Labour a valanga, disfatta Tories. Ma esistono ancora. E no, Brexit non c’entra

Per Starmer questione Ue chiusa, il Labour ha virato al centro ma ci sarà più intervento statale e green. Troppi autogol dei Tories, ora al bivio. Successo Farage

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Nessuna sorpresa dalle elezioni politiche nel Regno Unito. Vittoria a valanga del Labour e disfatta Tories, anche se appaiono scongiurati gli scenari più inquietanti che li vedevano addirittura conquistare meno di 100 seggi e finire come terzo partito a Westminster. Ne avranno circa 120, comunque il peggior risultato dalla fondazione del partito nel lontano 1834. Per il Labour seconda più grande maggioranza di sempre (410 seggi), di poco inferiore a quella conquistata da Tony Blair nel 1997 (418).

Terzi i libdem, che superano il loro record con 71 seggi. Quarto il partito di Nigel Farage, Reform UK, che arriva per la prima volta in Parlamento con una piccola pattuglia (4 seggi) superando lo scoglio del sistema first-past-the-post, che penalizza fortemente i “terzi” partiti non fortemente localizzati.

Ovvio che il leader del Labour Keir Starmer andrà a Downing Street. Ma per una prima analisi del voto ci affidiamo a Daniele Meloni, giornalista Rai e profondo conoscitore della politica britannica, per lunghi anni prezioso collaboratore di Atlantico Quotidiano.

Le cause della disfatta

ATLANTICO QUOTIDIANO: Daniele, allora, dopo 14 anni i Conservatori cacciati da Downing Street, l’alternanza al potere è fisiologica in democrazia, una certa stanchezza dell’elettorato è anche comprensibile, l’anomalia sta nelle proporzioni. A cosa si deve questa disfatta dei Tories? Quali gli errori determinanti che potevano essere evitati?

DANIELE MELONI: La disfatta epocale dei Tories è dovuta a tre fattori. Il primo è la litigiosità interna al partito, che ha portato quattro primi ministri e cinque cancellieri dello Scacchiere negli ultimi quattro anni. Il secondo sono gli scandali – siano essi finanziari, il partygate o a sfondo sessuale – che hanno eroso la fiducia degli elettori nel partito. Il terzo è la lunga permanenza al potere. Dopo 14 anni gli elettori vogliono un ricambio. I Conservatori hanno perso voti alla loro destra a vantaggio di Farage, nel Blue Wall del sud-est a vantaggio dei LibDems, e, soprattutto a vantaggio del Labour, che ha sottratto loro 164 seggi. In un sistema maggioritario i cittadini hanno trasferito i loro voti verso il partito con maggiore possibilità di sostituire quello al governo.

Il governo Starmer

AQ: Cosa possiamo aspettarci dal nuovo governo laburista? Avrà un’agenda radicale o riformista blairiana?

DM: Il Labour ha fatto campagna promettendo “change”, il cambiamento. Ma in realtà ci sarà molta continuità. Soprattutto in politica estera dove Starmer percorrerà le orme dei predecessori confermando UK come alleato principale dell’Ucraina. Il nuovo premier ha recuperato il rapporto con gli ebrei laburisti del Jewish Labour, ma deve tenere a bada la fazione filo-palestinese del partito, scesa in piazza contro la risposta di Israele ai fatti del 7 ottobre. La guerra Israele-Hamas non è comunque al centro dei pensieri della politica estera UK, incentrata sulla sfida cinese e quella russa.

In politica interna il Labour avrà più margini di manovra. Sunak consegna a Starmer una economia che ha saputo ridurre l’inflazione e con prospettive di crescita lusinghiere nei prossimi anni secondo il FMI. Ci sarà un intervento statale anche maggiore rispetto a quanto già intrapreso dai Conservatori. Agenda green, tasse sulle scuole private e creazione di un colosso nazionale dell’energia le mosse più a rischio per la spesa pubblica. E poi aumenterà la tassazione sui capital gains e sull’eredità.

Infine, l’immigrazione. Il Labour vuole cancellare il controverso Ruanda Plan per il trasferimento dei migranti illegali a Kigali, ma ancora non ha detto nello specifico come pensa di fare fronte al problema.

Il successo di Farage

AQ: Come giudichi la performance di Farage, che si candidava come vera forza di opposizione al Labour e aveva lanciato un’Opa sui Tories?

DM: Il sistema elettorale maggioritario è l’ostacolo più duro per la destra nazional-populista: favorisce gli attori interni al sistema e la sua stabilità. Farage questa volta è entrato a Westminster dopo 7 tentativi andati a vuoto. È sicuramente un grande oratore: bisogna vedere se l’ingresso nel “palazzo” lo farà percepire come uno ormai dell’establishment oppure lo avvicinerà al suo obiettivo storico. Quello di unire le destre UK sotto la sua leadership.

Il ruolo della Brexit

AQ: Tories puniti per la Brexit e sconfitti i populisti, come si sente dire da molti commentatori italiani?

DM: Poco prima del voto, Starmer sul Guardian è stato chiaro: “Il rientro nell’Ue non è previsto per tutta la durata della mia vita”. La questione è chiusa. Probabile il Labour cercherà di allinearsi maggiormente ai regolamenti europei – così si è espressa Rachel Reeves, la nuova Cancelliera – ma non ci sarà un ritorno nel Mercato Comune.

Non bisogna dimenticare che la questione Brexit ha diviso non solo i Tories, ma anche Laburisti. Storicamente e anche negli ultimi anni. Starmer non vuole riaprire il vaso di Pandora, non vuole perdere il consenso che ha miracolosamente recuperato – anche grazie alla dabbenaggine Tory – nei collegi delle Midlands e del nord-est e mettere a rischio la sua premiership.

Terremoto in Scozia

AQ: Terremoto anche in Scozia, cosa è successo?

DM: Gli scandali e il malgoverno hanno colpito duramente la leadership dei nazionalisti scozzesi e la causa dell’indipendentismo. Il Labour ha guadagnato voti a loro scapito in Scozia e se il trend fosse confermato anche per Holyrood – il parlamento scozzese – l’SNP perderebbe la guida del governo.

A Westminster hanno ora solo 9 seggi e ne hanno persi 38. Il referendum per l’indipendenza non è mai stato così lontano. Il governo di Johnson lo negò all’allora First Minister scozzese Sturgeon sostenendo che la scelta del 2014 fosse “quella di una vita” e che erano passati troppo pochi anni per tenerne un altro. Temporeggiò – la legge gli dava anche ragione e modo di assumere una simile posizione – e allontanò la minaccia. Solo oggi si capisce quanto l’ex premier fosse stato lungimirante in materia.

Conservatori al bivio

AQ: Quali saranno le conseguenze del voto sul sistema politico britannico? Sono prevedibili cambiamenti di lungo periodo?

DM: Il sistema politico UK si presenta stabile, così come il quadro partitico. L’alternanza regge perché il maggioritario uninominale è una legge elettorale che crea stabilità e favorisce lo status quo. Per tornare al governo il Labour è stato costretto a virare al centro dopo l’avventura corbyniana legata alla sinistra radicale che produsse il suo peggior risultato di sempre.

Gli stessi Tories – da sempre il naturale partito di governo britannico – hanno dovuto smussare alcune politiche – si pensi a quelle economiche con il breve interregno della coppia Truss-Kwarteng a Downing Street e all’Exchequer – per continuare a governare. Ora i Conservatori sono all’ennesimo bivio. Spostarsi verso il centro e presentarsi da subito come alternativa al Labour o andare a destra, magari sotto la leadership della ormai ex ministra delle attività produttive, Kemi Badenoch o di Suella Braverman, e assumere posizioni che drenino il consenso di Farage e avvicinino la destra UK a quella trumpiana. Le prossime elezioni Usa possono essere molto importanti per la traiettoria futura dei Tories.

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