L’intervento di due giorni fa dell’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger al World Economic Forum, a Davos, si poteva titolare “Kissinger chiede a Kiev di rinunciare ad alcuni territori” per arrivare la pace, ma anche “chiede a Mosca di ritirarsi sulle posizioni pre-invasione”. Entrambi i virgolettati sono falsi, nel senso che l’ex segretario di Stato non ha mai pronunciato testualmente queste frasi, anche se molti media hanno riportato come letterale la prima delle due. Noi provocatoriamente abbiamo scelto di titolare con la seconda, sebbene senza virgolette.
La prima interpretazione del suo intervento ha prevalso semplicemente perché è sembrata quella ad oggi più vicina alla situazione sul campo, quindi il punto di equilibrio che potrebbe realisticamente accontentare l’aggressore e convincerlo a fermarsi.
Cosa ha detto Kissinger
Peccato che non sia ciò che ha detto Kissinger. Leggiamo cosa ha detto testualmente l’ex segretario di Stato:
“Penso che i negoziati di pace debbano iniziare entro i prossimi due mesi, l’esito della guerra dovrebbe essere delineato prima che essa provochi disordini e tensioni che sarebbero difficili da superare, in particolare nelle relazioni tra Russia ed Europa e tra Ucraina ed Europa. Idealmente, la linea di confine dovrebbe essere un ritorno allo status quo ante. Perseguire la guerra oltre questo punto non riguarderebbe la libertà dell’Ucraina, ma sarebbe una nuova guerra contro la Russia”.
Cosa significherebbe per Mosca tornare allo “status quo ante”
Come si può notare, Kissinger non usa il verbo “rinunciare”, né “cedere”, né usa il termine “territori”. Con “status quo ante” si riferisce al ritorno alle posizioni precedenti l’invasione russa del 24 febbraio. Cosa significa in concreto? Basta guardare la mappa. Status quo ante vuol dire che la Russia dovrebbe ritirarsi da tutti i territori occupati dopo il 24 febbraio. Dunque, niente corridoio Donbass-Crimea, niente Mariupol, niente Kherson, territori che Mosca sta già russificando, e ritiro delle forze russe anche dal Donbass.
Lo status quo ante citato da Kissinger sarebbe infatti il ripristino di una situazione in cui la Russia controlla formalmente solo la Crimea e, solo informalmente, cioè attraverso le forze separatiste, una parte delle province di Luhansk e Donetsk. Prima del 24 febbraio di quest’anno infatti i separatisti filorussi non controllavano tutto il Donbass, ma circa la metà.
Ritirarsi da tutti i territori conquistati dopo il 24 febbraio ci sembra, mappa alla mano, una grande rinuncia per Mosca. Di sicuro, se così si concludesse la guerra – e per Kissinger “idealmente” dovrebbe concludersi così – non c’è dubbio che sarebbe una netta sconfitta per Putin. Letta in questo modo, la posizione dell’ex segretario di Stato appare persino irrealisticamente pro-Ucraina.
Tra parentesi, si potrebbe notare che il presidente Zelensky ha indicato proprio il ritiro russo entro le posizioni pre-invasione – lo status quo ante indicato da Kissinger – come condizione per avviare colloqui di pace. E ad essere onesti, andrebbe ricordato anche che finché sono rimasti in piedi i colloqui tra le due delegazioni russa e ucraina, nelle prime settimane di guerra, Kiev si era detta disponibile a discutere lo status di Crimea e Donbass una volta cessata l’aggressione e ritirate le forze russe.
A ritenere irrealistico l’approccio di Kissinger è Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, secondo cui “verrebbe probabilmente respinto dall’Ucraina perché chiede di concedere troppo e da Putin perché gli offre troppo poco”.
Status quo ante obiettivo di guerra e negoziale
Ma l’ex segretario di Stato non a caso ha usato la parola “idealmente”. Kissinger ha indicato il ritorno allo status quo ante invasione del 24 febbraio come legittimo obiettivo di guerra e negoziale di Kiev e degli alleati occidentali, mettendo in guardia, invece, dai rischi di andare oltre questo obiettivo, perché vorrebbe dire perseguire una sconfitta umiliante della Russia, che avrebbe effetti negativi sulla stabilità di lungo termine dell’Europa.
Si può discutere su questo, ma a nostro avviso Kissinger non intendeva prefigurare una soluzione diplomatica che possa mettere d’accordo ucraini e russi, non ha chiesto a Kiev di “cedere” territori, né a Mosca di “ritirarsi”, ma ha parlato degli obiettivi di guerra e negoziali dell’Occidente, suggerendo di limitarli al ritorno alle posizioni pre-invasione, e della necessità di avviare negoziati “entro due mesi” (quindi nemmeno subito).
Se vogliamo interpretare le sue parole come una possibile soluzione diplomatica, allora non si può ignorare che a fronte delle rinunce a cui sarebbe chiamata Kiev, il sacrificio preteso da Mosca con il ritorno allo status quo ante sarebbe tale da determinarne la sconfitta.
Il rischio umiliazione della Russia
Se ad oggi appare ottimistico un ritorno allo status quo ante, appare francamente fantascientifico che l’Ucraina abbia le forze per provare e riprendersi la Crimea e la parte di Donbass già sotto controllo dei separatisti al 23 febbraio. L’intransigenza odierna di Kiev ha una motivazione persino banale: perché dovrebbe concedere Crimea e Donbass quando l’aggressione russa è ancora in corso e non se ne vede la fine?
La preoccupazione di non umiliare la Russia, di consentire a Putin di “salvare la faccia”, di lasciargli una “via d’uscita”, ha assunto una certa centralità nel dibattito occidentale sulla guerra e il tema sembra accomunare filo-russi e atlantisti. I primi sottolineano il rischio umiliazione per avvalorare l’accusa agli Usa e alla Nato di voler prolungare il conflitto e di esserne in ultima analisi i veri responsabili. I secondi discutono quale sia il grado di sconfitta di Mosca desiderabile con una certa superficialità e troppo ottimismo.
Gli iniziali fallimenti russi e l’insperata resistenza ucraina hanno in qualche modo galvanizzato il fronte occidentale, che ha cominciato a intravedere la possibilità di infliggere una lezione a Mosca. Certo, dopo la clamorosa prova di inefficienza, l’immagine delle forze armate russe è scalfita, la Russia va probabilmente incontro ad un declassamento del suo status internazionale, come ha di recente osservato proprio Kissinger in un colloquio con il Financial Times.
“Quando arriverà il momento della soluzione, tutti devono tenerlo in considerazione, che non torneremo alla relazione precedente, ma a un posizione per la Russia che sarà diversa per questo motivo, e non perché lo richiediamo noi, ma perché lo hanno prodotto loro”.
Perché Putin può ancora vincere
Ma siamo ben lontani da una umiliazione della Russia. Al contrario, come avevamo avvertito su Atlantico Quotidiano, Putin può ancora vincere la guerra. Le forze russe sono ormai vicinissime a completare quella che il Cremlino considera la “liberazione” del Donbass. Anche se sappiamo che l’obiettivo iniziale era la caduta di Kiev e il controllo politico ed economico del Paese, facendone di fatto un protettorato, il Donbass, il controllo del corridoio verso sud-ovest con la Crimea, da Mariupol a Kherson, e la resa dei difensori dell’Azofstal, vendibile come “denazificazione”, sono successi che Putin può facilmente presentare come una vittoria.
Insomma, altro che umiliazione. Non possiamo nemmeno essere certi che si fermerà una volta completata la conquista del Donbass. Potrebbe fermarsi, per consolidare le nuove conquiste e preparare la successiva aggressione, come ha fatto nel 2014. Ma potrebbe anche avanzare verso Odessa a sud e verso Kharkiv a nord, per provare a prendersi subito l’intera Novorossiya e arrivare alla agognata “soluzione finale” della questione ucraina.
A cosa non può rinunciare Kiev
Se l’Ucraina sarà chiamata a dolorose concessioni territoriali, invocate ormai non solo da voci europee ma anche americane (vedi il recente editoriale del New York Times, preoccupato più che il prolungarsi del conflitto condanni i Dem ad una sconfitta alle elezioni di midterm), a due cose non potrà rinunciare, pena la sua fine come Stato indipendente: credibili garanzie di sicurezza da parte dell’Occidente, che prevedano un intervento diretto in caso di future aggressioni, e accesso al Mar Nero (Odessa).
Cosa diceva Kissinger nel 2014
Nel suo intervento al WEF, Kissinger ha ricordato il suo articolo del 2014 – molto citato, ma poco letto e ancor meno compreso – nel quale proponeva come “esito ideale” una Ucraina “neutrale”, una sorta di “ponte fra Europa e Russia” anziché una linea del fronte tra due schieramenti contrapposti all’interno dell’Europa. “Questa opportunità”, ha riconosciuto, “al momento non esiste più, non in quella forma, ma può ancora essere concepita come obiettivo finale”.
Esattamente come in questi giorni l’intervento di Kissinger al WEF è stato interpretato come una richiesta a Kiev di rinunciare a qualcosa, e non a Mosca, ancora oggi di quell’articolo viene ricordato solo il suggerimento al governo Usa di non spingere l’Ucraina a far parte della Nato. In effetti, l’ex segretario di Stato avvertiva che “trattare l’Ucraina come parte del confronto Est-Ovest, spingerla a far parte della Nato, affosserebbe per decenni ogni prospettiva di integrare la Russia e l’Occidente – e in particolare la Russia e l’Europa – in un sistema internazionale cooperativo”.
Tuttavia, si dimentica di ricordare che in quell’articolo i suoi avvertimenti erano rivolti anche a Mosca (tentare di riprendersi l’Ucraina con la forza avrebbe portato al suo isolamento) e che alla base della sua proposta c’era il riconoscimento dei principi dell’autodeterminazione del popolo ucraino e della integrità territoriale del Paese.
Kiev non avrebbe dovuto far parte della Nato, ma avrebbe potuto “scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, inclusa quella con l’Europa”, su cui Putin pose il veto a fine 2013, provocando l’Euromaidan. Né viene ricordato che in quell’articolo Kissinger riteneva l’annessione della Crimea da parte della Russia “incompatibile con le regole dell’ordine mondiale esistente”.