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La controffensiva ucraina e la guerra ibrida di Mosca: intervista a Di Pasquale

Massimiliano Di Pasquale: Kherson snodo centrale. La strategia del caos di Mosca: in Italia un sistema di influenze e ingerenze ma anche soft power

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Massimiliano Di Pasquale è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici di Roma dove dirige l’Osservatorio Ucraina. Esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive. Per la Gaspari Editore ha pubblicato diversi saggi sull’Ucraina ed è in uscita in agosto la nuova edizione di “Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta”.

La controffensiva di Kiev

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Ritiene che il ritardo nella consegna di armamenti da parte dell’Occidente abbia compromesso le capacità di Kiev di opporre una resistenza efficace all’offensiva russa nel Donbas? Quanto ritiene realistica una controffensiva ucraina e una riconquista almeno parziale dei territori occupati dai russi?

MASSIMILIANO DI PASQUALE: Non credo che il ritardo nella consegna di armamenti da parte dell’Occidente abbia compromesso le capacità di resistenza dell’Ucraina in Donbas ma sicuramente ha reso più complicata la controffensiva. Va da sé che è molto più facile difendere un territorio che riconquistarlo una volta caduto in mano nemica.

Gli avvenimenti di queste ultime settimane dicono però che grazie agli Himars, i sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità forniti dagli Stati Uniti, l’Ucraina sta riconquistando posizioni soprattutto a sud, nella oblast di Kherson. Il Donbas è indubbiamente un fronte cruciale, ma nell’economia complessiva del conflitto altrettanto importanti sono le regioni meridionali di Odessa e Mykolayiv, ancora in mano agli ucraini, e quella di Kherson, città occupata dai russi.

La battaglia per Kherson

A detta di diversi analisti militari la battaglia per Kherson potrebbe essere la chiave di una nuova strategia resa possibile proprio dall’utilizzo di armi a lungo raggio considerate in questo particolare frangente perfette perché sfruttano la scarsa pianificazione bellica della Russia.

Gli attacchi ucraini su due ponti chiave nella regione, così come gli attacchi ai depositi di armi e ai posti di comando russi, fanno parte del lavoro preparatorio per un’offensiva di terra attraverso la quale la regione di Kherson potrebbe essere completamente liberata già a settembre.

Kherson è uno snodo cruciale perché collegato al Donbas e soprattutto alla Crimea. Se l’esercito ucraino riuscisse a riprendere la città e la sua oblast potrebbe, tra le altre cose, bloccare l’afflusso di risorse idriche alla penisola occupata dal Cremlino nel 2014 e mettere in seria difficoltà Mosca.

Un progetto imperiale

TADF: In caso di conquista russa dell’intero Donbas, Putin si fermerebbe o ritiene che avanzerebbe verso altri obiettivi? E quali?

MDP: L’obiettivo di Mosca, come ribadito più volte anche dallo stesso ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, va ben oltre la regione mineraria ucraina del Donbas.

L’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022, definita con linguaggio orwelliano da Putin “operazione militare speciale di denazificazione”, non è che il culmine di una guerra ibrida iniziata nel 2014 con l’annessione della Crimea in febbraio e la successiva apertura, in aprile, di un fronte di guerra in Donbas, il cui scopo è la ricostituzione di una sfera d’influenza russa nei territori un tempo appartenuti all’ex Urss e al Patto di Varsavia.

Putin ha recentemente affermato che la sua missione è simile a quella dello zar Pietro I, conosciuto nella pubblicistica russa come Pietro il Grande. Quello di Putin è dunque, per sua stessa ammissione, un progetto imperiale e un attacco alla civiltà occidentale e alle sue istituzioni democratiche e liberali.

Ancora oggi in Italia dopo quasi 6 mesi di guerra, nonostante gli eccidi, gli stupri e le atrocità perpetrate dai soldati russi a Bucha, Irpin, Mariupol e in altre città ucraine, chi contesta l’idea che “occorra offrire una via d’uscita per Putin” e che “non bisogna umiliare la Russia” viene bollato come guerrafondaio e russofobico.

La realtà è che la guerra terminerà solo quando il regime di Putin, un regime cleptocratico che unisce tratti di nazismo e di stalinismo, verrà definitivamente sconfitto. Perché ciò avvenga l’Occidente deve essere unito e consapevole che le mire imperiali del Cremlino non riguardano solo l’Ucraina ma l’intera Europa.

La caduta del governo Draghi, che tanto si era speso a livello europeo a favore dell’Ucraina, è emblematica della capacità di destabilizzazione di Mosca nel Vecchio Continente.

La guerra ibrida di Mosca

TADF: Nell’ambito della guerra ibrida quali sono le principali capacità russe? È un settore in cui Mosca potrebbe reggere un confronto diretto con l’Alleanza Atlantica?

MDP: Il tema della guerra ibrida e dell’uso dei mezzi non lineari come la dezinformatsiya per influenzare e dividere l’opinione pubblica in Europa è cruciale per comprendere i contorni di questo conflitto.

Valery Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze armate russe, ha sottolineato come “il ruolo degli strumenti non-militari nel conseguimento di obiettivi strategici politici e militari è cresciuto e, in molti casi, questi strumenti hanno superato il potere delle armi in quanto ad efficacia”.

È proprio l’applicazione di questo schema, unitamente alla debolezza dell’Occidente che ha colpevolmente ignorato le mire egemoniche di Putin già palesi in Georgia, Siria e in Africa, che ha permesso ad un attore relativamente debole come la Russia di affrancarsi da una posizione difensiva convenzionale e di diventare un’autentica minaccia per la sicurezza in Europa.

La strategia del caos

Mentre nell’ambito della guerra convenzionale Mosca ha dimostrato in Ucraina di non essere affatto invincibile, il Cremlino dimostra un’indubbia forza quando usa mezzi ibridi, basti pensare alla leva energetica, alle interferenze elettorali, al finanziamento a partiti e movimenti populisti, agli attacchi cibernetici, e alla dezinformatsiya veicolata attraverso media e/o intellettuali organici o collegati alla Russia.

È la cosiddetta strategia del caos che in ambito militare ha un pedigree ben consolidato ed è generalmente appannaggio delle potenze più deboli, ossia di quelle che possiedono meno opzioni strategiche perché hanno minori risorse rispetto alle superpotenze.

Tale strategia promette infatti di compensare l’inferiorità strategica di un attore debole. Poiché l’impegno diretto delle forze russe contro i moderni sistemi militari statunitensi e Nato si rivelerebbe estremamente costoso e probabilmente inefficace, la Russia preferisce manipolare lo scenario a suo vantaggio cercando di impedire l’ingresso diretto nel conflitto della forza militare statunitense e dell’Alleanza Atlantica, creando divisioni interne e isolamento esterno in politica estera.

L’influenza russa in Italia

TADF: Dal suo punto di vista, che influenza ha la dezinformatsiya russa sull’opinione pubblica italiana? Chi sono i principali agenti di disinformazione nel nostro Paese a suo avviso?

MDP: Il fenomeno della disinformazione ha assunto dimensioni preoccupanti anche in Italia, basti pensare all’indagine aperta i primi di maggio dal Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) in seguito alle polemiche suscitate dall’intervista del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e alla partecipazione in diversi programmi di propagandisti del Cremlino.

Tra questi Nadana Fridrikhson, dipendente di Zvezda TV, emittente del Ministero della difesa russo; Petr Fedorov, capo del dipartimento rapporti internazionali della tv russa RTR, costola di VGTRK, uno dei tre media russi sanzionati dalla Ue; Vladimir Solovyov, presentatore di Perviy Kanal, uomo molto vicino a Putin, soggetto a sanzioni anche personali e proprietario di due ville milionarie sul lago di Como, poste sotto sequestro; Yulia Vityazeva, che lavora per NewsFront, outlet sanzionato dal Tesoro Usa per l’attività di disinformazione e propaganda focalizzata sul supporto delle forze armate russe in Ucraina e Aleksandr Dugin, ideologo del Cremlino, tra gli ideatori della ‘primavera russa’ in Donbas del 2014.

Ciò che è emerso in questi mesi è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che interessa il nostro Paese da sempre e che sarebbe finanche riduttivo confinare al concetto di disinformazione.

Sin dai tempi della guerra fredda l’Italia è stata interessata da operazioni che si definiscono misure attive, dal russo Aktivnie Meropriyatiya. Sono qualcosa di più e di diverso dalla semplice dezinformatsiya, sono un sistema di interferenze e ingerenze che la Russia utilizza come armi politiche contro i Paesi che considera ostili. Unitamente a questo tipo di azioni il Cremlino ha sempre esercitato una forte influenza culturale nel nostro Paese. Il soft power russo è considerevolmente aumentato negli ultimi 15 anni interessando un’ampia sfera di attori e istituzioni.

Neo-eurasisti e Russlandversteher

Lo studio realizzato dall’Istituto Gino Germani intitolato L’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani, distingue due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi in Italia: i neo-eurasisti e i Russlandversteher.

I neo-eurasisti italiani hanno opinioni radicali pro-Mosca e anti-occidentali e percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché come un potenziale alleato contro le élite della Ue e “globaliste” che avrebbero impoverito l’Italia privandola della sua sovranità.

I Russlandversteher italiani, invece, hanno una posizione filorussa moderata e pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. La scuola di pensiero Russlandversteher che adotta narrazioni strategiche russe su molte questioni (ma non attacca direttamente la Nato e l’Ue) è il paradigma più influente tra gli esperti di politica estera, gli accademici e i giornalisti italiani. Molti dei più importanti programmi universitari post-laurea incentrati sulla geopolitica e sugli affari internazionali sono gestiti da accademici ed esperti di orientamento Russlandversteher.

Inoltre, negli ultimi anni diverse università italiane hanno stabilito partnership con istituzioni accademiche russe, in particolare con il MGIMO, una scuola di formazione per diplomatici russi e una università dove i servizi di intelligence russi sono stati attivi nel reclutare studenti per prepararli come funzionari d’intelligence, agenti sotto copertura e specialisti in misure attive.

Il problema non è tanto chiedersi chi siano i principali agenti di disinformazione nel nostro Paese quanto riflettere sulla pericolosa china che ha preso l’Italia odierna dove l’antiamericanismo, l’antioccidentalismo e l’ammirazione per la Russia sembrano più forti che in passato.