Esteri

Lavrov in Africa con l’arma spuntata del terzomondismo

Dal ministro russo una stantia propaganda antioccidentale, ma non è più tempo per luoghi comuni sul colonialismo. Lo scaricabarile dei leader africani è su altro

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La scorsa settimana, dal 24 al 27 luglio, il ministro degli esteri della Federazione russa, Sergej Lavrov, ha visitato quattro stati africani: Egitto, Repubblica del Congo, Uganda ed Etiopia. Negli stessi giorni, il presidente francese Emmanuel Macron era in Africa occidentale. Tre le tappe del suo viaggio: Camerun, Benin e Guinea Bissau.

La missione di entrambi era stabilire o confermare rapporti strategici e politici con i governi di quei Paesi. Lo hanno fatto con stili e modalità significativamente diversi.

Macron offre aiuti militari

Macron ha parlato del futuro, di quel che la Francia è disposta a fare per collaborare con i governi africani, posto che lo chiedano, concentrandosi soprattutto, ma non soltanto sul contrasto al jihad che destabilizza territori sempre più vasti.

La Francia da tempo ha deciso di ridefinire il proprio aiuto militare ai Paesi del Sahel e dell’Africa occidentale: una decisione annunciata nel 2021 e ribadita all’inizio dell’anno quando l’Eliseo ha confermato l’intenzione di spostare in Niger i militari dell’operazione anti-jihad Barkhane distaccati in Mali.

La nuova strategia di Parigi, ha spiegato il presidente ai colleghi del Benin e del Camerun impegnati a combattere gruppi jihadisti legati ad al Qaeda e all’Isis, prevede, piuttosto che interventi militari diretti, contributi per rendere gli eserciti nazionali africani più efficienti, meglio addestrati e supportati da servizi di intelligence, anche se non esclude l’impiego di truppe qualora venga richiesto da un governo.

Lavrov chiede scelte di campo

All’altro capo del continente, Lavrov invece non ha parlato di progetti o interventi. La sua missione era chiedere agli africani di schierarsi con la Russia contro l’Occidente, con un unico argomento: l’Occidente ha un passato coloniale e ha tuttora delle mire coloniali e imperiali.

Che cosa si siano detti lui, i capi di stato e di governo e i ministri dei quattro Paesi da lui visitati durante i colloqui privati non è dato sapere. In pubblico, nei discorsi pronunciati durante gli incontri allargati e di fronte ai giornalisti, è stato un crescendo di propaganda antioccidentale, con accuse e proclami vetero-terzomondisti e argomenti sorprendentemente triti e ritriti.

L’accusa di neocolonialismo

Al Cairo Lavrov ha incontrato il suo omologo egiziano Sameh Shoukry e gli ambasciatori dei Paesi membri della Lega Araba ai quali ha spiegato che l’Occidente sta distorcendo i fatti per nascondere che il suo obiettivo è imporre il proprio dominio su altri Paesi. L’aggressività dei governi occidentali nell’infliggere delle sanzioni alla Russia – ha detto – porta a una semplice conclusione: “quel che sta succedendo non riguarda l’Ucraina, è in gioco il futuro dell’ordine mondiale”.

La Russia ha sempre “sinceramente sostenuto gli africani nella loro lotta per la liberazione dal giogo coloniale”, ha ricordato, e adesso sta conducendo “una missione militare speciale” contro quei pericolosi nazionalisti.

In Congo, Uganda ed Etiopia Lavrov ha usato gli stessi argomenti, con gli stessi toni da Guerra Fredda. I Paesi africani stanno cercando di definire e modellare il loro futuro. L’Occidente è determinato a impedirglielo. “Vi aiuteremo a completare il processo di decolonizzazione” ha promesso.

“La Russia – ha detto durante la conferenza stampa a cui ha partecipato insieme al ministro degli esteri etiope Demeke Mekonnen – è un Paese amico che rispetta l’Africa, a differenza delle arroganti potenze occidentali dalla mentalità colonialista”.

Lavrov ha ripreso e ampliato queste affermazioni parlando a un gruppo di diplomatici invitati presso l’ambasciata russa nella capitale etiope, Addis Abeba: “sono sicuro – ha poi concluso – che la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo non vogliono vivere come se fossero tornati i tempi coloniali”.

Le reazioni dei governi africani

Le parole di Lavrov sono state accolte con moderato assenso in Egitto, apprezzate in Etiopia e Repubblica del Congo, approvate incondizionatamente in Uganda.

Il presidente ugandese Yoweri Museveni è un esempio, anzi un idealtipo di come tanti leader africani regolano i loro rapporti con il resto del mondo. L’alleanza dell’Uganda con l’Occidente è forte e di lunga data. Ma Museveni ormai è al potere da 36 anni. Da tempo e sempre di più si dubita delle sue credenziali democratiche.

“È chiaro – spiega Sarah Bireete, presidente del Centro per la governance costituzionale di Kampala, la capitale ugandese – perché rispolveri adesso sentimenti anticoloniali e si avvicini alla Russia che non fa domande su diritti umani e sulla democrazia”.

Museveni ha dichiarato che non c’è motivo di criticare la Russia per aver invaso l’Ucraina. Inoltre ha lodato e ringraziato la Russia per essere sempre stata vicino ai Paesi africani nella loro lotta contro il colonialismo. Il generale Muhoozi Kainerugaba, suo figlio e probabile successore, era stato il primo alto ufficiale militare africano a esprimere sostegno alla Russia, “come la maggior parte dell’umanità, che non è bianca”.

Una propaganda stantia

Il rituale stantio di Lavrov, i suoi luoghi comuni terzomondisti in altri momenti avrebbero esaltato folle di africani. Ma non sono più i tempi. Gli stessi africani vi hanno ricorso sempre meno man mano che le prime generazioni di leader post indipendenza lasciavano il posto a nuovi politici più accorti e pragmatici.

È ormai da tanto che politici, studiosi, difensori dei diritti umani, anche quelli più marcatamente antioccidentali, hanno smesso quasi del tutto di parlare di neocolonialismo, riferito all’Occidente, di rivendicare una indipendenza reale dalle potenze coloniali europee e di attribuire a una sudditanza dissimulata la causa dei problemi del continente: dittature, sviluppo mancato, povertà.

Lo scaricabarile dei leader africani

I leader africani soprattutto in prossimità del voto, come argomento di campagna elettorale, continuano a stornare l’attenzione dai loro fallimenti incolpando fattori esterni: negli ultimi anni, il cambiamento climatico, poi la mancanza di vaccini contro il Covid-19 e adesso la guerra in Ucraina.

La colpa ricade sempre sull’Occidente, ma le accuse sono motivate diversamente rispetto al passato: il global warming di origine antropica è conseguenza dello stile di vita e del modo di produzione occidentale imposti al mondo, i vaccini sono stati monopolizzati dai paesi ricchi, occidentali (peraltro ingiustamente accusati di averne fatto incetta), l’Occidente non vuole che la guerra in Ucraina finisca…

Ai leader africani di decolonizzare il continente non importa. Piuttosto accusano i Paesi europei di non fare abbastanza per combattere jihad, povertà e malattie; e, anzi, hanno aperto le porte ad altri “colonizzatori”: la Cina, la Turchia, la stessa Russia…

Vogliono mani libere

Invece quello a cui tengono è di essere lasciati liberi di governare e amministrare a loro discrezione: continuare a ricevere, senza condizioni, critiche e ingerenze, fondi a titolo di dono, prestiti a condizioni agevolate, periodica cancellazione e rinegoziazione dei debiti, investimenti stranieri pubblici e privati per la realizzazione di opere infrastrutturali, preferibilmente di grande impatto, e per lo sfruttamento delle risorse naturali.

È questo – che non si pongano come condizione agli aiuti umanitari e di sviluppo cose come democrazia, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione – che i governi africani vogliono. “Non abbiamo mai voluto dare lezioni agli Stati africani – ha dichiarato Lavrov durante il suo viaggio – li abbiamo sempre aiutati a risolvere i problemi in modo che gli africani possano vivere nei loro Paesi nel modo che desiderano”.

Questo in sostanza è il vero messaggio di cui Lavrov è portatore e che può convincere gli africani a scegliere la Russia. Ma allora Mosca deve fare i conti con tanta concorrenza: della Cina e di altri Paesi altrettanto disposti a non interferire nel modo in cui gli africani decidono di vivere, quali che ne siano le conseguenze.