La disfatta di Kamala apre una crepa profonda nel disegno del progressismo

Una sconfitta che obbliga i Democratici, non solo americani, ad una riflessione: “inclusione” e clima non bastano, perso il contatto con le preoccupazioni concrete della classe media

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Il ritorno di Trump è una vittoria che scuote l’America e segna la sconfitta dei Democratici. Hanno tentato di tutto: attacchi personali, processi e attentati. Ma l’America è andata oltre. Ha parlato, e con un voto che ha sorpreso (ma in realtà non tanto) il mondo intero, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca.

Un Paese diviso

La sua vittoria è una testimonianza potente di un Paese profondamente diviso, un riflesso di una società in cerca di identità, che si è rivolta nuovamente ad un leader controverso, ma capace di catalizzare i sentimenti e le paure di milioni di persone.

Il voto popolare la dice lunga sulla vicinanza degli americani a chi ha promesso una nuova “età dell’oro” per l’America. Un pezzo di elettorato si è mosso anche sull’onda emotiva e indubbiamente ha prevalso il tipo di comunicazione di Trump anziché della Harris. La sconfitta dei Democratici, incarnata nella figura di Kamala Harris, sta suscitando un’eco profonda tra le fila di un partito (anche in Italia) che si interroga ora sulla propria capacità di rispondere ai bisogni di un’America sempre più polarizzata.

La vittoria di Trump, per alcuni inaspettata, ma auspicata, racconta di un’America che ancora una volta sceglie il nazionalismo, la forza economica e la sicurezza, rigettando le promesse di cambiamento dei Democratici. Molti elettori hanno visto in lui un difensore dei valori tradizionali, una figura capace di proteggere il Paese dalle incertezze di un mondo globalizzato e sempre più interconnesso. Questa scelta riflette una spaccatura che attraversa la società americana, tra coloro che abbracciano un futuro più inclusivo e progressista e coloro che cercano stabilità e identità in un mondo in rapido mutamento.

La lunga notte elettorale ha confermato che la retorica di Trump, per quanto divisiva e spesso provocatoria, ha trovato ancora una volta una potente risonanza tra coloro che si sentono esclusi dal sogno americano, traditi da istituzioni percepite come lontane e indifferenti. Non si tratta solo di una vittoria politica, ma di un messaggio profondo che rivela il bisogno di sicurezza, identità e appartenenza.

La crisi Dem

La sconfitta di Kamala Harris è più di una battuta d’arresto personale; è una crepa vera e propria nel progetto democratico. Harris, gettata di colpo in pasto alla kermesse elettorale, senza passaggi necessari ad un progetto così importante, voleva rappresentare una speranza per milioni di persone, soprattutto giovani, donne e minoranze, che avrebbero dovuto vedere in lei un simbolo di progresso e giustizia sociale. Eppure, la sua campagna non è riuscita a catturare la totalità dell’elettorato, è stata debole e priva di contenuti, perdendo il contatto con le preoccupazioni concrete della classe media americana.

La discesa in campo al suo fianco dei grandi nomi dello spettacolo ha ancor di più segnato la pochezza della candidata, che anziché parlare di economia e di aiuti alle classi sociali fragili ha preferito schierare chi di questi temi non conosce l’Abc. L’insistenza su temi progressisti come la riforma della polizia, la giustizia climatica e le politiche inclusive e le donne si è rivelata inoltre insufficiente per conquistare una popolazione che cerca stabilità economica e risposte pragmatiche.

Questo risultato obbliga il Partito Democratico, non solo americano, ad una riflessione profonda. È evidente che il messaggio progressista e il tentativo di rispondere alle sfide sociali e climatiche, sebbene apprezzati da una parte dell’elettorato, non hanno avuto l’impatto sperato. La sconfitta di Harris dimostra che il partito deve riscoprire un linguaggio capace di parlare alle fasce più tradizionali dell’elettorato, altrimenti rischia di alienarsi ulteriormente.

Il messaggio rassicurante di Trump

L’elezione di Trump non è solo una riaffermazione di forza personale, ma il ritorno di un leader, l’unico rieletto dopo un primo mandato e una sconfitta, che promette sicurezza, patriottismo e una politica che guarda innanzitutto agli interessi americani. La sua retorica “America First” risuona profondamente in un’epoca di incertezze e di crisi globali. Con un programma orientato alla riduzione delle tasse, alla deregulation e a politiche che privilegiano l’industria e il settore energetico tradizionale, Trump si presenta come una scelta di continuità per coloro che temono un cambiamento radicale.

Il suo messaggio è diretto, netto, e per molti rassicurante: più sicurezza interna, meno interferenze estere, e un’economia che vuole mettere l’America al centro. Gli elettori che lo hanno sostenuto lo hanno percepito come un uomo capace di proteggere i loro interessi, di difendere la loro cultura, e di riportare gli Stati Uniti a una posizione di forza globale.

La vittoria di Trump e la sconfitta dei Democratici dimostrano che le scelte politiche non rispecchiano solo preferenze elettorali, ma profonde divisioni culturali e sociali che definiscono il volto dell’America contemporanea. Questa elezione evidenzia il contrasto tra un Paese che guarda al passato con nostalgia e uno che vorrebbe abbracciare il cambiamento e la diversità. Il ritorno di Trump segna quindi l’inizio di una nuova fase, una fase di consolidamento per le politiche conservatrici e di riflessione per quelle progressiste.

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