Ipnotizzati dalle elezioni americane e dalla scelta dei segretari nella prossima amministrazione Trump, rischiamo di perderci la notizia più importante sul Medio Oriente da un anno a questa parte.
La stima Onu
Cosa è successo? Non sui campi di battaglia di Gaza e del Libano, ma nelle sedi delle Nazioni Unite, è stata di colpo ribaltata la narrazione prevalente del conflitto mediorientale: i morti palestinesi non sono 42.200, ma 8.119, ultima stima accertata riguardo alle operazioni dal 1 novembre 2023 al 30 aprile 2024. Lo si legge nel rapporto pubblicato dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, lo scorso 8 novembre.
La stima è stata elaborata con le dovute cautele, perché si parla pur sempre di una guerra in corso e di una zona, la Striscia di Gaza, che è difficilmente accessibile in modo sicuro da ispettori civili e riguarda i primi sei mesi di guerra. Quindi va presa con le molle. Ma la differenza fra la stima delle Nazioni Unite (8119 morti per i primi sei mesi di guerra) e quella diffusa a ottobre dal “Ministero della Sanità” palestinese (42.200 morti) è troppo eclatante per essere ignorata.
Da notare che il Sud Africa, denunciando alla Corte Internazionale di Giustizia per “genocidio” Israele, nel gennaio scorso (otto mesi prima della pubblicazione del rapporto) parlava di 25.700 vittime dell’azione militare israeliana. E un mese fa, il 14 ottobre, lo stesso segretario generale dell’Onu, senza attendere i risultati di un’indagine condotta dall’Onu stessa, parlava in pubblico di 42.200 vittime dell’azione israeliana a Gaza, riportando pari-pari i numeri diffusi dalla propaganda… pardon, dal “Ministero della Sanità” palestinese.
Si parla di morti, a cui va tutto il nostro rispetto e come rileva giustamente Iuri Maria Prado, sul Riformista:
Si tratta, evidentemente, di una materia delicatissima e da affrontare con il dovuto tatto. Perché neppure 8 mila, ma già solo 8 morti sono troppi, sempre e comunque. È una necessità di pietoso riserbo, tuttavia, che dovrebbe comandare la parola di tutti, ma di cui non sente la pressione chi da un anno a questa parte largheggia nella distribuzione propagandistica di quei numeri incontrollati soltanto per fare chiasso, per rimestare nella carne della popolazione sofferente e agitare poi le mani sanguinanti a denuncia dello sterminio.
Silenzio e misinformazione
Se le indagini dell’Onu sul campo sono difficili e le ultime stime sono da prendere con le molle, perché tutti, persino Guterres stesso, con grande sicumera, hanno deciso di diffondere le cifre della “Sanità” palestinese? E perché, neppure di fronte a questo rapporto, la stragrande maggioranza dei media italiani e internazionali non si pone neppure il dubbio di aver detto il falso sul numero dei morti a Gaza?
Perché, detto per inciso, la reazione dei media italiani, dopo la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, è stata peggiore del silenzio: andate su Google, cercate la notizia e troverete solo che “il 70% delle vittime sono donne e bambini, secondo il rapporto dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani”. I maniaci della correttezza dell’informazione, la chiamerebbero: misinformazione. Cioè l’uso polemico e tendenzioso di una notizia che, benché vera, è estrapolata dal suo contesto.
Campagna contro Israele
Non è paranoia se affermiamo che è in corso una campagna di mostrificazione di Israele. Senza tirare in ballo l’antisemitismo, che comunque è ancora vivo e diffuso, la causa è l’ideologia anticolonialista fuori tempo massimo che identifica in Israele (paese nato con una guerra di indipendenza) un residuo di colonialismo occidentale e “bianco”.
Israele, in tempo di pace, viene accusato di razzismo e apartheid, condanne che l’Onu ha cercato addirittura di formalizzare, più volte nel passato recente, come durante la Conferenza contro il razzismo di Durban nel 2001. In tempo di guerra, Israele viene accusato di genocidio.
E non è la prima volta che succede, perché anche durante la Seconda Intifadah (2000-2005) veniva usata l’etichetta “genocidio” per condannare le operazioni antiterrorismo, anche in quel caso sparando cifre inverosimili delle vittime civili palestinesi, poi tutte regolarmente smentite. Singolare fu il caso del raid israeliano a Jenin nel 2002: “500 morti civili” che poi si rivelarono essere 48, di cui appena 5 erano civili.
Il genocidio non c’è
Non si tratta di un lavoro da macabri contabili delle disgrazie altrui: sparare una cifra piuttosto che un’altra fa la differenza fra la vita e la morte delle comunità ebraiche nel mondo, soprattutto in Europa, dove subiscono la pressione delle comunità islamiche.
Se gli israeliani, in un anno, hanno provocato 42.200 morti a Gaza, con una percentuale altissima di civili, quasi tutti bambini, allora stanno compiendo un genocidio. Allora è “normale” che ad Amsterdam vengano aggrediti per strada. Diventa “normale” che un albergo nelle Dolomiti non accetti clienti israeliani. È “comprensibile” che collettivi studenteschi occupino le università e pretendano l’interruzione di ogni rapporto e collaborazione con le istituzioni di uno Stato “genocida”. Diventano “giustificate” le aggressioni a chiunque porti la kippah. Perché c’è un “genocidio” e allora, si sa, c’è qualcuno che si può arrabbiare nei confronti di chi fa parte dello stesso popolo “genocida”. Ma il punto è che: il genocidio non c’è. A Gaza è in corso una guerra, non uno sterminio sistematico.
In compenso, le cifre mostruose (in tutti i sensi) sparate a reti unificate sulle vittime civili a Gaza, provocano anche una colpevole rimozione: quella delle 1.200 vittime israeliane del pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023. Di fronte al “genocidio di Gaza” le vittime di un atto genocida vero, gli ebrei di Sderot e dei kibbutz del Negev occidentale, vengono cancellati dalla memoria collettiva con un atto di negazionismo in tempo reale.