Esteri

La Corte Suprema vieta il razzismo nelle università. E i Dem impazziscono

Abbattuto un altro totem liberal: il razzismo alla rovescia delle affirmative actions per l’ammissione all’università. Violano il XIV Emendamento, quello che garantì diritti agli ex schiavi

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Dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade sull’aborto, un’altra decisione della Corte Suprema Usa che farà discutere e che pone un argine al politicamente corretto e all’ideologia woke ormai dilagante. È arrivata ieri una storica sentenza contro il “razzismo alla rovescia” delle affirmative actions, quelle discriminazioni “positive” concepite per favorire l’integrazione delle minoranze in passato discriminate e socialmente svantaggiate.

Razza o merito?

Il caso riguardava i criteri per l’ammissione alle università americane. In due cause intentate dall’associazione Students for Fair Admissions contro Harvard e l’Università della Carolina del Nord, i giudici hanno stabilito, con una maggioranza di 6 contro 3, che è incostituzionale considerare la razza nei criteri di ammissione al college, respingendo le argomentazioni delle due università, secondo cui i loro programmi di ammissione sono finalizzati a garantire la “diversità” nei campus.

I dati delle ammissioni ad Harvard rivelano un’incredibile discriminazione su base razziale. Uno studente afroamericano nel 50esimo percentile dell’indice accademico ha maggiori probabilità di essere ammesso rispetto ad uno studente bianco o asiatico nel 100esimo percentile.

Come osserva il Wall Street Journal, la sentenza costringerà a rivedere i criteri di ammissione in tutta l’istruzione superiore americana, dove per decenni la ricerca della “diversità” è stata considerata un dogma, anche a scapito della ricerca del merito.

Violato il XIV Emendamento

“Molte università … hanno concluso, erroneamente, che la pietra di paragone dell’identità di un individuo non siano le sfide superate, le abilità sviluppate o le lezioni apprese, ma il colore della pelle. La nostra storia costituzionale non tollera questa scelta“, ha scritto il presidente della Corte John Roberts nell’opinione di maggioranza. “Eliminare la discriminazione razziale significa eliminarla tutta… E l’Equal Protection Clause [contenuta nel XIV Emendamento, ndr], abbiamo di conseguenza sostenuto, si applica indipendentemente da differenze di razza, colore o nazionalità – è universale nella sua applicazione”.

Nello specifico, il XIV Emendamento – proprio quello approvato dopo la Guerra di Secessione per garantire i diritti degli ex schiavi – garantisce che gli individui ricevano uguale protezione legale dalle agenzie statali, comprese le università pubbliche, uno standard che si applica anche alla maggior parte dei college privati che ricevono finanziamenti federali. La Corte ha consentito preferenze razziali solo per rimediare a specifici atti di discriminazione illegale, non per compensare generiche ingiustizie sociali che si dice derivino da pratiche storiche.

Lo shock dei progressisti

Il concetto ribadito dalla Corte è in fondo di una semplicità disarmante: i criteri di ammissione dovrebbero basarsi sul merito, i candidati non dovrebbero essere giudicati in base alla loro razza o etnia. Le basi dell’anti-razzismo. Eppure, nel capovolgimento della realtà e della logica tipico dei progressisti, non accettare che un giudizio sia basato sulla razza diventa razzismo.

Così si sono espressi, in dissenso, i tre giudici liberal: la società “non è, e non è mai stata, daltonica”, ha scritto il giudice Sonia Sotomayor, affiancata dai giudici Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson, accusando la maggioranza conservatrice della Corte di “radicare la disuguaglianza razziale nell’istruzione” e di “ignorare le pericolose conseguenze di un’America in cui la sua leadership non rifletta la diversità del popolo”.

Ma come osserva il giudice Clarence Thomas nel suo parere concorde, “mentre sono dolorosamente consapevole delle devastazioni sociali ed economiche che hanno colpito la mia razza e tutti coloro che subiscono discriminazioni, nutro una speranza duratura che questo Paese sarà all’altezza dei suoi principi così chiaramente enunciati nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione degli Stati Uniti: che tutti gli uomini sono creati uguali, sono cittadini uguali e devono essere trattati allo stesso modo davanti alla legge“.

E aggiunge, commentando l’opinione dei giudici liberal: “Tale visione è irrazionale; è un insulto al successo individuale e cancerogena per le giovani menti che cercano di superare le barriere, piuttosto che consegnarsi al vittimismo permanente“.

Le critiche di Biden e Obama

Moto di indignazione dei Democratici. A criticare la sentenza è persino il presidente Joe Biden in una dichiarazione in cui si è detto “fortemente in disaccordo” con la Corte e ha espresso la sua “forte delusione” per la sentenza, che “ha di fatto messo fine all’affirmative action nelle ammissioni ai college” e “si è allontanata da decenni di precedenti”. “Le discriminazioni esistono ancora negli Stati Uniti”. “Credo che i nostri college siano più forti quando c’è diversità razziale”. E ha aggiunto: “C’è bisogno di un nuovo percorso, non possiamo lasciare che questa sia l’ultima parola”.

“Cuore spezzato” quello dell’ex presidente Barack Obama: “Come ogni politica, l’affirmative action non era perfetta. Ma ha permesso a generazioni di studenti come Michelle e me di dimostrare che lo meritavamo. Ora tocca a tutti noi offrire ai giovani le opportunità che meritano”. Questa sentenza “ha messo un gigantesco blocco nella marcia del nostro Paese verso la giustizia sociale”, ha commentato il leader Dem al Senato Chuck Schumer.

La scappatoia

Come reagiranno ora le università? Smetteranno di essere razziste in nome dell’ideologia woke? Il rischio è che cercheranno di nascondere meglio la valutazione dei candidati in base alla razza, magari eliminando o annacquando i criteri accademici oggettivi, come titoli e voti, rendendo quindi più difficile dimostrare che qualcuno molto qualificato sia stato discriminato.

Anche perché è la stessa Corte a fornire alle università una scappatoia, laddove Roberts precisa che “nulla in questa opinione dovrebbe essere interpretato come un divieto alle università di considerare la discussione di un candidato su come la razza abbia influenzato la sua vita, sia attraverso la discriminazione, l’ispirazione o altro”.

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