Se, a un tratto, il ritorno di Boris Johnson sembrava quasi scontato, quello di Liz Truss, dopo qualche mese nel purgatorio (peraltro sempre più affollato) della politica britannica lo era molto meno.
Eppure, la protagonista, suo malgrado, dei 45 giorni che sono ormai passati alla storia, ha preso la penna e, con un lungo articolo sul Sunday Telegraph ha deciso di scrivere le sue ragioni e attaccare chi ha determinato la sua uscita prematura da Downing Street.
Il Partito Conservatore è ancora una polveriera nonostante l’allontanamento di Johnson e Truss, e le differenze di visione sulla politica economica continuano a essere il minimo comune denominatore delle lotte che hanno causato la caduta dei due leader e il succedersi di tre premier Tory in quattro mesi.
Le ragioni di Truss
La domanda che media e politici Uk si pongono è: perché Truss lo ha fatto? Innanzitutto, perché ha un seggio da difendere nel Norfolk alle prossime elezioni. L’ex premier ha deciso di ricandidarsi e difendere il suo posto ai Comuni e una maggiore visibilità certo non le farà male nell’affrontare una battaglia che rischia di lasciare sul campo numerosi big del partito.
C’è poi uno spirito revanscista che affiora nelle parole di Truss, cui il Telegraph ha concesso gli onori dell’apertura, due pagine interne e un commento.
Truss non ha mai realmente accettato il modo in cui è stata messa da parte dai sunakiani che accusa, più o meno apertamente, di avere complottato con il Ministero del tesoro per la sua caduta e avere imposto una politica economica più ortodossa tax-and-spend, ben esemplificata dall’Autumn Statement del Cancelliere Jeremy Hunt, che ha già affermato come nella finanziaria del prossimo mese di marzo non ci saranno tagli alle tasse per gli inglesi.
Battaglia sulla politica economica
Insomma, La pluridecennale battaglia tra la destra Tory post-thatcheriana e la corrente One Nation del partito, prosegue: se Sunak e i suoi pensavano di avere messo a tacere l’opposizione interna al momento della sua elezione, gli scarsi risultati in economia e nel consenso presso l’opinione pubblica hanno fatto riesplodere la questione in casa conservatrice.
Truss ha lamentato anche il trattamento tutt’altro che di riguardo ricevuto dal Treasury, che, a suo dire, non l’avrebbe avvertita dell’effetto sui fondi pensioni dell’aumento del rendimento dei Gilts (i titoli di Stato Uk) sul mercato delle obbligazioni.
Certo, la beniamina della destra Tory è stata anche improvvida: sostituire il Permanent Secretary del Ministero, Tom Scholar, poco prima di annunciare l’infausto mini-budget è stata una mossa fin troppo audace, e, allo stesso modo, annunciare una raffica di tagli alle tasse a un gruppo parlamentare a lei avverso è stata un’altra decisione certamente coraggiosa ma che non ha tenuto conto dei rapporti di forza all’interno dei Tories.
Difesa della Trussonomics
Truss ha difeso le sue politiche pro-crescita: nel momento in cui le stime del Fondo Monetario Internazionale annunciano una recessione nel 2023 per il Regno Unito, forse, non tutta la Trussonomics andava buttata via.
Lo stesso Boris Johnson – colui che, con Rishi Sunak, aveva contribuito più di tutti al rialzo delle tasse – si è espresso in favore di una politica fiscale più favorevole a tagli alle tasse e alle aliquote.
Chissà se il mood nel Paese cambierà: gli ultimi anni, complice anche la pandemia, hanno visto il ritorno dell’interventismo dello Stato in forze nell’economia. I risultati, però, non sembrano all’altezza delle attese. Sentiremo ancora parlare di Liz Truss: una miccia destinata a esplodere in un partito a rischio sopravvivenza.