Ci sono chiari segni di “stanchezza” in Occidente sul sostegno all’Ucraina. Lo dimostrano due eventi, quasi contemporanei: la bocciatura di un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina alla Camera dei Rappresentanti del Congresso Usa e l’elezione in Slovacchia della coalizione di sinistra, socialdemocratica, guidata dal filorusso Robert Fico.
E ha vinto affermando, in campagna elettorale, la sua intenzione di fermare gli aiuti all’Ucraina. A questo si devono aggiungere altri segnali chiari, della settimana scorsa: la disputa sul grano fra Polonia e Ucraina che ha spinto il governo conservatore Morawiecki a dire (e poi ritrattare) che non ci sarebbero più state forniture di armi per Kiev.
Ci manca solo il Papa? Non manca, considerando che nell’incontro a porte chiuse con Leonid Sevastijanov (presidente dell’Unione mondiale dei vecchi credenti), il Santo Padre abbia tratto delle conclusioni che così vengono riassunte dalla Ria Novostij, l’agenzia stampa russa: “Papa Francesco ritiene che sempre più Paesi occidentali riconoscono l’inutilità di fornire armi all’Ucraina e di continuare il conflitto ucraino, cosa che gli ispira ottimismo e gli dà speranza per i negoziati di pace”.
Le cause
L’Occidente, con la sua “war fatigue” sta battendo dunque un nuovo primato: è stanco di una guerra che non sta neppure combattendo. E che per di più riguarda molto da vicino, quando non direttamente, la nostra sicurezza nazionale e collettiva.
Il motivo di questa stanchezza non è facile da individuare. Ipoteticamente si possono individuare due cause, una “morale” e l’altra materiale. La causa “morale” è il senso di colpa dell’Occidente, che era tipico della sinistra alter-mondialista, mentre ora è un sentimento trasversale che riguarda sia la destra che la sinistra. La causa materiale è invece la carenza ormai cronica di armi e munizioni e soprattutto della capacità di produrle in quantità sufficienti per una guerra prolungata e ad alta intensità.
Il disarmo morale
Vediamo la causa “morale” prima di tutto. Già dall’11 Settembre abbiamo assistito a quel che giustamente è stato definito il “disarmo morale dell’Occidente”, in quel caso degli Usa, che non sono stati in grado di dare una risposta decisiva ad un attacco sul proprio territorio. E che hanno finito, in vent’anni, col ritirarsi dall’Afghanistan, per esaurimento e senza aver perso una sola battaglia, da una guerra iniziata proprio come conseguenza degli attacchi del 2001.
Il disarmo morale avviene quando non senti più che valga la pena di batterti, soprattutto perché nutri un forte senso di colpa, l’idea profonda di essere dalla parte del torto. Dopo l’11 Settembre, a condividere questa convinzione, psicologica e morale, era soprattutto la sinistra no-global, convinta che l’odio contro gli Usa fosse la reazione al “neo-colonialismo”, alla globalizzazione e al sostegno ad Israele nel conflitto mediorientale.
Russia umiliata?
Oggi assistiamo a un senso di colpa analogo, ma di matrice ideologica differente e proprio per questo più trasversale. L’accusa agli Usa e ai loro alleati europei in una guerra iniziata con l’invasione russa di un Paese neutrale, è quella di aver “umiliato” la Russia dopo la fine della Guerra Fredda. Apparentemente si tratta di una tesi più solida rispetto alla generica accusa di colonialismo, ma è anch’essa fondata su tante mistificazioni.
Innanzitutto la Russia non è stata privata di alcun territorio, a meno che non si consideri legittima la sua “sfera di influenza” (che include anche Paesi europei come la Polonia, i Baltici, la Moldova, forse anche la Finlandia), dunque la sua ambizione a tornare ad essere impero a scapito dell’indipendenza dei suoi vicini.
Non è vero che la nuova repubblica russa sia stata impoverita dall’Occidente, considerati i miliardi di aiuti elargiti a piene mani soprattutto dagli Usa. Non è neppure vero che la Nato abbia “abbaiato” ai confini della Russia, con uno schieramento minaccioso di basi e missili, considerando che tutti i Paesi entrati nella Nato dopo il 1997 ne sono privi (mentre i russi non si sono fatti scrupoli a schierare missili con capacità nucleare a Kaliningrad, a ridosso della Polonia e della Lituania).
L’offerta di “pace”
L’ultima giustificazione per questo infondato senso di colpa viene attribuita addirittura allo stesso Stoltenberg, il segretario generale della Nato, che avrebbe “ammesso” di aver respinto un’offerta di pace russa nel 2021, di fatto provocando il conflitto. Questa tesi è stata ripresa, in maggio, anche dall’economista Jeffrey Sachs, in un intervento che è stato rilanciato sul web per mesi.
È vero che vi fu una proposta di pace russa. Ma non si dice mai cosa contenesse. Mosca, fra le altre cose, chiedeva all’Alleanza Atlantica un impegno legalmente vincolante a non schierare truppe alleate nei Paesi ammessi dopo il 1997 (quindi niente più truppe americane, inglesi o italiane in Polonia e nei Paesi Baltici) e a non ammettere più nuovi Stati. Con queste clausole, presentate come unico modo per evitare una guerra in Ucraina, Putin mostrava tutta l’intenzione di volersi intromettere negli affari interni della Nato, per avere nuovamente tutta l’Europa orientale a sua disposizione. Erano clausole semplicemente inaccettabili.
Così tante mistificazioni per giustificare un senso di colpa occidentale sono indice di qualcosa d’altro: un sentimento di forte rancore che trasforma un odio per il proprio governo in un inspiegabile rispetto per un nemico che non si conosce neppure. E questa volta è trasversale, in Europa orientale (in Slovacchia, per esempio) colpisce soprattutto la sinistra che odia il nuovo sistema liberale, nostalgica del comunismo e dell’Urss.
In America colpisce invece maggiormente i nazionalisti, affascinati dalla propaganda di Putin sulla difesa dei “valori tradizionali” e “patriottici”, ma soprattutto indignati contro l’amministrazione democratica, contro cui nutrono un odio incontenibile, tale da ritenerla responsabile, a priori, di ogni male, nazionale e internazionale.
Il disarmo materiale
Il disarmo morale spiega anche il disarmo materiale dell’Occidente, che oggi non appare più in grado di sostenere a lungo un conflitto neppure indirettamente. Nessuno, nei decenni scorsi (quando di fatto non c’erano rivali) ha voluto mantenere un impianto di produzione di armamenti e munizioni capaci di sostenere un conflitto ad alta intensità.
Nella Guerra Fredda, anche in tempi di esercito professionale (dunque dopo il 1973) gli Usa erano pronti ad affrontare “due conflitti e mezzo”: un fronte difensivo in Europa, uno in Corea del Sud e almeno un corpo di spedizione in un terzo teatro di guerra, il Golfo Persico.
Nel 2023, cinquant’anni dopo, gli Usa non stanno combattendo alcun conflitto, ma si interrogano sull’opportunità di continuare a inviare armi e munizioni all’Ucraina perché così rischiano di privare Taiwan delle difese necessarie in caso di attacco cinese. Per dare l’idea delle proporzioni: l’artiglieria russa spara, in media, 30 mila proiettili al giorno (in alcuni mesi anche il doppio), l’industria statunitense ne produce attualmente 28 mila al mese e progetta di aumentare la produzione fino a 100 mila al mese, ma solo dal 2025.
Gli alleati europei, italiani inclusi, dispongono di scorte ancora inferiori. Quando si è discusso sull’opportunità di inviare i carri Leopard agli ucraini, abbiamo constatato che anche le maggiori potenze militari europee dispongono di carri moderni nell’ordine delle decine o poche centinaia, che la Germania, sua produttrice, ne schiera in tutto 321 pronti all’uso.
Nella guerra in Ucraina, si stima che siano stati finora distrutti circa 10 mila carri armati in un anno e mezzo. Anche le difese anti-aeree e anti-missile scarseggiano, come ha ammesso il ministro della difesa Guido Crosetto: “Su aiuti antiaerea non c’è molto altro spazio. Non abbiamo risorse illimitate”. Tempismo tragico: il giorno dopo i russi hanno bombardato Kupiansk facendo almeno 51 morti civili.
L’opinione pubblica
Questa carenza di armamenti e di capacità produttive da parte delle maggiori potenze industriali mondiali si spiega solo parzialmente con il perfezionismo degli eserciti Nato, che commissionano armi ad alta tecnologia, costose, letali e per questo rare, preferendo la qualità alla quantità. Si spiega ancor meno con l’abitudine, ormai trentennale, a pianificare guerre-non-guerre, come interventi umanitari, di pace e di nation building che richiedono un uso molto limitato della forza.
In ultima istanza si spiega con il disarmo morale della nostra opinione pubblica che non accetta neppure più l’idea di prepararsi a combattere una guerra contro grandi potenze nemiche. Quindi abbiamo sempre avuto maggioranze che votano per il politico che promette maggiori tagli alla difesa, per aumentare il budget in altri settori (nel welfare, per la sinistra, o nella protezione dei confini, per la destra).
Oggi la Russia e in futuro probabilmente anche la Cina bussano alle nostre porte perché vogliono realizzare i loro disegni espansionistici, forti dei nostri sensi di colpa e del loro sentimento revanscista.