Alzi la mano chi sa cosa sia lo scandalo Pincher. Si tratta, in estrema sintesi, dello scandalo che coinvolge Chris Pincher, “deputy chief whip” (responsabile dell’ordine del gruppo alla Camera dei Comuni, una carica che nessuno conosce al di fuori degli addetti ai lavori) del Partito Conservatore, il quale, lungi dal mantenere e far rispettare la disciplina agli altri, ha pensato bene di ubriacarsi e, non contento, di molestare anche due uomini, di cui uno è un deputato.
A causa sua, il governo Johnson sta cadendo, sotto i nostri occhi, prima con le dimissioni di massa dei ministri, poi con il ritiro della fiducia da parte dei parlamentari e infine con l’annuncio della dimissioni da parte dello stesso premier Boris Johnson, prima dalla carica di leader del partito e poi, si prevede in autunno, anche di primo ministro.
Le bucce di banana di BoJo
L’affaire Pincher si somma al precedente partygate, che già aveva messo in discussione la leadership di Johnson, poi salva grazie a un voto a maggioranza nel Partito. Nel partygate, Johnson era accusato di aver violato le regole del lockdown che lui stesso aveva imposto, ospitando un gran numero di persone a brindare (senza mascherina) nella sua sede a Downing Street.
Nel caso Pincher la responsabilità del premier non è diretta, ma viene accusato di aver saputo di precedenti e di non aver agito in tempo per prevenire. Per tutte e due le volte, Johnson è accusato di aver mentito, di aver dichiarato di non sapere, mentre poi sono emerse le prove sul fatto che sapesse.
I dossier importanti
In ogni caso si parla di questioni personali, molto piccole se paragonate ai grandi e drammatici eventi che il governo Johnson sta affrontando in questo periodo storico: l’appoggio all’Ucraina, l’inflazione record, la riapertura della crisi con l’Ue sulla definizione delle regole del confine irlandese (che è divenuto un confine Ue dopo la Brexit), il problema interno della Scozia, che vuole ancora la secessione e questo solo per citare i titoli di testa.
La crisi del governo non poteva arrivare in un momento peggiore, soprattutto considerando che Johnson si stava muovendo bene, in tutti questi dossier. Il Regno Unito, soprattutto, è capofila nella Nato quanto a impegno politico in difesa dell’Ucraina e l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza, fortemente voluto e sponsorizzato da Johnson, è anche un successo britannico.
La crisi economica colpisce duramente l’economia britannica e si temono proteste di piazza sempre peggiori, sul modello dei gilet gialli in Francia. Ma chi non è colpito dalla crisi economica, in questi mesi?
Ricorsi storici
Perché, allora, era proprio necessario far cadere il governo a causa di un parlamentare ubriaco e di un brindisi prematuro dello stesso Johnson? L’alcool, nel Regno Unito, sta facendo più danni dei russi. E non è un caso unico.
La storia britannica è sempre stata ricca di esempi in cui premier che raggiungono risultati enormi, poi scivolano su una buccia di banana e perdono il governo.
Winston Churchill
Anche Winston Churchill, che era il vincitore morale della Seconda Guerra Mondiale, unico fra gli Alleati ad aver combattuto coerentemente i nazisti dal 1939 al 1945, compresi i momenti più bui del 1940 (quando era da solo contro la macchina bellica tedesca)… ebbene quel Winston Churchill ha perso le elezioni del 1945, subito dopo la resa della Germania.
I negoziati di pace e gli ultimi mesi di guerra contro il Giappone sono stati infatti gestiti da Clement Attlee, un laburista di cui nessuno ricorda il volto. Le cause della sconfitta di Churchill? Nessuno le ricorda. È difficile rievocare, a quasi ottant’anni di distanza, cosa ne abbia offuscato l’immagine agli occhi dell’opinione pubblica di allora.
Margaret Thatcher
Margaret Thatcher, eletta per tre volte, negli anni Ottanta aveva fatto letteralmente rinascere l’economia britannica. Da “grande malato d’Europa” era diventata di nuovo una delle maggiori potenze industriali del mondo e una delle primissime potenze finanziarie (e lo è tuttora).
Nell’estate del 1990, la Thatcher stava gestendo, in prima persona, la vittoria della Guerra Fredda, a cui lei, assieme a Reagan, aveva contribuito più di ogni altro leader occidentale. E intanto stava iniziando a combattere la guerra del Golfo, che si sarebbe conclusa di lì a sei mesi, in una vittoria spettacolare e indiscussa delle forze occidentali contro Saddam Hussein.
Cosa comportò la sua caduta? La Poll Tax. E a questo punto, sfidiamo chiunque a ricordare cosa fosse. Si trattava di una tassa piatta (ad aliquota unica), a livello locale, per finanziare i servizi comunali. Erano previste riduzioni per le fasce di reddito inferiori e l’ammontare della tassa da pagare sarebbe stata proporzionale all’ammontare delle spese comunali.
In questo modo le amministrazioni locali avrebbero potuto entrare in competizione fra loro per tagliare le spese, abbassando le tasse e attirando cittadini e capitali. Una sorta di federalismo fiscale.
Le vere questioni
Sotto questi dettagli, sotto queste bucce di banana, tuttavia, ci sono questioni più grandi e inconfessate.
Churchill perse, perché gli inglesi, dopo sei anni di sofferenze in guerra, volevano più welfare state. E il Laburismo prometteva loro molto welfare state.
La Thatcher, anche lei, era sempre invisa a buona parte del suo partito, perché la sua politica economica liberale non era gradita all’ambiente più statalista. La causa dello strappo, tuttavia, fu anche la sua posizione sull’Europa. In un continente da ricostruire dopo il crollo della cortina di ferro, lei voleva un Regno Unito indipendente, amico degli europei, ma al di fuori dell’Unione.
Il partito iniziò a vederla come una posizione “anacronistica”, in un periodo in cui l’Unione politica pareva un destino ineluttabile dopo la fine della grande divisione ideologica. Anacronistica non la era: nel 2016 il voto sulla Brexit lo dimostrò. Oggi il suo maggior sostenitore cade in disgrazia, ma il percorso tracciato dal referendum non torna indietro, comunque.
Anche sotto la buccia di banana che ha fatto scivolare Johnson c’è qualcosa di più grande, ma dobbiamo ancora capire cosa. Ce lo dirà il prossimo premier conservatore.