La minaccia nucleare di Putin, pericolo reale o bluff?

L’aggiornamento della dottrina nucleare di Mosca sembra qualcosa di assolutamente rivoluzionario. I russi grandi giocatori di scacchi; ma gli americani di poker…

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Putin nucleare

Domenica 17 novembre 2024 il presidente Usa Joe Biden ha autorizzato l’utilizzo di missili Atacms (Army Tactical Missile Systems), concessi all’Ucraina, sul territorio russo. Prodotti dall’americana Lockeed Martin, sono missili balistici a corto raggio che, a seconda dei modelli, possono colpire fino a 350 chilometri di distanza, anche se tutte le testate giornalistiche si sono affrettate a dire che erano armi a lungo raggio.

Essendo missili balistici, volano molto più in alto nell’atmosfera dei normali proiettili di artiglieria e vanno molto più rapidi, scendendo sulla terra ad altissima velocità con impatto molto maggiore sul bersaglio. Per essere precisi è bene ricordare che sotto i mille chilometri, tutti i missili balistici devono essere considerati a corto raggio e, correttamente, “tattici”.

La mossa Usa

Questa decisione rispondeva a due logiche parallele: (1) complicare l’agenda della nuova amministrazione Trump, rendendo più difficile, se non in modo brusco e politicamente umiliante, una eventuale (ma non certa) Ukrainexit; (2) consentire alle esauste forze ucraine presenti nel saliente di Kursk (in territorio russo, vero!) di poter rispondere, in modo più incisivo, alla potente controffensiva russa, appoggiata dalla carne da macello nordcoreana.

La nuova dottrina nucleare russa

Per tutta risposta lunedì 19 novembre ecco che il presidente russo emana un decreto che aggiorna la dottrina nucleare di Mosca. Dopo la premessa di rito che “le armi nucleari sono una misura di ultima istanza per proteggere la sovranità del Paese” ecco che vengono chiariti i nuovi parametri che consentono l’uso delle armi nucleari. In particolare – si legge – è stata “ampliata la categoria degli Stati e delle alleanze militari soggette a deterrenza nucleare”. È stato aggiunto l’elenco delle minacce militari che richiedono tali azioni per essere neutralizzate.

L’aggressione di qualsiasi Stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di un paese nucleare, sarà considerata un attacco congiunto alla Federazione Russa: “una risposta nucleare da parte della Russia è possibile in caso di minaccia critica alla sua sovranità, anche con armi convenzionali, in caso di attacco alla Bielorussia, come membro dello Stato dell’Unione, in caso di lancio massiccio di armi nucleari, aerei militari, missili da crociera, droni e altri velivoli e il loro attraversamento del confine russo”.

La distruzione reciproca

Tutto sta dunque nel definire cosa significa, per i russi, minaccia “critica”. E qui subentra la propaganda, che annebbia la verità e che va scacciata per capirci davvero qualcosa. Sulla carta, gli Stati Uniti seguono, solo in parte, il principio del cosiddetto no first use e la Russia non lo ha mai formalizzato e neppure ci ha mai creduto. In altre parole: Mosca e Washington potrebbero anche non aspettare che l’avversario lanci la sua bomba atomica per rispondere con la stessa arma.

Va detto, però, che ogni qual volta si è rischiata una crisi nucleare tra le due superpotenze, i due attori hanno fatto un passo indietro. La paura dell’apocalisse mondiale era più forte della volontà di distruggere l’avversario; perché finirebbero distrutti tutti, attaccante compreso. Questo assunto, di origine occidentale, e mai accettato dalla dottrina sovietica che poco distingueva tra ordigni convenzionali e nucleari, venne riassunta nella teoria del MAD (termine che come acronimo significa mutual assured destruction, “distruzione reciproca assicurata”, e come singolo lemma si traduce con “pazzo”) che altro non era che una versione nucleare dell’assunto clausewitziano dell’ascesa all’estremo”.

Anche se lo sviluppo tecnologico degli anni Ottanta poteva consentire quell’approccio dialettico sull’utilizzo dell’arma nucleare, sviluppato già negli anni Sessanta con il nome di teoria della flexible response, de facto l’arena internazionale rimase ferma agli assunti postulati da Hermann Kahn nel 1960 con “On Thermonuclear War”, testo che il 38° vice presidente Hubert Humphrey commentò: “Nuovi pensieri, in particolare quelli che contraddicono le ipotesi attuali, sono sempre dolorosi da contemplare per la mente umana. La guerra termonucleare è piena di tali pensieri”.

Le minacce di Putin

Il cambio di dottrina nucleare da parte di Putin per così come appare, sarebbe qualcosa di assolutamente rivoluzionario: per la prima volta si contempla l’utilizzo dell’arma nucleare anche in caso di asimmetrico uso della forza e non nel confronto diretto tra potenze di eguale (o quasi) caratura; per la prima volta si parla di reazione nucleare anche nel caso della “guerra per procura”. In questo senso la propaganda russa, da oltre mille giorni, non riconoscendo la sua aggressione nei confronti di un paese sovrano, parla di uno stato fantoccio che combatte una guerra d’aggressione per conto terzi.

Abbandoniamo le amenità e concentriamoci sulle reali minacce poste da Putin che non è chiaro se parli al suo popolo o all’Occidente (o a tutte e due). L’elemento pericoloso della nuova dottrina putiniana risiede nel fatto che una minaccia, per essere credibile, può essere enunciata una o più volte, ma poi deve concretizzarsi, pena la sua perdita di credibilità (un po’ come nel “Al lupo, al lupo!” della fiaba).

In questo Putin e tutto il suo team di governo, eccetto Lavrov, hanno – già da fine febbraio 2024 – minacciato il minacciabile in caso di violazione del territorio nazionale. Peccato che dal settembre 2022 – data dei referendum di annessione – Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia e Crimea sono territorio russo. Ulteriori minacce nell’agosto 2024 quando gli ucraini sfondarono la linea di Kursk. Nulla successe! Solo 10 giorni fa Kyiv ha minacciato di dotarsi di armi nucleari, visto che il plutonio non le manca di certo (sempre che delle 1800 testate smantellate dopo lo sciagurato Memorandum di Budapest del 1994 non siano sparite dalla contabilità qualche “pillole” sovietica). Putin ha ringhiato, ma nulla!

Regola vuole che se si vuole colpire, lo si deve fare senza mettere i manifesti al balcone. Fatto salvo che – dobbiamo essere chiari e certi – uno scontro tra la Russia e l’Occidente è solo dilazionabile, fino a che Putin resterà in questo mondo e quelle fino a d’ora pronunciate paiono solo smargiassate, almeno alle raffinate orecchie occidentali.

I rischi

Eppure, vi sono dei rischi: nel lontano luglio 2022 (le date sono importanti) Limes riportava una intervista con Ivan Preobraženskij, analista geopolitico russo, per il quale Putin paragonava il conflitto in Ucraina alla Grande guerra del Nord contro gli svedesi (1700-21), sottendendo che Lui era il nuovo Pietro il Grande. Di fronte a certe prospettive che appartengono ad una retorica, tutta nazionale, come si dimostra da una ricca pubblicistica russa, il neo-realismo politico, diventa una proiezione dell’irrealtà.

Il confronto posto in essere da Putin è esistenziale e non sistemico, come nelle categorie di Walz. La razionalità degli attori viene a finire, laddove i medesimi parlano lingue concettuali differenti: la storia vs l’algoritmo.

Le critiche alla Nato

Certo, si può argomentare criticamente l’allargamento della Nato ad Est, ma questa opzione è para-scientifica, e non resiste all’esperienza fattuale del confronto. Il confrontarsi sulla opportunità dell’allargamento dell’Alleanza, come competitor sistemico della Russia, è falso sotto due livelli: (1) la Russia è – come diceva Obama – una potenza regionale rispetto alla Nato; (2) la richiesta dell’allargamento venne da Est, proprio da quei Paesi che conoscevano la Russia e dalla quale volevano fuggire.

Allargando la proiezione non può sfuggire che la formazione dell’Alleanza Atlantica e quella della Unione europea seguono le medesime direttrici; anzi, rafforzando il tema e – ahimè – ponendo sullo sfondo i padri fondatori, è facile dire che la seconda dipenda dalla prima.

Sarebbe bello pensare che un trattato “firmato” dalla Russia possa essere rispettato. Nulla di più improbabile. Vi sono prove: si potrebbe citare il recente caso del 1994. Ma andando indietro nell’esperienza storica, fino al parossismo, così cara al botulinato autocrate del Cremlino, ecco ricordare Ivan III ed i suoi falsi accordi con la Repubblica di Peskov (XV sec.) o quelli sull’influenza, divenuta poi occupazione della Crimea e parte dell’Ucraina da parte di Caterina la Grande (XVIII). Basterebbe vedere la mappa dell’Ucraina posta di fronte alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, 30 per cento più grande dell’Ucraina del 2014.

Ritornando alla sostanza: la Russia propone una nuova dottrina nucleare? I russi sono grandi giocatori di scacchi; ma gli americani sono giocatori di poker: vediamo le carte!

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