Esteri

L’assedio di Gaza: perché per vincere Israele deve pensare ai civili

Hamas può salvarsi solo grazie ad un mutamento di sentimento delle opinioni pubbliche che induca gli Usa a fermare Israele. Le leggi di guerra servono a impedirlo

Netanyahu Gallant

L’assedio di Gaza comincia. Non sappiamo come si svolgerà, ma possiamo provare ad immaginarcelo.

Un assedio a due cerchi

Dentro Gaza, l’esercito miliziano di Hamas: quello che ha mosso guerra ad Israele, quello che ha commesso gli orrendi crimini di guerra di sabato e domenica, quello che oggi ne commette un altro tenendo prigionieri ostaggi civili.

Nel primo cerchio attorno a Gaza, l’esercito israeliano e non v’è chi non veda come esso, in uno scontro militare diretto, sia destinato a prevalere.

Nel secondo cerchio attorno a Gaza, gli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha commesso tutti gli errori strategici possibili, ma come tattico pare più avvertito. Verso l’Iran ha rivolto la minaccia di rispondere, non solo in Libano, ma pure in Siria; ciò che potrebbe aver suggerito prudenza agli iraniani ed ai loro alleati russi, ai quali il controllo di quest’ultimo Paese è costato molto sforzo.

Quanto a la Turchia, l’abbattimento del drone in Siria, le due portaerei Usa nel Mediterraneo orientale e la divisione aviotrasportata destinata in Giordania, potrebbero bastare a dissuaderla.

Le difese di Gaza

Sicché, le sorti dell’assedio paiono segnate a meno che, prima della caduta finale, un mutamento di sentimento delle opinioni pubbliche induca gli Usa a spingere Israele ad interrompere l’attacco ed a subire un ennesimo inutile armistizio. Che, per Hamas, segnerebbe una straordinaria vittoria.

Potrebbe trattarsi di attentati in Occidente. Ma è difficile immaginare essi possano indurre lo stato vittima ad una reazione pacifica. E tanto meno Israele, che vi vedrebbe solo una conferma della minaccia già inverata a casa sua. Potrebbe trattarsi dello sbandamento di qualche governo vicino agli Usa, più facilmente arabo. Eventualità tanto più probabile, quanto più crudele sarà il destino della popolazione civile assediata.

Le leggi di guerra

Come minimizzare tale rischio? Conducendo l’assedio con in testa il diritto internazionale umanitario, le leggi di guerra.

Ed è per questo che Biden ha scandito: “conosco Bibi da oltre 40 anni, in un rapporto molto franco. Lo conosco bene. E una cosa che gli ho detto e che è davvero importante che Israele – pur con tutta la rabbia e la frustrazione che esiste – operi secondo le leggi di guerra. Ed esistono le leggi di guerra”.

Ed è per questo che Sullivan ha spiegato: “lavoriamo per garantire che le nostre operazioni militari siano condotte in conformità con lo stato di diritto e le leggi di guerra”.

Ed è per questo che Blinken ha detto: “ciò che distingue Israele e Usa e le altre democrazie – quando si tratta di situazioni incredibilmente difficili come questa – è il nostro rispetto per il diritto internazionale e, se del caso, per le leggi di guerra. Facciamo tutto il possibile per garantire che, in queste situazioni, si evitino vittime civili”.

Prigionieri di guerra

Cosa intendono dire? Anzitutto, le parti in conflitto debbono trattare chi si arrende come prigioniero di guerra. Applicandosi poi differenti leggi a chi, fra essi, si sia macchiato di crimini di guerra. Di Hamas nemmeno serve parlare: basti guardare le immagini dei crimini di guerra di sabato e domenica.

Quanto a Israele, certe dichiarazioni del ministro della difesa Yoav Gallant (“stiamo combattendo animali umani e agiamo di conseguenza”), non possono che intendersi come eccessi retorici. E certe dichiarazioni di Netanyahu (“ogni membro di Hamas è un uomo morto”), non possono che intendersi come riferite ad “ogni membro di Hamas che non si sarà arreso”. D’altronde, lo stesso citato riferimento di Biden a “un rapporto molto franco” col primo ministro israeliano, non può che riferirsi a questo.

Ciò di cui – ne siamo certi – l’esercito israeliano è il primo a rendersi conto perfettamente. Come indicano le parole del capo di Stato Herzog, un laburista molto diverso da Netanyahu: “militarmente, operiamo secondo le regole del diritto internazionale. Punto. Inequivocabilmente”.

Combattere fra i civili

In secondo luogo, le parti in conflitto dovrebbero rispettare due princìpi: un principio di distinzione (attaccare obiettivi militari e non attaccare obiettivi civili) ed un principio di proporzionalità (non infliggere ad obiettivi civili danni collaterali sproporzionati rispetto al vantaggio militare atteso).

E non basta l’intenzione di non uccidere civili, come indirettamente suggerisce il portavoce della Casa Bianca Kirby: “Hamas, lo scopo degli attacchi iniziali di sabato era quello di uccidere, assassinare, macellare, massacrare. Non stavano cercando di occupare il territorio. Stavano cercando di uccidere”. Occorre proprio applicarsi ad uccidere meno civili possibile.

Princìpi ai quali Biden ha richiamato Netanyahu, dice Sullivan: hanno discusso “come distinguere tra terroristi e civili innocenti”. Princìpi che valgono per qualsiasi azione militare, quindi sono manifestamente infranti dall’indiscriminato bombardamento dei missili di Hamas al territorio israeliano.

Ma che valgono pure per un assediante. E, in quest’ultimo caso, sono di particolare difficile applicazione, tanto più se contro un esercito miliziano: nell’intrico della quarta città-stato più densamente popolata al mondo, come distinguere un edificio civile da uno occupato da combattenti? Come distinguere un civile da un miliziano?

Allontanare i civili

La soluzione più ovvia sarebbe che Hamas stessa pensasse “ad allontanare la popolazione civile, i singoli civili e i beni civili sotto il proprio controllo dalle vicinanze di obiettivi militari”. Come d’altronde imporrebbero le Convenzioni di Ginevra (58.PA I).

Ma non vuole affatto, tutt’altro. Così Kirby: “sono loro che mettono i palestinesi maggiormente a rischio, insediandosi negli ospedali e nelle scuole”. Così Blinken: “Hamas, che usa le persone come scudi umani, in realtà cerca di mettere i civili palestinesi in situazioni in cui potrebbero essere colpiti. Questo fa parte del loro piano di battaglia”.

Così il presidente di Israele Herzog: “Mi è stato chiesto della separazione dei civili da Hamas. Ma, con tutto il rispetto, con tutto il rispetto, se hai un missile nella tua maledetta cucina e vuoi spararmelo addosso, posso difendermi? Sì. I missili ci sono, questi missili vengono lanciati, si preme il pulsante, il missile esce dalla cucina verso i miei figli”.

Sinora, il lavoro che dovrebbe fare Hamas – allontanare i civili dalle vicinanze di obiettivi militari – tende a farlo l’esercito israeliano, quando cerca di preavvertire i civili sotto il controllo di Hamas di allontanarsi dagli obiettivi militari che stanno per essere colpiti. Avvisi a volte generici, come quello di ieri riguardo qualunque posizione militare di Beit Lahia, una cittadina sotto il controllo di Hamas di circa 62.000 abitanti. Così Herzog: “diciamo loro di uscire e combattiamo contro chi lancia i razzi”.

Nel corso della battaglia, però, quando quelli stessi civili saranno passati sotto il controllo dell’esercito israeliano, allora sarà quest’ultimo a doverli allontanare dalle vicinanze di obiettivi militari.

Rifornire i civili sotto assedio

Ma non solo. Altri civili assediati si troveranno lontani dagli obiettivi militari, eppure comunque sottoposti alle privazioni dell’assedio. Così la Croce Rossa Internazionale: “senza elettricità, gli ospedali rischiano di trasformarsi in obitori”.

In generale, l’assediante deve consentire la consegna di attrezzature mediche, cibo, carburante e altre forniture umanitarie, insieme all’accesso del personale umanitario. Dettato, questo, fra i più normalmente disattesi, in quanto è davvero impossibile impedire che cibo, medicinali e aiuti umanitari vadano alle forze combattenti, oltre che alla popolazione civile.

Sinora, detti rifornimenti sono venuti dall’Egitto. Ma non pare possibile che tale soccorso possa bastare ad una popolazione così grande. Né che Israele, continuando la battaglia d’assedio, sia contenta di vedere aperta una linea di rifornimento dalla quale, in passato, sono venuti pure rifornimenti militari. Che detti rifornimenti giungano per nave dalla Turchia, è una eventualità che Israele sa come evitare: basti ricordare l’incidente della Mavi Marmara, nel 2010.

Che detti rifornimenti giungano da Israele, è una possibilità che si intreccia con la questione degli ostaggi. Ostaggi che Hamas ha detto di non voler liberare, fino al termine dei combattimenti. Così il ministro dell’energia Israel Katz: “aiuti umanitari a Gaza? Nessun interruttore elettrico sarà acceso, nessun idrante sarà aperto e nessun camion di carburante entrerà finché i rapiti israeliani non saranno tornati a casa. Umanitario per umanitario. E nessuno ci predicherà la morale”. Ma, anche ammesso che un simile scambio si produca, lo stesso non pare possibile che neppure un soccorso attraverso Israele possa bastare ad una popolazione così grande.

Una evacuazione consentita

Più facile venga rispettato un altro rilevante obbligo che fa capo all’assediante: consentire alla popolazione civile di lasciare la città, senza timore di subire arresti arbitrari, minacce, intimidazioni e uccisioni illegali.

Lo ha suggerito Sullivan, poi per esteso Kirby: “sosteniamo il passaggio sicuro per i civili. I civili non hanno alcuna colpa per ciò che ha fatto Hamas. Non hanno fatto nulla di male e continuiamo a sostenere il passaggio sicuro … I civili sono protetti dalle leggi sui conflitti armati e dovrebbe essere data loro ogni opportunità per evitare i combattimenti”.

Vero che il primo a non volerlo consentire sarebbe Hamas, come detto. Ma è pure vero che difficilmente il relativamente piccolo esercito miliziano potrà impedire che tutta intera l’enorme popolazione trovi una via di fuga. Dunque, il caso si porrà.

Sicché, per un motivo o per l’altro, l’assediante deve porsi il problema di dove trovare rifugio ad una popolazione di più di 2 milioni di civili.

Il confine con l’Egitto

La prima possibilità è spingerli verso l’Egitto. Martedì, un portavoce dell’esercito israeliano aveva suggerito: “sono consapevole che il valico di Rafah è ancora aperto … a chiunque possa uscire [da Gaza], consiglierei di uscire”. Ma, poi, lo stesso ufficio ha precisato: “chiarimento: il valico di Rafah era aperto ieri, ma ora è chiuso”.

Nel frattempo, era accaduto che il presidente egiziano Al-Sisi aveva fatto sapere che “non avrebbe permesso che la questione venga risolta a spese di altri”, mentre il suo governo “esortava Israele a fornire un passaggio sicuro ai civili dall’enclave, piuttosto che incoraggiarli a fuggire a sud-ovest, verso il Sinai”. Naturalmente, è possibile che gli Usa convincano il Cairo ad accogliere parte dei futuri profughi. Ma, nel caso, una parte soltanto, plausibilmente piccola.

Il campo dell’assediante

La seconda possibilità è accoglierli nel campo dell’assediante. In prima battuta, nelle parti di Gaza che vengano occupate per prime. Grossomodo, la Striscia è divisa in quattro agglomerati urbani, il maggiore dei quali posto all’estremo nord. Sicché, forse, un’avanzata potrebbe cominciare più a meridione: in modo da interrompere i rifornimenti dall’Egitto e ricavare spazio per i rifugiati.

In subordine, direttamente in Israele, pur fra infinite cautele dovute ad evidenti ragioni di sicurezza. Ma, tanto più la battaglia d’assedio sarà lunga, tanto meno sarà possibile evitare tale ultima soluzione.

Una evacuazione imposta

Sin qui, stiamo parlando di evacuazioni consentite alla popolazione. Non imposte giacché queste sarebbero, in linea generale, proibite: “i civili non saranno costretti a lasciare il proprio territorio per ragioni legate al conflitto” (17. P II).

Ma è anche vero che vigono eccezioni (il trasferimento può essere imposto, qualora “la sicurezza dei civili coinvolti o impellenti ragioni militari non lo richiedano”, 49.GC); come è vero che il territorio di Gaza è talmente piccolo, da consentire una interpretazione geograficamente un poco estensiva.

E, finché dura la battaglia, non si può affatto escludere Israele imponga una evacuazione generale di intere parti di Gaza, una volta passate sotto il proprio controllo.

In tal caso, “saranno adottate tutte le misure possibili affinché la popolazione civile possa essere accolta in condizioni soddisfacenti di ricovero, igiene, salute, sicurezza e nutrizione”. Cioè, Israele dovrà costruire dei campi profughi palestinesi sul proprio territorio.

Una evacuazione temporanea

Una curiosa nemesi, che da sola suggerisce l’interesse israeliano alla transitorietà di tale situazione. Transitorietà comunque obbligatoria: “le persone così evacuate saranno riportate alle loro abitazioni, non appena le ostilità nella zona in questione saranno cessate” (49.GC). Anche perché, in difetto, saremmo in presenza di una pulizia etnica, come quella testé perpetrata dai turchi nel Nagorno-Karabakh.

Che è un crimine contro l’umanità, secondo lo Statuto di Roma, anche se Israele (al pari di Russia e Usa) non lo ha ratificato. Del che pare consapevole il capo di Stato Herzog il quale, alla osservazione che “una volta che questa guerra sarà finita, dovrete vivere con i civili di Gaza fianco a fianco”, ha risposto: “assolutamente sì”.

Di tale transitorietà i palestinesi certamente potrebbero dubitare, se l’evacuazione avvenisse verso l’Egitto. Ma non se verso Israele. Il che potrebbe contribuire a spiegare la posizione apparentemente ferma del Cairo, in merito alla chiusura del confine.

Conclusioni

Insomma, per vincere la battaglia d’assedio di Gaza, ad Israele non bastano esercito, marina, aviazione … ma servono pure campi profughi e un corridoio umanitario e non verso l’Egitto.

Altrimenti Hamas, che non può vincere la battaglia di assedio … vincerà grazie ad un mutamento di sentimento delle opinioni pubbliche che, prima della caduta finale della città, indurrà gli Usa a spingere Israele ad interrompere l’attacco ed a subire un ennesimo inutile armistizio.

Col corridoio, invece, Israele potrà rispondere che l’alternativa c’è e continuare l’attacco e vincere la battaglia di assedio. Senza contare che lo richiedono le leggi di guerra.

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