Abbiamo visto nel terzo articolo come Angela Merkel abbia ottenuto il completamento del gasdotto Nord Stream 2, Vladimir Putin fatto pressione per accelerare la messa in esercizio e Joe Biden per rallentarla. Sino a che l’invasione dell’Ucraina congelò lo stallo.
La nuova crisi ucraina
Come inizio della nuova crisi ucraina abbiamo scelto il 7 dicembre 2021, quando Biden minacciò Putin di “forti misure economiche”. Solo se tali forti misure avessero incluso sanzioni sull’importazione di gas russo, la domanda avrebbe smesso di essere quando procedere e sarebbe tornata ad essere se procedere.
Ma tali sanzioni erano tutt’altro che scontate. Di quel colloquio, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan spiegò che “il tema del futuro del Nord Stream 2 nel contesto di un’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nelle prossime settimane, è un argomento di massima priorità. È stato discusso a fondo”, col governo tedesco uscente e con quello entrante. Lo stesso giorno, Karine Jean-Pierre, una vice-portavoce di Biden, precisò: “stiamo continuando a lavorare con la Germania per attuare il Joint Statement”.
Purtroppissimo quell’accordo non prevedeva affatto la chiusura del gasdotto, costringendo Victoria Nuland, di fronte al Congresso, a fare una imbarazzante arrampicata sugli specchi: “se Putin muove sull’Ucraina, la nostra aspettativa è che il gasdotto venga sospeso”.
La lettera dei patti
Berlino si atteneva alla lettera dei patti. Funzionari tedeschi rispondevano, facendo notare “che c’era ancora un processo da completare prima che il gasdotto iniziasse le operazioni”. Il 5 gennaio 2022 giungeva in visita il nuovo ministro degli esteri tedesco, la verde Annalena Baerbock e, nella conferenza stampa congiunta, faceva esclusivo riferimento all’applicazione della direttiva europea sull’energia.
Costringendo Blinken, in piedi accanto a lei, ad esprimersi in termini molto prudenti: “se la Russia rinnoverà la propria aggressione all’Ucraina, sarebbe certamente difficile vedere gas fluire attraverso il gasdotto, in futuro”. Parole il giorno dopo precisate dal di lui portavoce, Ned Price: “collaboriamo con i nostri partner per adottare misure per garantire che il gasdotto non possa aggirare” la direttiva europea.
L’11 gennaio 2022, Victoria Nuland confermava di aver ottenuto che Berlino rallentasse il processo di certificazione e che, in caso di invasione dell’Ucraina, al massimo si sarebbe ottenuta la sospensione del gasdotto. Idem un’altra vice di Blinken, Wendy Sherman il 12 gennaio 2022.
Il Congresso Usa si innervosisce
A rompere le uova nel paniere era il solito Ted Cruz, il quale aveva rinunciato a rallentare il processo di ratifica di dozzine di alti funzionari ed ambasciatori nominati da Biden, in cambio della messa ai voti del Senato di una legge che togliesse a Biden il potere di sospendere le sanzioni sul gasdotto (PEESIA).
Blinken si preoccupò moltissimo e convinse i senatori di maggioranza mandando loro la Nuland e l’incaricato speciale di Biden per il gasdotto Amos Hochstein, a spiegare che il nuovo governo tedesco “ha appena cambiato posizione e messo finalmente il gasdotto on ice”. Espressione ambigua, che vuol dire tutto e niente.
Con pari ambiguità, i Dem ventilarono un progetto di sanzioni alternativo e sostenuto dalla Casa Bianca, che incoraggiava l’amministrazione a considerare tutte le misure disponibili e appropriate per garantire che il gasdotto non diventasse operativo … se la Russia invade. Ma era solo fumo e non se ne fece niente.
Scholz va alla Nato
Purtroppo per Biden, le bugie hanno le gambe corte e, il 18 gennaio 2022 alla Nato, Olaf Scholz ribadì forte e chiaro di sentirsi vincolato solo dall’accordo fatto da Merkel con Biden: “l’amministrazione americana ha concordato come procedere su questa questione e continuiamo su questa strada … noi sosteniamo tutti gli elementi di tale accordo”.
Per poi declinare due capitoli in particolare: che “ci sentiamo responsabili di garantire la prosecuzione del transito del gas attraverso l’Ucraina” e che “è crystal clear che la Russia dovrà pagare un prezzo elevato in caso di intervento militare contro l’Ucraina o in Ucraina” … senza alcuna menzione del gasdotto. Il che è perfettamente coerente con il Joint Statement, come lo abbiamo letto nel precedente articolo.
Curiosamente, di quella conferenza stampa vennero pubblicate alcune parafrasi, che forzavano assai le parole del Cancelliere, ma conviene attenersi strettamente alle parole originali.
L’amministrazione Biden si innervosisce
Ovviamente, qualche giornalista andò a rileggersi il Joint Statement e, il 27 gennaio 2022, fece notare quel che dicevamo: quell’accordo “non dice specificamente che, se la Russia invaderà l’Ucraina, noi interromperemo il gasdotto”. Mandando la Nuland letteralmente nel pallone: “le dichiarazioni che vengono da Berlino anche oggi sono molto, molto forti” e, addirittura, “il gasdotto non è stato completato”.
Citò pure Ted Cruz: “come ama dire lui, il gasdotto … è un pezzo di metallo sul fondo dell’oceano” … peccato che Cruz avesse detto che “era un pezzo di metallo sul fondo dell’oceano” prima che Biden sospendesse le sanzioni … quindi non lo era più, dopo che le aveva sospese; aggiungendo egli una battuta molto felice (“un gasdotto completo oltre il 90 per cento è un gasdotto completo allo 0 per cento, finché non lo completi”) che aveva dato in testa ai Dem, evidentemente.
Peggio ancora fece il portavoce di Blinken, Ned Price, il 26 gennaio 2022: “voglio essere molto chiaro – se la Russia invaderà l’Ucraina, in un modo o nell’altro, Nord Stream 2 non andrà avanti e noi vogliamo essere molto chiari su questo”. Laqualunque. Chi aveva capito tutto era Donald Trump, che infieriva: “Russia owns Germany”.
Scholz va a Washington
Urgeva confortare gli animi dei Dem. Così, il 26 gennaio 2022, il regolatore tedesco buttò la palla oltre la tribuna, facendo sapere di non voler pronunciarsi prima di aver visto il completamento del trasferimento di attivi e personale.
E, il 27 gennaio 2022, venne annunciata la visita di Scholz a Washington. Attentamente preparata. Il 6 febbraio 2022 un alto funzionario scandì ai giornalisti che, se la Russia invaderà l’Ucraina, “Nord Stream 2 will not move forward”. La mattina del 7 febbraio 2022, la portavoce di Biden Jen Psaki la ripeté tre volte: “lavoreremo con la Germania per garantire che Nord Stream 2 does not move forward”, se la Russia invade. Come si vede, l’espressione scelta era terribilmente ambigua … tale da poter essere intesa, sia come la sospensione dei tedeschi, che come la interruzione dei Rep.
Il pomeriggio del 7 febbraio 2022, alla conferenza stampa congiunta, Scholz ripeté gli stessi concetti espressi alla Nato e Biden concluse con un canonico: “l’idea che il Nord Stream 2 would go forward con un’invasione da parte dei russi, semplicemente non accadrà”. Ma, nel frattempo, aveva pure detto: “se la Russia invade, allora there will be no longer a Nord Stream 2, we will bring an end to it … I promise you, we’ll be able to do it” … abbastanza per fare i titoli delle agenzie.
Il giorno dopo, l’ambasciatore Carpenter tentò un “il presidente è stato estremamente chiaro”. Ma i giornalisti tornarono all’assalto, costringendo la Psaki ad esplicitare una sorta di minaccia: “siamo stati molto chiari in privato”.
Scoppia la guerra, gasdotto sospeso
Le cose stavano così, quando la guerra in Ucraina scoppiò per davvero. E, il 22 febbraio 2022, il cancelliere Scholz ordinò al proprio ministro dell’economia Habeck di ritirare e poi aggiornare il menzionato documento obbligatorio che il precedente governo Merkel aveva presentato al regolatore e nel quale era scritto che il gasdotto non poneva rischi alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
Habeck spiegò che, in assenza di quel documento, il regolatore potrebbe sì riprendere la procedura, ma “non è in grado di emettere una decisione di certificazione favorevole”. Scholz sintetizzava poi, via tweet: “nelle circostanze attuali, la certificazione non è possibile”.
Il punto cruciale è che, pure in tale passaggio, Berlino è stata ben attenta ad aderire strettamente al Joint Statement. Anzitutto, l’aggiornamento del documento obbligatorio è lì esplicitamente menzionato. In secondo luogo, il Joint Statement recita che la Germania “premerà per misure efficaci a livello europeo, comprese le sanzioni” e, infatti, Habeck è stato ben attento a specificare che il gasdotto potrebbe essere definitivamente abbandonato, solo se verranno imposte specifiche sanzioni. Cioè, senza sanzioni, ciccia.
Festa e mezze ammissioni a Washington
Festa a Washington. Lo stesso giorno, Blinken riceveva il ministro degli esteri ucraino Kuleba: “come promesso, come abbiamo sempre detto, la Germania ha agito su Nord Stream 2”. Il giorno dopo, lo stesso Blinken toglieva finalmente la sospensione alle sanzioni sulla società svizzera proprietaria del gasdotto, NS2AG.
Biden si vantava che Scholz avesse agito “dopo ulteriori strette consultazioni tra i nostri due governi”. Ned Price gioiva, “Nord Stream 2 è via dal tavolo … rimosso dall’equazione”. Jen Psaki gongolava, “ce l’abbiamo fatta … Nord Stream 2 it’s not moving forward in questo momento”.
Ma i conti non tornavano. Da subito, giornalisti incalzarono Price: “in questo momento … in un secondo momento il cancelliere Scholz potrebbe dire: sì, ricominceremo il processo. Quindi, quando dici in questo momento, significa proprio ora, non per sempre”. Costringendolo ad ammettere che “le sanzioni sono un mezzo per raggiungere un fine … non sanzioniamo i Paesi solo con l’obiettivo di sanzionarli … si tratta di una politica per scoraggiare un’ulteriore invasione russa dell’Ucraina, per scoraggiare una guerra” … quindi sì, il gasdotto potrà ripartire alla fine della guerra.
Il 4 marzo 2022, lo stesso Blinken era costretto a precisare: “abbiamo un forte interesse a degradare lo status della Russia come grande fornitore di energia. Nel tempo, questo sarebbe un profondo cambiamento strategico. Ecco perché Nord Stream 2 è stato chiuso” … cioè, non importa tenerlo chiuso per sempre, basta tenerlo chiuso per un po’.
Una montagna di contraddizioni
Dipoi, con l’andar dei mesi, le contraddizioni fra il discorso di Washington e quello di Berlino si sono cumulate, sino a divenire una montagna.
1. La strana storia delle sanzioni sul gas
L’amministrazione Biden si era fatta forte dell’annuncio di Scholz per convincere i restanti Paesi europei a sostenere le prime sanzioni alla Russia (23 febbraio, 25 febbraio, 26 febbraio). Così il Financial Times: “un segnale che le vacche sacre avrebbero dovuto essere sacrificate”. Ma, né quelle prime sanzioni, né le successive hanno mai incluso il gas, così disattivando l’unico caso previsto dal Joint Statement in cui Berlino si è effettivamente impegnata a tenere Nord Stream 2 chiuso. Dunque, altri Paesi possono ben aver sacrificato le proprie vacche sacre … ma quella tedesca è ancora viva e vegeta.
Vero è che Berlino si era pure impegnata a premere “per misure efficaci a livello europeo, comprese le sanzioni, per limitare le Russian export capabilities to Europe in the energy sector, compreso il gas”. Ma abbiamo già visto che per export capabilities non è univoco si intenda gasdotto. E poi che, a bloccare tali sanzioni, basta un solo Paese membro della Ue e in squadra ce ne sono almeno due (titolare l’Ungheria di Orban, ma pure l’Austria, forse il Belgio in riserva e pure la Commissione nel pensarci non si sente tanto bene). Perciò, formalmente, Biden non può contestare a Scholz alcunché.
Né pare aver successo il tentativo di Draghi di giocare con le parole non parlando più di sanzioni bensì di tetto al prezzo del gas, che sarebbe poi la stessa cosa, addirittura sfacciatamente “limitato al metano acquistato via gasdotto dalla Russia”.
2. La strana storia delle sanzioni sul petrolio
Le più recenti sanzioni, quelle petrolifere, escludono quel gemello del gasdotto che è l’oleodotto Druzhba che va in Germania. Il che è scandalosamente discriminatorio e logicamente assurdo visto che il petrolio trasportato via nave può essere facilmente ri-etichettato, dirottato altrove, raffinato e riesportato. Ma pure rivelatore: per Berlino, chi tocca i tubi muore.
3. La strana storia della nazionalizzazione di Gazprom Germania
Vi sono poi due casi particolari. Il primo è quello di Gazprom Germania. Già accusata dalla commissaria Verstager di aver tenuto gli stoccaggi di gas al minimo al fine di spingere al rialzo i prezzi, venne fatta perquisire il 29 marzo.
Per proteggersi, il 31 marzo Gazprom se ne liberò, cedendo ad altre società russe la propria partecipazione nella holding intermedia russa proprietaria al 100 per cento della società tedesca: in tal modo, formalmente il socio russo non cambiava ma sostanzialmente sì. Inducendo il governo tedesco a negare il proprio consenso e porre Gazprom Germania sotto amministrazione controllata, il 4 aprile. Per poi minacciare di estendere il provvedimento a tutte le partecipate energetiche russe.
Invero con un certo costrutto, visto che gli stoccaggi in Germania effettivamente aumentano, e ciò in modo apparentemente curioso, visto che Mosca aveva sanzionato Gazprom Germania, l’11 maggio. Per giunta, Mosca si è messa pure a riempire i tubi su terra destinati ad alimentare il Nord Stream 2, con la scusa di voler fornire il proprio nord-est, in effetti facendo lei altro stoccaggio per i tedeschi, nonché accorciando assai i tempi tecnici di inizio della fornitura alla Germania.
Ma non solo, a partire dalla seconda settimana di guerra, il prezzo del gas è rimasto straordinariamente stabile, a valori non troppo dissimili da quelli dell’autunno precedente: come se Mosca trattenesse a sé i clienti dei Paesi europei ufficialmente ostili. Una evidenza che Descalzi nasconde, come è naturale essendo l’ENI impegnata nel sostituire il gas russo con gas algerino ed LNG (e, a più lungo termine, con il nuovo nucleare).
Insomma, tutto si può dire meno che i rapporti gasieri fra Mosca e Berlino siano ballerini.
4. La storia della liquidazione di NS2AG
Il secondo caso particolare è quello di NS2AG. Washington le aveva dato tempo fino al 2 marzo per chiedere il fallimento, ciò che pareva avrebbe fatto, poi disse di non aver fatto (limitandosi a licenziare il personale e chiudere i telefoni), eppure deve aver fatto, visto che una procedura concorsuale risulta aperta presso il tribunale del Canton Zugo, dove ha sede.
Tuttavia, Mosca continua a ripetere che “l’infrastruttura resterà lì, non andrà da nessuna parte”, che “i conflitti vanno e vengono, ma i soldi restano” e che “è esattamente il progetto del quale l’Europa avrà bisogno, qualunque cosa dica oggi”. Così, nessun si stupì quando NS2AG, alla prima occasione utile (appena Kiev ha chiuso un gasdotto verso la Slovacchia e Mosca uno verso la Polonia), fece sospendere la procedura concorsuale.
5. La strana calma in Bce
I segnali più ambigui giungono da Bce dove, con l’inflazione all’8,1 per cento, si fa mostra di voler scatenare una tempesta monetaria e finanziaria. Il che è certamente nell’animo dei tedeschi e dei loro amici olandesi. Ma forse un poco ardito oggi, dentro una tempesta economica e geopolitica.
Sicché, corre l’obbligo di pensare che abbiano da giocare un jolly: che contino su qualcos’altro, per abbattere l’inflazione. Cosa non vien detto ma, procedendo per esclusione, non può che trattarsi di un controshock energetico. Un’alluvione di gas che, per deduzione logica, non potrebbe venire altro che dalla Russia ed attraverso Nord Stream 2.
6. Strani discorsi a Berlino
Dei discorsi che si fanno a Berlino, abbiamo già scritto su Atlantico Quotidiano. E questa è la realtà. Oltre l’apparente comprensione mostrata agli ucraini, quando chiedono di cessare gli acquisti dalla Russia, ovvero di chiudere pure Nord Stream 1 (per conquistare loro la possibilità di interrompere per intero le forniture e a proprio piacimento).
Oltre la propaganda di Berlino, che cerca distrarre l’attenzione con operazioni di facciata (la sospensione di certe prebende all’ex cancelliere Schröder, le sue mezze dimissioni, l’impotente opposizione della Von der Leyen a che le società europee paghino le forniture in rubli).
7. La strana storia del gas LNG americano
La grande alternativa al gas russo avrebbe dovuto essere il gas LNG americano. Ma bisognerebbe estrarne ed esportarne molto di più, ma ciò non pare essere nella mente di Biden. Il 25 marzo 2022, tutto ciò che egli ha saputo promettere all’Europa è la miseria di “15 miliardi di metri cubi nel 2022, con aumenti previsti per il futuro” … cioè, meno del 10 per cento del gas importato dalla Russia … e il presidente manco li garantisce e, per gli anni successivi, manco si impegna, né si impegna sul prezzo. Come se Biden non contasse sul definitivo abbandono del gas russo e dei suoi gasdotti.
Ma che si contenti di abbandono parziale, di una discesa della quota di mercato. Quale quella discesa promessa dagli investimenti italiani, per una volta lodevoli. I quali, purtuttavia, non basteranno a sostituire in Europa centrale le esportazioni russe attraverso il nascituro hub imperiale tedesco del gas, cioè attraverso Nord Stream 2.
Lo sconforto di Ted Cruz
Mangiava la foglia Ted Cruz. Intanto mettendo il dito nella piaga: la decisione di Biden di consentire il completamento del gasdotto ha effettivamente permesso la guerra in Ucraina. Poi depositando due nuove proposte di legge (NYET del 15 febbraio e “a bill to repeal the waiver and termination provisions of the PEESA” del 3 marzo) che, di nuovo, tolgano a Biden il potere di sospendere le sanzioni sul gasdotto. Poi ancora, annunciando una terza proposta. Infine, anticipando di voler rendere le sanzioni permanenti.
Qui la sua profezia: “penso che Putin stia scommettendo sul fatto che quando la crisi passerà, le sanzioni saranno revocate e il Nord Stream 2 sarà attivato”. E non potremmo essere più d’accordo.
La prossima mossa di Berlino
Ora, tutti attendono che il ministro tedesco Habeck produca il detto aggiornamento del documento obbligatorio. Lì, non vediamo come egli potrà mai sostenere che gli approvvigionamenti per la via sottomarina siano più a rischio di quelli attraverso l’Ucraina mezza occupata e mezza in fiamme.
Molto più ragionevole che egli sostenga una tesi ben diversa: che il Nord Stream 2 non pone rischi alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici della Ue … a condizione che venga rispettato alla lettera il dettato del regolatore … e magari pure a condizione che i cinque soci occidentali – Shell, OMV, Engie, Uniper, Wintershall – che avevano sostituito il capitale con un prestito a lungo termine, convertano subito quest’ultimo in capitale (tanto lo avevano fatto solo per le bizze dell’Antitrust polacco e già sappiamo che, in tema di gasdotti, ad avere prevalenza è la direttiva Ue sul gas e, con essa, il regolatore tedesco).
Naturalmente, perché Habeck possa produrre un simile documento, c’è bisogno che la guerra in Ucraina finisca. Meglio se con un trattato firmato da un governo di Kiev, ma pure un armistizio qualunque basterebbe alla bisogna. Nell’attesa, in Germania nessuno si affretta.
Insomma, Nord Stream 2 è un caso di morte apparente.