L’abbraccio di Cina e India alla Russia è tutt’altro che amichevole

Il blocco eurasiatico è tutt’altro che compatto. Pechino e Delhi fanno affari con Mosca ma sfruttandone la debolezza. Un abbraccio che può rivelarsi mortale

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La morte di Mikhail Gorbaciov riporta la memoria a quegli anni storicamente intensi in cui il disfacimento del sistema collettivista sovietico portò alla dissoluzione del blocco che poneva l’Europa dell’Est sotto la guida della Russia.

Oggi che a Mosca regna l’anti-Gorbaciov, alcuni immaginano che possa comporsi un blocco ancora più vasto e antagonista rispetto all’Occidente liberal-democratico.

Blocco eurasiatico alla prova

Proprio il 2022, con la guerra di Ucraina, avrebbe potuto essere l’anno di prova perfetto dell’esistenza di una coalizione euroasiatica, formata da Russia, Cina, India, Iran, che secondo alcuni entusiasti avrebbe potuto estendersi agli altri due Paesi del BRICS (Brasile e Sud Africa): il futuro polo egemone mondiale lungo l’asse Mosca-Pechino.

Nel momento in cui all’Onu si è trattato di votare la mozione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, in effetti, Cina e Iran, la stessa India e il Sudafrica, si sono astenuti – una posizione che è apparsa come una sorta di “silenzio assenso” alla campagna militare di Putin – mentre il Brasile condannava l’invasione, ma nello stesso tempo trovava modo di esprimere con Bolsonaro la sua stretta neutralità: “né con i carri armati russi, né con Kiev”.

Ma dopo questo voto, apparso come un trionfo diplomatico di Putin, come sono andate realmente le cose? Gli attori che non hanno condannato l’invasione hanno poi sostenuto attivamente la causa del Cremlino? Decisamente no.

L’abbraccio della Cina

Partiamo dalla Cina: il governo della Repubblica Popolare non ha aderito alle sanzioni contro la Russia e continua a comprare petrolio più di prima, ma chiede e ottiene uno sconto del 35 per cento.

Vengono in mente strani paragoni con le vicende della vita quotidiana: se un amico nel momento del bisogno pretendesse di sostenerti acquistando però la tua merce con uno sconto di oltre il 30 per cento, somiglierebbe molto all’usuraio che ti offre un bel prestito, ma con un forte tasso di interesse.

Per capire quanto la Russia ci perda occorre guardare le quotazioni attuali del greggio (nel momento in cui scriviamo: 92 dollari), sottrarre la fetta di mercato occidentale che la Russia perde, togliere ancora il 35 per cento: a quel punto si arriva facilmente a quella soglia di 50 dollari sotto la quale per i russi praticamente non conviene esportare petrolio. Peraltro la domanda asiatica di petrolio bilancia solo parzialmente la perdita del mercato occidentale.

Per quanto riguarda il gas, invece, la situazione appare compromessa in partenza: la Russia non ha oggi le infrastrutture per stornare sull’Asia la sua erogazione di gas, per questo ora lo sta bruciando nei suoi impianti… Mancano completamente i gasdotti e ci vorrebbe un quinquennio a partire da oggi per costruirli.

Peraltro, al di là dell’ottimo affare con il petrolio russo ribassato, Pechino si comporta esattamente come gli occidentali dando ordine a tutte le sue compagnie di ritirarsi dalla Russia e chiudere gli stabilimenti.

Da ciò consegue una pesante crisi occupazionale in Russia: l’industria automobilistica è andata in crisi e – cosa ancora più rilevante – sono andate in crisi le fabbriche militari, tipo quelle che producevano droni.

La Grande Russia dipendeva completamente dall’estero per la sua costruzione di droni, venendo meno la Cina è costretta a rifornirsi dall’Iran che le passa droni un po’ “vintage”, con qualche problemino tecnico di funzionamento a quanto pare.

Le mire cinesi sulla Siberia

Ma se il Dragone ritira le sue compagnie non ritira i suoi uomini dalla Siberia. Qui si apre un capitolo inquietante per la Russia (ma, attenzione, anche per noi occidentali): in Siberia risiedono sempre più lavoratori cinesi, una presenza che forse fa da premessa ad un antagonismo nei prossimi anni, considerando che verso la Siberia il regime di Pechino adotta la stessa logica revanscista di lungo corso che in questi giorni esprime apertamente riguardo Taiwan.

L’abbraccio dell’India

Veniamo all’India. Il governo di Modi non ha risposto all’appello lanciato da Putin per la de-dollarizzazione del mercato del petrolio: l’India continua ad acquistare il petrolio in dollari, esattamente come il Brasile. Lo acquista tranquillamente dai russi senza unirsi alle sanzioni, ma chiedendo lo stesso forte sconto – quasi da saldo di fine esercizio commerciale – del 35 per cento.

L’India ha peraltro una particolarità: fino a ieri era anche un grosso acquirente di armi dalla Russia. La guerra in Ucraina ha rappresentato una svolta storica: la Russia è stata esclusa da tutti i bandi di concorso interni per approvvigionamenti di attrezzature militari (d’altra parte l’obsolescenza della tecnologia militare russa per effetto delle sanzioni renderebbe comunque poco competitiva l’industria degli armamenti di Mosca).

Non solo, ma l’India è diventata un grande fornitore dell’Ucraina per le munizioni di artiglieria e le armi portatili.

Un abbraccio mortale

L’abbraccio asiatico alla Russia in guerra si rivela essere, a ben vedere, un abbraccio mortale. Se Cina o India fossero come il sor Gavino Capogreco, l’usuraio di “Amici miei” magistralmente interpretato da Paolo Stoppa, diremmo che la Russia si trova nella condizione necessitata di “donare” un rene all’una e un rene all’altra…

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