Esteri

La seconda carestia dell’Ucraina, uno dei crimini ignorati del comunismo sovietico

Nel 1946-47 la fame colpì di nuovo le terre dell’Holodomor: si salvarono solo le regioni appena annesse, dove la collettivizzazione non era ancora arrivata

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Delle tre grandi carestie che colpirono l’Unione Sovietica (1921-22, nella regione del Volga; 1932-33, l’Holodomor ucraino) quella del 1946-47 è probabilmente la meno nota. Eppure il bilancio in termini di vite umane, come sempre occultato dal regime e seppur comparativamente inferiore alle anteriori tragedie, fu ugualmente spaventoso.

Le cause

Le stime più accreditate parlano di almeno un milione di vittime, distribuite soprattutto nella zona centro-orientale dell’Ucraina, tra cui le regioni di Dnipropetrovs’k e Zaporizhzhia governate all’epoca da un giovane Leonid Brežnev.

La carestia fu provocata da due fattori, uno di carattere naturale e uno politico: il primo fu la condizione di siccità diffusa, che si sovrappose a un’economia agricola già provata dalle sofferenze della Seconda Guerra Mondiale; il secondo fu il rifiuto del governo sovietico di ridurre le quote di consegna di grano e di altri prodotti cerealicoli imposte ai contadini.

A questo si aggiunsero la confisca di generi alimentari di prima necessità e le minacce ai funzionari locali in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Insomma un déjà vu della tragedia degli anni ‘30 che, evidentemente, il potere sovietico ritenne di poter replicare senza conseguenze.

Le requisizioni andarono ad alimentare, oltre ai centri urbani della Russia sovietica, anche le nazioni dell’Est europeo da poco cadute sotto il controllo di Mosca. Ancora una volta l’Ucraina venne spogliata di qualsiasi requisito di nazione per essere trattata alla stregua di un mero territorio disponibile. Una costante della storia russa, ripetutasi ciclicamente e confermata ai nostri giorni dalla guerra etno-nazionalista del regime putiniano.

La collettivizzazione

Significativo il fatto che la carestia non coinvolse le regioni dell’Ucraina occidentale annesse alla fine della guerra ai danni della Polonia (Volinia, Galizia e Podolia), dove non era ancora stato introdotto il sistema di fattorie collettive vigente nel resto del territorio sovietico dal 1929.

Qui la tradizione di proprietà privata della terra permise di superare la crisi alimentare senza patemi, a conferma del fatto che prima la collettivizzazione, poi le requisizioni forzate – entrambe decisioni di carattere strettamente politico – furono le cause decisive delle diverse ondate di sterminio per fame.

L’esodo dei contadini dalle zone colpite verso le regioni occidentali fu massivo, tanto da costringere il regime a introdurre ulteriori misure repressive, come il divieto di vendere cibo ai nuovi arrivati, di fatto mendicanti costretti a vivere di stenti.

La denuncia di Kruschev

Al contrario di Bréžnev, che tacque sulla carestia e sulle sue conseguenze per la popolazione, Nikita Kruschev – all’epoca leader del Partito in Ucraina – denunciò la situazione ai vertici. Ma il suo appello rimase inascoltato e Stalin lo rimpiazzò rapidamente con il fido Kaganovič, che aveva avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione della carestia degli anni ‘30.

Interessanti sia il tenore delle lettere che Kruschev fece arrivare a Stalin sia le risposte del dittatore. Alle richieste del segretario locale di tessere di razionamento per i contadini, uno Stalin implacabile replicò definendolo un “nazionalista ucraino borghese” e intimandogli di “mettere fine al suo comportamento non-bolscevico”.

I numeri della strage per fame

Ogni assistenza ai morenti fu espressamente vietata, esattamente come nel 1932-33. A farne le spese specialmente i bambini, vittime dirette e indirette della fame: quando sopravvivevano, rimanevano in genere orfani ed erano costretti a spostarsi nelle città per cercare qualcosa da mangiare, alimentando il già diffuso fenomeno dei minori di strada, conosciuti come besprizornye.

La carestia raggiunse il suo culmine nella prima metà del 1947 ma in molte zone durò praticamente fino alla fine degli anni ‘40. I registri delle nascite e dei decessi in Ucraina, recuperati dopo il crollo dell’Unione Sovietica, registrarono la cifra di un milione di morti per fame, il che fa pensare che i dati reali fossero ben più alti.

Un crimine di massa

La tragedia colpì anche altre repubbliche, come la Bielorussia, la Moldavia e la stessa Russia, ma gli effetti più devastanti si ebbero in Ucraina, dove l’accanimento politico contro il “nazionalismo” dei contadini e delle élites intellettuali e politiche creò le condizioni per un nuovo crimine di massa.

Quando Kaganovič fu incaricato della gestione della crisi alimentare, la sua principale preoccupazione fu rafforzare il controllo ideologico di Mosca. Cominciò così l’ennesima ondata di purghe contro esponenti della cultura ucraina, all’interno della campagna zdanoviana per combattere “l’individualismo borghese”.

L’amnesia dell’Occidente

Fino al crollo dell’Unione sovietica questa vicenda rimase ovviamente tabù in Russia ma anche praticamente sconosciuta in Occidente. Il regime riuscì a farla passare completamente inosservata durante tutto il corso della Guerra Fredda, anche in virtù della vittoria contro il nazismo che, nel primo Dopoguerra, fece chiudere entrambi gli occhi agli Alleati sullo stalinismo.

Ancora oggi, per saperne di più, bisogna ricorrere ai saggi di specialisti di storia russa e ucraina, essendo completamente ignorata dal grande pubblico.

Lo storico francese Stéphane Courtois contrappone questo fenomeno di amnesia collettiva sui crimini del comunismo all’ipermnesia dilagante su quelli del nazismo.

Ovviamente non si tratta di sminuire i secondi per risaltare i primi, ma di ristabilire un quadro coerente e completo degli stermini di massa del XX secolo prodotti da entrambi i totalitarismi per ragioni ideologiche, politiche ed economiche. La strada verso la piena coscienza della natura terrorista e genocidaria del comunismo è, purtroppo, ancora in salita.