Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, abbiamo assistito in Occidente ad innumerevoli rigurgiti d’odio contro lo Stato ebraico, alimentati dall’estrema sinistra antioccidentale. Un odio talmente forte che organizzazioni femministe come Non una di meno hanno preso posizione contro Israele senza dire nulla sulle donne israeliane violentate il 7 ottobre, mentre all’Onu hanno impiegato quasi due mesi per condannare gli stupri.
Prima di minimizzare o giustificare ciò che hanno fatto quelli di Hamas, queste persone dovrebbero chiedersi come vivono le donne sotto una teocrazia islamica. Una testimonianza importante in tal senso giunge proprio da Gaza, dove Umm Abdo, donna 41enne di origini brasiliane, è stata sposata per 18 anni con Said Dukhan. Questi è il figlio di Abdul Fattah Dukhan, uno dei fondatori di Hamas, morto l’11 ottobre 2023. La Abdo ha raccontato la sua storia il 6 gennaio, in un’intervista al quotidiano brasiliano Folha de S.Paulo.
Chi è Umm Abdo
Nata a Criciúma, nel Brasile meridionale, si è convertita all’islam dopo averne letto in un libro di scuola quand’era ancora una bambina. In seguito si è trasferita nella capitale Brasilia, dove ha iniziato a frequentare una moschea. Nel 2005 si è trasferita a Gaza City, e all’età di 22 anni ha sposato Said Dukhan, dal quale ha avuto sette figli, oggi di età compresa tra i 4 e i 17 anni.
Nel corso dell’intervista, ha detto che inizialmente non sapeva dei legami del marito con Hamas. Ma la sua storia d’amore ben presto si è trasformata in una tragedia. Umm Abdo sostiene infatti di essere stata per anni vittima di violenze domestiche, che l’hanno portata al divorzio nel 2023. Mentre i loro figli vivono tuttora sotto la custodia di Said.
Nel corso dell’intervista, ha evitato di dire dove vive proprio per evitare che l’ex marito la trovi. Non a caso, ha deciso di farsi chiamare con uno pseudonimo (Umm Abdo significa “madre di Abdo” in arabo), senza rivelare il suo vero nome. Si è anche rifiutata di farsi fotografare.
La vita sotto Hamas
“Sono andata a vivere nella Striscia di Gaza nel 2005 perché mi ero innamorata di Said, il mio ex-marito, e credevo che anche lui mi amasse”, ha raccontato. “Così ho lasciato la mia famiglia, i miei amici e tutto il resto. Non credo che l’amore sia qualcosa che si possa controllare. Succede e basta”.
“Quando ci siamo conosciuti, Said mi ha detto che non poteva vivere con me in Brasile. Mi disse di avere paura che se avesse lasciato Gaza, sarebbe stato arrestato da Israele. Così ho accettato di vivere con lui qui”.
Umm Abdo ha negato di sapere, almeno all’inizio, che il suocero fosse un fondatore di Hamas, anche perché il marito gliel’ha tenuto nascosto: “Non mi ha mai detto nulla. Non è una cosa che si dice a qualcuno che si vuole conquistare, soprattutto se è una straniera. Hamas è un gruppo che non tutti amano. È una fazione considerata terroristica a livello internazionale. È odiata in tutto il mondo, anche in Palestina”.
Ha spiegato di aver “imparato a conoscere il loro rapporto con Hamas a poco a poco. Quando la mia prima figlia aveva circa cinque mesi, nel 2006, ho iniziato a capire meglio la lingua araba. In occasione delle celebrazioni di Hamas, la gente veniva davanti alla nostra porta per rendere omaggio a mio suocero, Abdul Fattah Dukhan. Era tutto molto strano. All’inizio pensavo che fosse solo un altro simpatizzante del gruppo. Solo dopo molto tempo ho capito quanto fosse potente”.
“È un’informazione che ho sempre tenuto nascosta alla mia famiglia, proprio per non peggiorare la loro immagine dell’uomo che in quel momento era mio marito”. Ha spiegato che i parenti lo hanno scoperto comunque nel 2014, per un servizio pubblicato proprio dalla Folha de S. Paulo sulla guerra in atto all’epoca.
“Ho avuto sette figli con Said. Il lato positivo di averli cresciuti a Gaza è la sicurezza che abbiamo. È strano dirlo in un luogo che viene sempre bombardato. Ma a parte le guerre, Gaza è un luogo molto sicuro. Non si ha paura di uscire per strada in un luogo buio. Le donne escono con gioielli d’oro. Non ci sono furti. Il che è molto strano per me, che sono cresciuta in Brasile”.
Violenze domestiche
Alla domanda su com’è stato vivere con suo marito, ha risposto: “Non so se ridere o piangere. Il mio matrimonio era una farsa. Vivevo da sola. Ho deciso di divorziare proprio per questo motivo, e anche per proteggere i miei figli”.
Sul marito, ha raccontato che “ha cercato di uccidermi dandomi una medicina a cui sono allergica. Poi sono corsa fuori di casa per cercare aiuto, e lui mi ha inseguita con una pistola. Sono tornata indietro, ma mi ha colpita di nuovo. L’ho denunciato, ero tutta viola in viso, e lui è corso all’ufficio dell’anagrafe per chiedere il divorzio”. Tutto questo è successo nell’agosto 2023, e il tribunale ha approvato da poco il divorzio.
“È stato molto difficile vivere con i membri di Hamas in casa mia per 20 anni”, ha spiegato. “Ho subito un po’ di tutto. O meglio: ho sperimentato molto. Tentativi di stupro, omicidi, molestie sessuali e verbali. Le minacce di morte sono diventate la normalità. All’inizio pensavo che fosse perché non sono araba, ma poi ho capito che non ero l’unica”.
Ha spiegato che “durante questo periodo, ho scoperto molte assurdità perpetrate dalle famiglie di Hamas. Sono storie terribili, e la cosa peggiore è che sono vere. Nessuno può fare nulla se non tacere. Tutti hanno paura. Chi apre bocca muore. Hamas li accusa di essere spie di Israele e li uccide. È semplice. Usano la religione come scusa. Non è una battaglia religiosa, al contrario. È banale, sporca, sudicia. E nel frattempo, la gente muore di fame”.
La guerra in corso
Un tempo parte di una famiglia profondamente legata ad Hamas, oggi Umm Abdo critica apertamente la fazione terroristica, pur riservando critiche anche ad Israele. “La gente odia Hamas più di quanto odi Israele. Per questo pensiamo che quello che Israele ci sta facendo sia assurdo. Hamas non ci ha chiesto il permesso di fare le cose che ha fatto (il 7 ottobre, ndr). Perché dobbiamo pagare il prezzo di un crimine che non abbiamo commesso?”.
I figli
Da tempo Umm Abdo sta cercando di portare i suoi figli fuori da Gaza, sfruttando la sua cittadinanza brasiliana. Tuttavia, per farlo è necessario il consenso del padre, il che al momento è impensabile. Lo stesso requisito è previsto in Brasile per i viaggi internazionali, che devono essere autorizzati da entrambi i genitori.
La donna ha fatto appello al Ministero degli Affari esteri brasiliano di aiutarla a fare uscire i figli da Gaza, affinché vadano perlomeno in Cisgiordania. Ha raccontato che il padre li picchia con violenza, e per dimostrarlo ha inviato al giornale brasiliano fotografie dei bambini con lividi sul corpo.
Ha spiegato che “non hanno avuto un’infanzia come gli altri. Non a causa delle guerre, ma perché il mio ex-marito prova piacere nel farli soffrire. Tanto che, quando è iniziata la guerra, non ha voluto lasciare Gaza con i miei figli e non mi ha permesso di portarli via. Dice che preferisce che muoiano qui piuttosto che andarsene. Non lo capisco. Tutti qui sognano di avere la possibilità di salvare i propri figli, in modo che possano vivere. Lui no”.
“Sono cinque anni che cerco di lasciare Gaza, chiedendo aiuto alla rappresentanza diplomatica brasiliana a Ramallah e all’ambasciata a Tel Aviv. Ma loro dicono che, secondo la legge di Hamas, non possono portare via i bambini senza l’autorizzazione del padre. Ho spiegato la mia situazione, ho inviato le foto dei bambini picchiati e i video di Said che li minacciava. Ho descritto tutto nei dettagli. Ho parlato delle guerre, del fatto che viviamo sempre nella paura e che i miei figli sognano di andare in Brasile per avere una vita normale come gli altri bambini nel mondo. Ma è stato tutto inutile”.
Ha dichiarato di non riuscire a capire “come un Paese come il Brasile si adegui alle regole di un governo considerato marcio e terrorista. Anche se Said morisse, non riuscirei comunque a portare i miei figli fuori da Gaza. Avrei bisogno del permesso dei miei zii”.
Il precedente storico
La sua storia ricorda in parte quella dell’americana Betty Mahmoody: negli anni ’80 era sposata con un medico iraniano con il quale viveva nel Michigan, ma ad un certo punto questi tornò con lei e la loro figlia in Iran. Qui, convinto dalla famiglia, cercò di costringere la moglie e la figlia a restare e a vivere secondo i dettami dell’islam più intransigente. Dopo 18 mesi in cui erano di fatto tenute in ostaggio, alla fine la Mahmoody e sua figlia riuscirono a fuggire negli Stati Uniti.
Così come questa storia, dalla quale è stato tratto un film (Mai senza mia figlia!, 1991), ha avuto un lieto fine, si spera che anche Umm Abdo e i suoi figli, e chiunque altro si ritrovi nella stessa condizione, riescano un giorno a fuggire dal regime teocratico di Hamas.