Esteri

La pace di Israele con Sauditi e Turchia può rivoluzionare il Medio Oriente

Il processo avviato da Trump con gli Accordi di Abramo sta arrivando a maturazione. Anche con Ankara distensione avanzata con una partnership energetica

Netanyahu Onu

È una svolta storica quella annunciata dal premier israeliano Benjamin Netanyahu durante il discorso al palazzo di vetro dell’Onu, riguardo l’imminente accordo di pace con l’Arabia Saudita. Un successo diplomatico che normalizzerà i rapporti tra Paesi di culture e religioni differenti, favorendo la stabilizzazione del Medio Oriente.

Nelle parole di Netanyahu, un simile passo potrebbe consentire addirittura di porre fine al conflitto arabo-israeliano ed aprire un corridoio economico e commerciale stabile tra Stati storicamente avversari, con il fine di collegare Asia, Africa ed Europa, favorendo la nascita di un “nuovo Medio Oriente”.

Il ruolo di Trump

L’avvicinamento tra Riyad e Gerusalemme è stato possibile grazie alla mediazione degli Stati Uniti, prima grazie alla intuizione degli accordi di Abramo (di cui lo stesso premier israeliano ha riconosciuto il ruolo) promossi dall’amministrazione Trump. Un processo avviato nel 2017, che la presidenza Biden almeno non ha ostacolato, con l’intento di favorire un accordo stabile tra i due Stati e velocizzare il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e altri Paesi del Medio Oriente.

Un risultato fondamentale anche per Washington, che aveva subito recentemente lo smacco della normalizzazione nelle relazioni tra Arabia Saudita ed Iran mediata da Pechino ed ha forse compreso la necessità di porre Israele al centro della sua diplomazia nell’area, evitando mosse che possano isolare Gerusalemme o minacciare la sua sicurezza.

Contenere Teheran

Numerose le ragioni per cui considerare l’annuncio determinante per il futuro di Israele: in primis, perché rende lo Stato ebraico centrale sul piano diplomatico e isola il regime di Teheran, ormai l’unico ancora intenzionato a sfidarlo e – nella propria ambizione – cancellarlo dalle mappe.

Non a caso, nell’ottica israeliana la pace con i sauditi favorisce la possibilità di fronteggiare con efficacia in maniera congiunta la minaccia iraniana ed avvicinare anche un accordo con i palestinesi, verso cui Netanyahu è stato molto chiaro: non è pensabile permettere alla Anp di porre un veto su ogni accordo di divisione dei territori e neanche sottostare alle prevaricazioni dei suoi terroristi, supportati attivamente dall’Iran.

Un passaggio del discorso che mira a tendere la mano ai palestinesi volenterosi e a integrarli strutturalmente nel processo di normalizzazione, senza però dimostrare l’intenzione di cedere a compromessi tali da risultare inaccettabili per i partner di governo del Likud.

È qui che il premier israeliano si gioca il futuro politico: capace storicamente di interpretare un ruolo decisionista, se necessario aggressivo e fermo sui principi in politica estera, ora dovrà risultare credibile e affidabile anche nel ruolo di garante della pace, fautore di una normalizzazione storica tra Israele ed altri Stati musulmani che favorisca e non riduca l’influenza ed il peso geopolitico di Gerusalemme.

Distensione con Ankara

Non a caso, anche con la Turchia è in corso una distensione avanzata dei rapporti. Nei loro incontri, Netanyahu ed Erdogan hanno sancito l’intenzione di intensificare le relazioni commerciali tra i due Paesi, in particolare nel settore energetico. Un impegno di lungo periodo che mira a costruire un futuro di prosperità economica per i Paesi del Medio Oriente e a creare una coalizione commerciale che sconsigli a Teheran di perseguire l’opzione militare.

Nell’idea di Netanyahu la centralità diplomatica di Gerusalemme e gli accordi economici con gli altri Stati musulmani sono necessari a rendere non conveniente e pericolosa per tutti una possibile guerra tra Iran ed Israele, in modo che con lo scoppio di un’eventuale crisi siano anche gli altri Paesi a sostenere la prospettiva di pace e fare pressione su Teheran perché abbandoni le sue intenzioni aggressive. Una necessità comune – quella della pace nella regione – che vede Israele al centro della partita diplomatica ed il suo premier impegnato a garantire un comune futuro di prosperità.