Esteri

La Russia senza Occidente? Ecco perché cessa di esistere

Non è nell’allargamento della Nato che risiede il risentimento della Russia. Molto più tragicamente essa giustifica la sua esistenza come opposizione all’Occidente

Putin Kirill (Orthodox Church)

Da quando, nell’ormai lontano 24 febbraio 2022, le forze russe lanciarono la loro “operazione militare speciale” contro Ucraina, adducendo il dovere di difendere le popolazioni russofone in quel Paese, ci si è interrogati – soprattutto nelle speculazioni giornalistiche ed accademiche dell’Occidente – sulle ragioni profonde di questa invasione, che sembrava uscita da un libro di storia di inizio Novecento o, peggio ancora, da un romanzo di fantapolitica.

In una costante autoflagellazione è stato facile asserire, come fece Alessandro Orsini (che è entrato a buon diritto nell’ambito del cabaret), ma anche illustri diplomatici come Umberto Vattani, che le colpe remote ricadono sull’Occidente e sull’allargamento della Nato. Nel complesso queste analisi si fermano ai primi anni Duemila con qualche richiamo ai tardi anni Novanta, ma nulla più. Non si è cercato di risalire a ragioni profonde che affondino le proprie radici nella storia.

Ideologia imperiale

Eppure, i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Dalla sua esistenza la Russia si è sempre configurata come un Imperium, cioè una un’entità statale costituita da un esteso insieme di territori e/o di popoli diversi (per lingua, religione, origine, usi e costumi), a volte anche molto lontani, sottoposti ad un’unica autorità. Esso è caratterizzato da un’ideologia imperiale, cioè dall’apparato intellettuale fondante l’architettura del sistema imperiale, spesso connotata di caratteri di egemonismo ed universalità, sulla base della quale si modellano i meccanismi di controllo politico, sociale, religioso ed economico del gruppo dominante sui gruppi dominati.

Secondo Johan Galtung (in “Lo Straniero” n° 52, 2004) “un impero è un insieme articolato di conquiste militari, dominio politico, sfruttamento economico e penetrazione culturale”. Caratteristica comune di tutti gli imperi è quello di avere confini – ab origine – indefiniti che si ampliano a dismisura per l’ossessione di difendere il pomerium (il centro).

Il mito della Terza Roma

Roma, in risposta alla dominazione etrusca degli ultimi tre re, ritenne necessario annientare le città stato etrusche, per difendere l’autonomia dell’Urbe. Il sacco di Brenno, con la presenza dei Galli senoni in Romagna, e la minaccia di Pirro portarono le legioni nella valle del Po’ e in tutto il Sud. L’occupazione delle isole e della costa orientale della Spagna (nonché l’alleanza con i Numidi) furono una necessità per spegnere la minaccia cartaginese. Più si allargavano i confini dell’imperium, più aumentavano le minacce che imponevano nuove conquiste.

Questa fu Roma: le legioni conquistavano un territorio; la lex romana determinava l’assetto giuridico sulle popolazioni assoggettate; i veterani congedati “inseminando” queste popolazioni contribuivano all’aumento demografico della “romanità”. Facile! A questo modello di espansione si ispirò la Russia. Non è un caso che dalla caduta di Costantinopoli (1453), lungo le sponde della Moscova abbia preso vita il mito della “Terza Roma”.

L’idea si sviluppò durante il regno del Gran Duca di Mosca, che sposò Sofia Paleologa (nipote di Costantino XI) e reclamò l’eredità storica, religiosa e imperiale della città che si definiva Νέα Ῥώμη (Nuova Roma). Ivan IV, nipote di Ivan III, proclamò durante la sua incoronazione a zar di Russia: Due Rome sono cadute ma non Mosca! E non vi sarà una quarta Roma! La “Terza Roma” era e – nell’attuale oligarchia – è una idea escatologica che attribuiva alla Russia il ruolo guida di tutta la cristianità.

La Russia ad un bivio

Nel 2008 il settimanale economico russo Ekspert dedicò un numero monografico all’idea di impero (Russia, cinque secoli di impero): nel XXI secolo la Russia deve scegliere se essere impero o colonia dell’Occidente al tramonto. L’idea russa di impero è coniugata con il concetto katechon (κατέχον)sia nella sua accezione neotestamentaria, quale forza che trattiene il male e impedisce l’avvento del regno dell’Anticristo, sia nella sua accezione secolare, quale autorità politica ordinatrice (lo Stato imperiale) che instaura un nuovo nomos (νόμος) una nuova “regola” della terra.

Secondo il filosofo e analista politico Leonid Fišman, la Russia del XXI secolo è a un bivio: può scegliere di essere una apocalittica Babilonia o il katechon dell’era globale o modernità-mondo. L’idea russa si identifica con quella di katechon che è la sua autentica missione. Alla Russia, secondo Fišman, deve essere restituito il ruolo di katechon, al fine di assurgere a un alto livello di legittimità di fronte al popolo russo e al mondo.

L’idea imperiale russa

L’idea imperiale russa – che ben trovò spazio anche nell’Urss, grazie al comune “universalismo” e spirito “missionario” delle due ideologie “di regime” – si fonda, come ha avuto modo di analizzare Roberto Valle – su tre ideologemi: 1) Le vie di sviluppo della civiltà russa (della società e cultura) sono fondamentalmente diverse da quelle della civiltà occidentale; 2) la cultura russa contiene in sé alcuni elementi originali che non solo la distinguono dal resto delle altre culture, ma che contengono le precondizioni per una trasformazione salvifica delle altre culture stesse; 3) la politica non ha una propria sfera autonoma, ma va considerata attraverso il prisma di una visione morale e religiosa.

L’ideale politico dell’idea russa è sincretico (sobornost’ [собо́рность] impero teocratico, teocrazia universale). L’autore termina: “L’idea russa non si è inverata nella storia come impero del popolo russo, ma come impero dello spazio russo”. Ecco che ritorna l’ossessione del Pomerium. Il pensiero politico russo ha elevato lo spazio a categoria escatologica, come ha attestato nel XIX secolo l’occidentalista paradossale Pëtr Čaadaev:

C’è un fattore che domina sovrano il nostro cammino attraverso i secoli, percorre l’intera nostra storia, e contiene in sé tutta la sua filosofia, si manifesta in tutte le epoche nella nostra vita sociale e determina il loro carattere, che è al tempo stesso l’elemento essenziale della nostra grandezza politica e l’autentica causa della nostra impotenza intellettuale: il fattore geografico.

La Russia non ha avuto delle frontiere di Stato stabili e la sua storia è stata caratterizzata dall’allargamento costante di un solo e stesso territorio: l’impero intero è stato la metropoli. Dopo Pietro il Grande, l’idea russa di impero ingloba il senso della storia europeo basato sull’idea di progresso, operando una sintesi tra impero e missione civilizzatrice. I russi hanno avuto un impero, ma non uno Stato-nazione ed esiste una sperequazione tra Stato russo (rossijskij), come sistema amministrativo e non come Stato moderno, e il popolo russo (russkij).

Le metamorfosi e le pseudomorfosi dell’idea di impero in Russia riflettono il carattere duale della struttura della cultura russa. Una delle contrapposizioni permanenti che determinano la cultura russa dopo la cristianizzazione della Rus’ è l’opposizione antichità vs novità; tale contrapposizione racchiude in sé altre endiadi dicotomiche: Russia vs Occidente, fede giusta vs fede falsa, vecchio impero e nuovo impero.

L’Uomo russo

In questo spazio, in questo Russkij mir (mondo russo) si viene a creare l’uomo russo, un individuo che non necessariamente condivide il sangue con i suoi simili, ma l’appartenenza ad una koinè, come il civis romanus (prima della Constitutio Antonina). Ma chi è questo uomo russo? Fedor Dostoevskij nel 1880 ebbe a dire:

Sì, la vocazione dell’uomo russo è indiscutibilmente una vocazione paneuropea e mondiale. Forse, anzi, diventare un russo autentico e completo può soltanto significare (in ultima istanza, lasciatemi sottolineare) diventare un fratello di tutti gli uomini, diventare se volete un uomo universale […] Oh il popolo di Europa non sa quanto ci è caro. Io credo che noi (cioè naturalmente non noi ma i russi del futuro) finiremo tutti per comprendere, tutti uno per uno, che diventare un vero russo significherà proprio questo: lottare per conciliare le contraddizioni dell’Europa, indicare una via di uscita alle sofferenze dell’Europa nella nostra anima russa, universalmente umana e che tutto unisce; trovare in essa un posto, con amore fraterno, per tutti i nostri fratelli”.

Il russo (come fino a pochi decenni fa, il sovietico) esiste solo se riconosce la sua vocazione salvifica contro i mali dell’Occidente. Lo storico inglese Seaton-Watson, analizzando il significato della “fraternità” russa, scrisse:

Sull’ardente sincerità di Dostoevskij non possono esservi dubbi, ma il suo entusiasmo per la natura fraterna del popolo russo non poteva che provocare reazioni irriverenti da parte di molte nazioni che di quella fraternità avevano fatto esperienza pratica.

Se il russo è il missionario che offre se stesso per la salvezza del mondo, anche a costo di imporre con la forza questa terapia, poco si capacita che non venga riconosciuta questa buona volontà. Tra il 1830 e il 1831 vi fu una ribellione armata contro il dominio dell’Impero russo in Polonia e Lituania, a seguito delle costanti violazioni della costituzione – imposta dal Congresso di Vienna – da parte delle autorità moscovite. La rivolta, poi soffocata, prese subito i contorni di una guerra di liberazione dal giogo russo.

Nonostante che le potenze europee – ognuna per differenti interessi – non avessero sostenuto la causa polacca, l’opinione pubblica occidentale simpatizzò con gli insorti con manifestazione e raccolta fondi. Contro questa opinione pubblica si rivolse la poesia di Puškin, intitolata Ai calunniatori della Russia. Essa inizia con questi versi:

Perché rumoreggiate, oratori del popolo? / Perché minacciate di anatema la Russia? /Cosa vi scandalizza? L’agitazione in Lettonia? / Lasciate questa controversia tra gli Slavi stessi / La vecchia lite di casa, equilibrata dalla sorte / La questione che non risolverete voi.

Difficile non udire in queste parole le stizzite reazioni dell’intellighenzia (se così la si può chiamare) putiniana verso le reazioni occidentali di fronte all’aggressione in Ucraina.

La Russia senza Occidente

No! Non è nell’allargamento della Nato che risiede il risentimento della Russia. Molto più tragicamente essa si riconosce e giustifica la sua esistenza come opposizione all’Occidente. In sintesi: l’Occidente filosoficamente, non ha bisogno della Russia per “esistere”; la Russia senza il suo fratello/nemico da “convertire” cessa la propria ragion d’essere. Mala tempora currunt et peiora parantur!