Henry Kissinger torna in pista alla fine dell’anno con un lungo articolo pubblicato sul The Spectator e un titolo che richiede la massima attenzione: “Guida di Henry Kissinger per evitare una nuova guerra mondiale”.
La proposta di Kissinger
L’articolo, prima di tutto, conferma che i kissingeriani italiani non avevano capito la sostanza della sua proposta di maggio.
Infatti la pre-condizione di ogni negoziato, secondo lui, è sempre il ritiro dei russi alle linee del 24 febbraio. E l’Ucraina dovrebbe anche entrare, di fatto e diritto, nell’Alleanza Atlantica. Lo scrive nero su bianco:
Un processo di pace dovrebbe legare l’Ucraina alla Nato. L’alternativa della neutralità non ha più senso, soprattutto dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Per questo motivo, a maggio, ho raccomandato di stabilire una linea di cessate-il-fuoco lungo i confini esistenti dove è iniziata la guerra il 24 febbraio. Da lì la Russia avrebbe ceduto le sue conquiste, ma non il territorio che ha occupato quasi un decennio fa, compresa la Crimea. Quel territorio potrebbe essere oggetto di un negoziato dopo il cessate-il-fuoco.
Certo non saranno contenti gli ucraini e la proposta resta in ogni caso discutibile: non verrebbero ripristinati i confini del 1991, riconosciuti ufficialmente anche dalla stessa Russia, oltre che dalla comunità internazionale e violati per la prima volta da Mosca nel 2014.
Ma in ogni caso, Kissinger (contrariamente ai kissingeriani più realisti del re) non sta suggerendo un compromesso al ribasso dove “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, ma la sconfitta della Russia.
Gli eventi del 1914-18
Il vero problema dell’analisi di Kissinger, semmai, è nella soluzione a lungo termine dopo la guerra. Perché è lì che torna il diplomatico che, per troppa propensione al compromesso, rischia di creare le premesse di una sconfitta e non di una pace duratura.
L’ex segretario di Stato parte da molto lontano, parlandoci della Prima Guerra Mondiale. Adotta il metodo di gran parte degli storici contemporanei, per cui quel conflitto va inteso come suicidio della civiltà europea, prodotto da una catena di errori dei governi di allora, senza distinguere troppo fra aggressori e aggrediti.
A suo dire, la guerra si sarebbe potuta fermare con una pace di compromesso nel 1916, con la mediazione americana, ma il presidente Wilson non si impegnò abbastanza, per motivi soprattutto elettorali. La guerra durò altri due anni e così completò la distruzione dell’ordine europeo e gettò le premesse per un secondo conflitto mondiale.
Questa interpretazione degli eventi del 1914-18, comune agli storici cattolici (“l’inutile strage”), progressisti e realisti, l’abbiamo sentita migliaia di volte. Ma è una semplificazione della realtà che è stata diffusa a posteriori, soprattutto per motivi politici, per giustificare la distensione con l’Urss, di cui Kissinger fu il principale promotore negli anni Settanta.
Una pace fragile
In realtà le opinioni pubbliche, nel 1916, non avrebbero mai accettato una pace di compromesso, dopo il sacrificio di milioni di loro concittadini. Non disponiamo di un controfattuale, ma possiamo ben immaginare che una pace di compromesso del 1916, oltre che improbabile, sarebbe stata anche poco duratura: qualsiasi governo avrebbe promesso di completare il lavoro.
Lo possiamo affermare con una certa sicurezza perché la pace del 1918 fu, a tutti gli effetti, una pace di compromesso. Non fu il prodotto di una sconfitta militare decisiva, ma di un negoziato condotto dal nuovo governo socialdemocratico tedesco, frutto della rivoluzione contro il kaiser, ma mai accettato dall’esercito che non si riteneva sconfitto.
Al compromesso del 1918 seguì la pace fragile che portò, dopo una tregua ventennale, al conflitto successivo.
La lezione del Vietnam
Kissinger dimostra, dunque, di non aver ben compreso la lezione della storia del Novecento. E neppure quella dei suoi stessi errori.
La “pace di Parigi” per il Vietnam portò alla caduta di Saigon nelle mani dei comunisti in appena due anni.
La distensione con l’Urss fu all’origine della più grande espansione dell’influenza sovietica nel mondo, in Asia, Africa e America latina. Finché non fu Ronald Reagan a invertire il corso degli eventi, l’Urss stava dilagando.
Il posto della Russia
E non ci si potrebbe attendere un esito diverso, se i governi occidentali dovessero seguire il suggerimento di Kissinger sull’ordine internazionale da stabilire dopo la fine della guerra in Ucraina:
L’obiettivo di un processo di pace sarebbe duplice: confermare la libertà dell’Ucraina e definire una nuova struttura internazionale, soprattutto per l’Europa centrale e orientale. Alla fine la Russia dovrebbe trovare un posto in questo ordine. Il risultato preferito da alcuni è una Russia resa impotente dalla guerra. Non sono d’accordo. Nonostante la sua propensione alla violenza, la Russia ha dato contributi decisivi all’equilibrio globale e all’equilibrio di potere per oltre mezzo millennio.
Forse, però, è dai tempi della Santa Alleanza (1815-1853) che la Russia non contribuisce più all’equilibrio europeo, ma si pone come potenza espansionista e, in tempi sovietici, anche rivoluzionaria e destabilizzatrice in tutto il mondo.
Il tassello mancante
Questo è il tassello mancante dell’analisi di Kissinger: non distingue uno Stato dall’altro. Ma i governi non sono tutti uguali. Con Putin ancora al potere, con un regime che ha condotto guerre di conquista ogni sei-sette anni dal 2008 ad oggi, la Russia non potrà mai trovare alcun posto nell’ordine internazionale.
Come la Germania nel 1918, anche la Russia post-sovietica non si ritiene sconfitta dopo la fine della Guerra Fredda. L’esercito non ha mai accettato di aver dovuto cedere potere e terreno dopo il 1989.
La Russia, esattamente come la Germania un secolo fa, ha ancora una sua vocazione imperiale virulenta. Una pace che le ridia un ruolo nel mondo sarebbe solo una tregua fragile, prima della sua prossima offensiva contro l’Europa.