacchi ai civili. Colpiscono soprattutto dei villaggi lasciati incustoditi, alla loro mercé, ma anche, nei mesi scorsi, un campo profughi che avrebbe dovuto essere presidiato dall’esercito, una chiesa e una moschea. Il governo ha perso il controllo su metà del territorio nazionale.
In Mali, oltre ai jihadisti, il governo fa i conti con i separatisti Tuareg, per oltre dieci tenuti a bada dalle truppe francesi e di altri paesi europei e dalla Minusma, una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite. A fine luglio in una imboscata tesa dai Tuareg sono morti almeno 84 mercenari Wagner e 47 soldati maliani. Si è calcolato che nel 2023 gli attacchi jihadisti contro i civili sono aumentati del 38 per cento e quest’anno sta andando ancora peggio. Il mese scorso il Jinm è riuscito a colpire persino la scuola di polizia della capitale Bamako e l’aeroporto internazionale nel quale per qualche ora ha sventolato la bandiera di al Qaeda.
Infiltrazione in Ghana
Quasi incontrastati, è possibile che i gruppi jihadisti africani riescano a infestare i paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico dove già si sono infiltrati – Benin, Togo, Costa d’Avorio – e altri ancora. È di pochi giorni fa la notizia che stiano usando il nord del Ghana, che condivide con il Burkina Faso una frontiera lunga 600 chilometri, come base logistica.
Entrano nel paese per fare scorte di cibo, carburante, esplosivi e per far curare in ospedale i compagni feriti. A rivelarlo all’agenzia di stampa Reuters sono stati dei funzionari dei servizi segreti del Ghana. Fonti diplomatiche regionali lo hanno confermato aggiungendo che le autorità del paese chiudono un occhio e in cambio i jihadisti finora hanno evitato di attaccare obiettivi nel paese. Il rischio, però, è che mettano radici anche in Ghana e che trovino facilmente nuove reclute tra i giovani delle etnie locali emarginate.