Sta per svolgersi a Vilnius (11 e 12 luglio) il vertice della Nato in un momento critico per l’Alleanza, il secondo dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, e il segretario generale Jens Stoltenberg è stato appena riconfermato nell’incarico (per non “cambiare” durante la crisi). A Vilnius ci si concentrerà principalmente sulla valutazione collettiva e sulla risposta al conflitto in corso, anche in termini di pianificazione della difesa comune.
L’apertura di Erdogan alla Svezia
L’ingresso nell’Alleanza della Svezia come 32° membro rimane all’attenzione come possibile esito di assoluta importanza. Ma a causa dell’opposizione turca a questo allargamento, dovuta soprattutto a motivazioni ideologiche e di interesse interno, secondo molti la decisione potrebbe essere posticipata al prossimo vertice di Washington, che si terrà tra circa un anno, prima del voto per il Parlamento europeo e delle elezioni presidenziali americane.
L’autarchia turca accusa la Svezia di essere troppo indulgente nei confronti dei gruppi che, secondo Ankara, rappresentano una minaccia alla sua sicurezza, compresi i gruppi militanti curdi e le persone associate a un tentativo di colpo di stato del 2016 (rimane il dubbio se sia stato un vero tentativo di golpe o una farsa organizzata dallo stesso “Sultano” e i suoi accoliti per eliminare gli oppositori). Erdogan dimentica, non a caso, le “ingerenze” turche che a iniziare dall’occupazione di parte del territorio cipriota si sono poi estese con crimini di guerra in Armenia, Libia, Siria e territori curdi.
Va sottolineato che tutti gli altri membri hanno concordato che Stoccolma ha fatto abbastanza per soddisfare le richieste di Ankara. La Svezia ha cambiato la sua costituzione, modificato le leggi antiterrorismo e revocato l’embargo sulle armi alla Turchia.
Ad ogni buon conto, ieri sera da Erdogan, nell’incontro con il segretario della Nato Stoltenberg e il premier svedese Kristersson, è arrivata a sorpresa un’apertura che potrebbe sbloccare la situazione e far sì che la logica comune abbia il sopravvento sugli interessi di parte turca. Il presidente turco ha fatto sapere che sottoporrà quanto prima la ratifica dell’adesione della Svezia al Parlamento di Ankara senza ulteriori condizioni.
Alleati divisi su Kiev
Certamente la guerra alle porte ha riportato la necessità di coesione e concretezza dell’Alleanza in primo piano. Il vertice sembra destinato a essere dominato dalla discussione di come la Nato definirà le sue future relazioni con l’Ucraina. Su tutte le fonti d’informazione si fa risaltare il continuo e ripetuto appello di Kiev perché riceva un invito a entrare nell’Alleanza proprio a Vilnius.
Stoltenberg ha chiarito che Kiev non diverrà membro mentre la guerra è in corso e che dal vertice di Vilnius non uscirà nemmeno un invito formale, perché trascinerebbe tutti gli altri membri in un conflitto. Tuttavia, gli alleati sono divisi sulla tempistica con cui l’Ucraina dovrebbe essere autorizzata a unirsi dopo la fine dei combattimenti.
La proposta britannica
Mentre i Paesi dell’Europa orientale affermano che al vertice dovrebbe essere offerta una “road map” a Kiev, Stati Uniti e Germania diffiderebbero di qualsiasi mossa che possa avvicinare l’Alleanza alla guerra con la Russia. Nell’approssimarsi del vertice, più Paesi hanno sostenuto una proposta britannica per consentire a Kiev di “saltare” il cosiddetto programma “Membership Action Plan” (MAP), che stabilisce obiettivi politici, economici e militari che i Paesi candidati devono raggiungere. Obiettivi che anche le altre nazioni dell’Europa orientale hanno dovuto raggiungere prima di entrare a far parte dell”Alleanza.
Con una tale mossa, l’Alleanza potrebbe soddisfare le richieste di andare oltre la dichiarazione del vertice di Bucarest nel 2008, secondo cui l’Ucraina sarebbe diventata membro, senza offrire a Kiev un vero invito o calendario. È anche probabile che la Nato trovi una formulazione più forte rispetto al 2008 per sottolineare la prospettiva di Kiev di aderire all’Alleanza.
I leader potrebbero essere d’accordo su qualcosa come “il posto legittimo dell’Ucraina è nella Nato”, facendo eco alle osservazioni di Stoltenberg in una visita a Kiev ad aprile, o sottolineare che “la sicurezza transatlantica sarebbe incompleta senza l’Ucraina“.
Garanzie di sicurezza
I leader dovrebbero discutere anche quali garanzie di sicurezza Kiev dovrebbe ottenere nel Dopoguerra. Probabilmente includeranno la promessa di continui aiuti militari e finanziari a Kiev per dissuadere la Russia da un nuovo attacco una volta che la guerra sarà conclusa. Stoltenberg ha posto l’accento, prima del vertice, sul fatto che la Nato – ai sensi dell’articolo 5 del Trattato di Washington – fornirà garanzie di sicurezza a tutti gli effetti solo ai membri a pieno titolo dell’Alleanza.
In queste ore, nel corso di un tour in Europa e Turchia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua a chiedere ai suoi partner occidentali più armi e munizioni anche se, come noto, le scorte militari nazionali dei partner stessi si stanno esaurendo. In tale ottica, i vertici Nato stanno incoraggiando i 31 alleati ad aumentare i loro budget militari. Alleati che, nel 2014, si erano impegnati a passare alla spesa del 2 per cento del Pil per la difesa entro il 2024, ma secondo le nuove stime solo 11 Paesi raggiungeranno l’obiettivo nel 2023.
La sfida cinese
Se tragica e difficile da portare a soluzione democratica è la crisi provocata da Mosca, ben più complessa appare la “sfida” globale portata dalla Cina Popolare, “rivale sistemico” dell’ecosistema democratico, fondato sul rispetto di quelle regole del diritto che costituiscono il tessuto connettivo dell’Alleanza Atlantica (con l’eccezione della Turchia, almeno per ora).
La Cina Popolare è stata citata per la prima volta nella storia nell’ultimo Concetto Strategico Nato quale “sfida ai nostri interessi, sicurezza e valori”. “Sfida” che appare “globale” non solo geograficamente, con il tentativo di porre una “cintura” intorno all’Europa attraverso il controllo dei suoi porti e delle sue infrastrutture, colonizzando e rendendo dipendenti dal debito Paesi africani di cui sfrutta le risorse e “terre rare”.
L’assertività di Pechino nel quadrante Indo-Pacifico e, in particolare, nel Mar Meridionale, così come la no-limit strategic partnership con la Federazione Russa, hanno un impatto diretto sulla sicurezza euro-atlantica e per la Nato più di quanto non appaia.
Il nodo Taiwan
Una possibile crisi conseguente alla minacciata aggressione di Taiwan, oltre a privare le imprese occidentali di alta tecnologia del 90 per cento dei semiconduttori, impegnerebbe consistentemente gli Stati Uniti nel Pacifico, indebolendo il supporto Usa alla sicurezza europea, a tutto vantaggio della Russia.
Logico che i leader della Nato hanno avvertito che ciò che sta accadendo oggi in Europa può accadere domani in Asia. “Se la Federazione Russa vince in Ucraina, questo manderebbe il messaggio che i regimi autoritari possono raggiungere i loro obiettivi con la forza bruta”, ha detto Stoltenberg a Tokyo all’inizio di quest’anno, aggiungendo che “questo è pericoloso. Pechino sta guardando da vicino e imparando lezioni che potrebbero influenzare le sue decisioni future”.
Stoltenberg sicuramente si riferiva alle future decisioni di Pechino sulla Repubblica di Cina – Taiwan, un’isola autonoma e democratica che la Repubblica Popolare considera una sua provincia ribelle, pur senza aver mai avuto giurisdizione su quel territorio.
Il presidente Usa Joe Biden ha affermato in diverse occasioni che le forze americane avrebbero difeso la democratica Taiwan in caso di aggressione da parte della Cina Popolare. Ciò creerebbe il rischio che gli alleati della Nato e altri partner statunitensi siano coinvolti in un conflitto (un piano di emergenza che l’Alleanza dovrebbe pianificare!).
Le minacce ibride di Pechino
La Nato nella sua interezza appare preoccupata per altre potenziali minacce, comprese quelle che definisce le “operazioni ibride e informatiche dannose di Pechino e la sua retorica conflittuale e disinformazione”. L’Alleanza vede la Cina Popolare impegnata in un tentativo di controllare “settori tecnologici e industriali chiave”, infrastrutture critiche come il 5G, materiali strategici e catene di approvvigionamento. Inoltre, accusa Pechino di usare la leva economica per “creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza”.
Pechino insiste sul fatto di stare “dalla parte della pace” sull’Ucraina e anche se l’Indo-Pacifico si trova oltre l’ambito geografico del Nord Atlantico, la Nato deve prestare attenzione a questa regione. Auspicabile una dichiarazione ferma, al temine del vertice, in cui da Vilnius arrivi un deciso monito alla Cina Popolare perché rispetti le regole democratiche, l’integrità degli Stati e il diritto di libera circolazione nelle acque internazionali.
L’Italia
Il governo italiano ha chiarito che il nostro Paese non si considera e non è in guerra con la Federazione Russa, però, nello stesso tempo, appoggia e appoggerà “senza se e senza ma” l’Ucraina nel suo impegno a ristabilire i suoi confini e la democrazia.
Per Roma è sempre centrale il ruolo dell’Alleanza Atlantica e rimane assolutamente necessario rafforzare il ruolo dell’Europa nella Nato stessa. L’Italia può fare la sua parte perché secondo Paese alleato contributore in termini di quelle risorse umane (che sono fornite in modo encomiabile dalle nostre Forze Armate) e quinto sul piano finanziario. Il nostro Paese è pronto a giocare un ruolo da protagonista in seno all’Alleanza, soprattutto se la stessa guarderà sempre più al Mediterraneo che, non scordiamo, è il ”Mare Nostrum”.