Gerusalemme – Nonostante i gravi colpi inferti dall’esercito israeliano, il movimento palestinese Jihad Islamica a Gaza ha ottenuto vari vantaggi dall’ultima guerra contro Israele. Alcuni media occidentali hanno scritto che Israele ha “vinto” la guerra lampo, che aveva tenuto (in particolare) il sud del Paese sotto assedio per tre giorni.
In realtà, anche se Israele ha eliminato due importanti leader del movimento terroristico, la Jihad Islamica è riuscita a rafforzare la propria immagine e influenza nella regione. Fino al 5 agosto, data in cui Israele ha lanciato l’attacco preventivo contro Gaza, iniziando l’operazione “Breaking Dawn”, la Jihad Islamica era solo un movimento secondario, che non poteva competere con la popolarità di Hamas nella Striscia di Gaza.
Dopo tre giorni di guerra e circa 1.100 missili lanciati contro Israele, invece, la Jihad Islamica può dire di essere diventata uno fra i più importanti movimenti di resistenza nella regione e di aver ottenuto il completo sostegno di Teheran.
Come è iniziata la guerra
Il primo agosto, durante un’operazione a Jenin, Israele ha arrestato un comandante della Jihad Islamica nella West Bank, Bassam al-Saadi, assieme al genero Ashraf Zidan Mohammad al-Jada.
Subito dopo l’arresto, la Jihad Islamica ha cominciato a pianificare attacchi terroristici contro le cittadine israeliane intorno alla Striscia, con lo scopo di mettere pressione a Israele per il rilascio di Bassam al-Saadi e del detenuto amministrativo palestinese Khalil Awawdeh, diventato uno dei simboli della resistenza palestinese, dopo oltre 150 giorni di sciopero della fame. L’esercito israeliano (IDF) ha quindi alzato il livello di allerta nel sud del Paese, chiudendo le strade ai veicoli civili.
La popolazione israeliana, sentendosi sotto assedio, ha richiesto al governo di intervenire. Il 5 agosto, il governo israeliano ha pertanto deciso di bombardare preventivamente Gaza, dopo aver ricevuto l’informazione da parte dell’intelligence che la Jihad Islamica era pronta ad attaccare Israele.
Il bombardamento, nonostante abbia causato anche vittime civili, ha visto l’eliminazione di Taysir al-Jabari, un importante comandante delle Brigate Al-Quds (Saraya al-Quds), braccio armato della Jihad Islamica. La risposta del movimento terroristico è stata immediata, ha dato mostra della sua forza militare lanciando missili verso il sud del Paese e verso Tel Aviv, centro economico e culturale di Israele.
Il secondo giorno di guerra: il “Gaza Envelope“
Il secondo giorno di guerra, la Jihad Islamica ha continuato a lanciare missili senza interruzione, soprattutto nel sud del Paese. Uno degli scopi proclamati di questa organizzazione (durante la guerra) è infatti quello di rendere impossibile la vita nel “Gaza envelope“, ovvero la parte di Israele che si trova entro i sette chilometri dalla Striscia, in modo tale da spopolarla dai cittadini israeliani.
In parte, riuscendo nel suo scopo. Molti abitanti dell'”envelope” hanno dichiarato che per la prima volta hanno pensato di trasferirsi da questa area, che in ogni guerra viene colpita senza tregua.
In effetti, vari bus hanno evacuato parte della popolazione, esausta dal continuo lancio di missili, che non ha permesso nemmeno di uscire dal mamad, ovvero il rifugio antimissile (dal momento in cui suona la sirena, la popolazione nell'”envelope” ha solo 15 secondi per raggiungere il mamad e solo le case più nuove ne hanno uno in casa).
Il secondo giorno di guerra: l’incontro a Teheran
L’evento più significativo del secondo giorno di guerra, però, è stato l’incontro a Teheran del leader della Jihad Islamica Ziyad al-Nakhalah con il generale iraniano Hossein Salami, attuale comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC). Durante l’incontro, Salami ha detto che “il collasso dell’entità sionista” è un “percorso irreversibile” e che “la liberazione di Gerusalemme è imminente”.
E’ importante sottolineare che il 4 agosto, prima dell’inizio della guerra, al-Nakhalah ha incontrato il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Come riportato dal Middle East Media Research Institute (MEMRI), durante l’incontro, Raisi ha detto: “Non abbiamo dubbi sulla vittoria della resistenza palestinese e sulla liberazione di Gerusalemme… Oggi, le nazioni musulmane della regione odiano la predatoria entità sionista e considerano la resistenza la linea principale e fondamentale per affrontarla.”
Il giorno prima, il 3 agosto, al-Nakhalah si è inoltre incontrato con il ministro degli affari esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, con il presidente del Majlis (il Parlamento iraniano) Mohammad Baqr Qalibaf e con Ali Akbar Velayati, consigliere per le relazioni internazionali del Leader Supremo, l’ayatollah Ali Khamenei.
L’Iran, che sta negoziando con gli Stati Uniti gli accordi sul nucleare, ha infatti tutto l’interesse a mettere pressione su Washington, utilizzando i movimenti terroristici in Palestina e in Libano, che ricevono finanziamenti da Teheran, per lanciare una guerra regionale per procura (proxy war) contro Israele, come ha già fatto in passato.
Nella serata del secondo giorno di guerra, però, Israele ha colpito duramente la Jihad Islamica, uccidendo Khaled Mansour, un altro importante leader del movimento palestinese.
Il terzo giorno di guerra: Tisha b’Av
Il 7 agosto, il terzo giorno di guerra, gli analisti israeliani hanno temuto che Hamas potesse entrare nel conflitto, come avrebbe voluto la Jihad Islamica. Il 7 agosto, infatti, è caduta la ricorrenza del Tisha b’Av (giorno di digiuno in memoria di eventi luttuosi per il popolo ebraico, fra cui la distruzione del Primo Tempio nel 586 a.C. e del Secondo Tempio da parte delle truppe di Tito nel 70 d.C.).
In molti si aspettavano tensioni sul “Monte del Tempio” (noto anche come “Spianata delle Moschee”), dato che era previsto che numerosi ebrei religiosi sarebbero andati (come da tradizione) a pregare sulla spianata, rendendo inevitabile l’entrata di Hamas nel conflitto.
Nella mattinata del 7 agosto, la Jihad Islamica ha infatti inviato un missile di avvertimento verso Gerusalemme, che è stato lanciato verso la zona di Beit Safafa (un quartiere a prevalenza arabo). La polizia israeliana (composta in Città Vecchia a Gerusalemme da una maggioranza di arabi israeliani) è stata però abile a gestire la situazione, anche perché il numero di ebrei religiosi che si sono presentati al “Monte del Tempio” è stato inferiore al previsto.
La Tregua
Nel pomeriggio del 7 agosto, si sono susseguite informazioni sull’inizio di una tregua, mediata dall’Egitto. Le prime notizie sono state di una tregua verso le otto di sera, che però è stata rinviata dalla Jihad Islamica, che fino all’ultimo ha voluto dettare le proprie condizioni. Alla fine, verso le dieci di sera, i media hanno informato che la Jihad aveva accettato un cessate-il-fuoco per le 23.30, dopo che il Cairo si era impegnata a mediare la liberazione di Bassam al-Saadi e Khalil Awawdeh.
La Jihad Islamica ha tenuto poi a rivendicare la propria vittoria lanciando l’ultimo razzo alle 23.50 verso l'”envelope“. Il giorno dopo, inoltre, come richiesto dalla Jihad Islamica, Israele ha inviato trenta camion carichi di carburante a Gaza, dopo la riapertura dei valichi di frontiera.
Secondo alcuni siti d’informazione palestinese, Awawdeh potrebbe essere mandato in un ospedale per accertamenti medici, come richiesto dalla Jihad Islamica, e poi rilasciato, nei prossimi giorni. I quotidiani israeliani però scrivono che per adesso lo Stato ebraico non ha fretta di rilasciare né Awawdeh né al-Saadi.
E’ importante ricordare che, a Gaza, Hamas tiene in ostaggio due israeliani (Avraham Mengistu, israeliano di origine etiope di Ashkelon, e Hisham al-Sayed, arabo-israeliano di un villaggio beduino nel Negev) e ha i corpi di due soldati dello Stato ebraico (il sergente Oren Shaul e il sottotenente Hadar Goldin, morti nella guerra del 2014).
Hamas, il grande assente
Sin dall’inizio della guerra, Hamas ha deciso di non entrare nel conflitto. Una decisione che dimostra come sia diventato un movimento politico pragmatico.
Nella guerra degli undici giorni dello scorso maggio 2021, Hamas è stato considerato il “vincitore” della guerra, per aver paralizzato la vita in Israele ed essersi affermato con la violenza come il rappresentate della popolazione palestinese. Il movimento islamista non intende quindi partecipare in guerre nelle quali potrebbe perdere la propria popolarità.
Inoltre, la Jihad Islamica è in competizione con Hamas a Gaza, e non è un suo interesse prestare soccorso a un rivale. Se la guerra fosse durata più giorni, sicuramente Hamas avrebbe dovuto scendere in campo, per non essere accusato dalla popolazione palestinese di aver abbandonato il proprio popolo e la resistenza.
Inoltre, nonostante Israele fosse preparata a ogni tipo di scenario (aveva già detto di voler richiamare 25 mila riservisti), neppure Hezbollah si è fatto sentire, anche perché la situazione politico-economica in Libano è talmente in crisi, che il gruppo sciita non può permettersi di entrare in una guerra con Israele.
La Jihad Islamica supera Hamas
Nonostante la distruzione portata su Gaza, la Jihad Islamica si ritiene la vincitrice di questa guerra. In primo luogo, il movimento è infatti riuscito a dettare i termini della tregua e a rendere insopportabile la vita degli israeliani nel sud del Paese.
La cosa più importante però è che la Jihad Islamica ha superato o quantomeno uguagliato la popolarità di Hamas. E’ stato sicuramente positivo per Israele che Hamas non sia entrato nel conflitto, ma potrebbe essere anche un fattore negativo, dato che non è a beneficio dello Stato ebraico la crescita della Jihad Islamica nella Striscia.
Inoltre, la Jihad Islamica (un movimento sunnita!) si è adesso guadagnata l’ammirato sostegno di Teheran. Durante l’incontro con il consigliere di Khamenei, il leader al-Nakhalah ha detto: “Il Leader Supremo ha un posto importante nel nostro cuore che non ha eguali in tutto il mondo. Siete i nostri fratelli maggiori e svolgete un ruolo importante in Iran e oltre”.
Inoltre, il giorno della tregua, al-Nakhalah ha dichiarato la vittoria del suo movimento direttamente da Teheran.
Per quanto riguarda il governo Lapid, l’esito di questa guerra verrà valutato dagli stessi israeliani alle urne il prossimo ottobre. Israele ha ucciso due importanti comandanti della Jihad Islamica, ma questo non sembra aver indebolito il movimento, che adesso sembra soddisfatto del risultato della guerra, a cui ha dato il nome di “Unity of Battlefields” (Wahdat Al-sahat, in arabo), ovvero l’unione dei campi di battaglia della Cisgiordania con quelli di Gaza (pertanto qualsiasi cosa accada nella West Bank riceverà una risposta armata da Gaza e viceversa). Per il momento, la Jihad Islamica sembra essere riuscita in questo intento.