Nel luglio del 2023 la Russia si era ritirata dall’accordo sul commercio del grano del Mar Nero. Eppure le esportazioni di grano marittime, soprattutto dal porto di Odessa, nei primi mesi del 2024 hanno raggiunto livelli mai così alti dall’inizio della guerra. La rotta che costeggia Romania e Bulgaria è ora considerata sicura, al punto che gli assicuratori tornano a coprire i viaggi e le navi di grandi dimensioni hanno ripreso a navigare.
Cosa è successo nel frattempo? Che il blocco navale russo è stato, di fatto, spezzato. E non con un altro accordo, mediato dalla Turchia o da altri neutrali, ma solo da una vittoria ucraina sul mare. Un fatto ancor più incredibile, se si pensa che l’Ucraina è una nazione senza una flotta.
Spedizioni quasi a livelli pre-bellici
La ripresa delle spedizioni di grano dal porto di Odessa, che secondo un’analisi del Wall Street Journal hanno quasi raggiunto livelli pre-bellici, potrebbe risolvere numerosi problemi in Ucraina e in Europa. Prima di tutto nella nazione aggredita che è sempre stata tradizionalmente il granaio d’Europa. Poi anche per l’Europa orientale, dove gli agricoltori polacchi, rumeni e bulgari scalpitavano per le continue spedizioni via terra, o via Danubio, di prodotti agricoli che fanno concorrenza ai loro e che saturano il mercato.
Si evita anche di dover ricorrere sempre alla difficile mediazione di terze parti, non sempre affidabili, come la Turchia di Erdogan. E non si dipende più da “atti di buona volontà” russi, che spesso sono solo di facciata. Anche quando il commercio marittimo era ripreso dopo l’accordo di luglio 2022 (mediato da Ankara), le ispezioni delle autorità russe a bordo delle navi provocavano ritardi anche di settimane.
Le esportazioni per ora consistono soprattutto in carichi di grano e di minerali ferrosi, ma nei prossimi mesi le autorità ucraine progettano di far ripartire anche le porta-container. Il governo di Kiev ha stretto accordi con i maggiori assicuratori internazionali per tornare a coprire i carichi di grano a prezzi abbordabili. Il 1 marzo il piano è stato esteso a tutti i carichi non militari, fra cui acciaio e minerali ferrosi.
Insomma, è una notizia che si dovrebbe festeggiare e che sicuramente fa a pugni con quella retorica un po’ autolesionista (e un po’ tanto interessata) che vede l’Ucraina come nazione già sconfitta a cui si chiede il “coraggio” di “alzare bandiera bianca”.
La guerriglia navale
Se ne parla poco anche perché è francamente incomprensibile come faccia una nazione senza flotta a spezzare un blocco navale. I tedeschi, nel 1914-18, per esempio, non ci riuscirono neppure se disponevano della seconda flotta più potente d’Europa. Eppure anche la guerra sul mare in Ucraina sta andando male ai russi e potrebbe costituire una lezione utile per gli strateghi occidentali: come infliggere perdite gravi a una flotta potente e costosa con mezzi “poveri” e facilmente reperibili sul mercato.
Il 14 aprile 2022, fece scalpore l’affondamento dell’incrociatore lanciamissili Moskva, ammiraglia della Flotta del Mar Nero russa. Progettata per colpire le portaerei nucleari americane, la grande unità di superficie russa, usata soprattutto per bombardamenti contro la costa ucraina, è stata colpita e affondata da due missili anti-nave Neptune lanciati da terra e assistiti da droni.
Ma è soprattutto negli ultimi mesi che si sono intensificati gli attacchi alle navi e alle basi navali russe. L’innesco della nuova offensiva ucraina è stato proprio il collasso degli accordi sul grano nel luglio scorso e i bombardamenti missilistici russi sui porti commerciali. Per rappresaglia, Kiev ha iniziato a lanciare i suoi attacchi sempre più arditi.
Non è una guerra combattuta con battaglie aeronavali, tantomeno con scontri fra navi di superficie. Fa meno notizia, perché nessuna delle due parti rivendica apertamente le sue azioni. È più una guerriglia navale che da italiani dovremmo conoscere molto bene, perché è lo stesso tipo di strategia che impiegammo nella Prima Guerra Mondiale contro gli austro-ungarici, lanciando i nostri Mas contro le loro corazzate, affondandole in porto o in navigazione. Cambia solo la tecnologia e diminuisce il rischio: non c’è più il coraggio ai confini del suicidio di un comandante di Mas come Luigi Rizzo, perché oggi a tenere il timone è un sistema di guida elettronico.
Il 17 luglio il ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea occupata, è stato colpito e gravemente danneggiato da droni navali, dunque barchini esplosivi senza equipaggio. L’intelligence ucraina ha aspettato quasi un mese prima di rivendicare. Il 4 agosto è stata colpita nel porto di Novorossijsk (oltre 300 km a Est di Odessa) una nave d’assalto anfibio classe Ropucha, la Olenegorskij Gornijak e una nave da pattuglia è stata affondata nello stesso raid.
Nel solo mese di settembre ben sette navi sono state danneggiate o anche affondate, in mare aperto o in porto, fra cui anche un sottomarino classe Kilo (il Minsk) colpito in porto a Sebastopoli da un attacco con missili Storm Shadow. Il 26 dicembre è stata distrutta, con missili lanciati da aerei, anche un’altra grande nave d’assalto anfibio, la Novocherkassk, mentre era nel porto di Feodosia, in Crimea.
Con l’arrivo dell’anno nuovo, gli ucraini hanno iniziato a usare droni marittimi più potenti, i Magura V5: viaggiano a una velocità di 40 nodi e hanno un’autonomia di 800 km, portano una carica da 200 kg che si tenta di far detonare all’interno dello scafo nemico, una volta che il barchino esplosivo è penetrato nella fiancata della nave colpita. Il 1 febbraio sono dei Magura che hanno affondato la corvetta lanciamissili Ivanovets, in navigazione nel Mar Nero. Due settimane dopo hanno colato a picco la ben più grande nave d’assalto anfibio Tsezar Kunikov, in navigazione al largo della costa della Crimea. E il 5 marzo è toccato al pattugliatore Sergej Kotov, inabissatosi nello stretto di Kerch.
Il danno morale
Secondo una stima del Ministero della Difesa britannico, la Russia aveva perso un quinto della Flotta del Mar Nero già negli ultimi quattro mesi del 2023. Ed oggi la situazione è ulteriormente peggiorata per Mosca.
Ma non è neppure tanto il danno materiale che ha fatto la differenza, quanto il danno morale. Se dopo l’affondamento del Moskva i russi hanno smesso di mandare le loro navi disinvoltamente a poche migliaia di metri dalla costa nemica, dopo i raid nei porti hanno dovuto disperdere maggiormente le loro unità nelle basi navali ed evitare la Crimea.
Adesso, dopo l’affondamento di sempre più navi in mare aperto, la flotta russa inizia a considerare anche le acque del Mar Nero occidentale come una zona sempre più off limits. Teoricamente, i russi dominano ancora il mare. Ma sono sempre più spesso costretti a stare sulla difensiva, in acque sicure. Ed è per questo motivo che anche il commercio del grano sta riprendendo fiato.