Il miglior modo di avere rispetto per i nostri militari non è sbraitare contro Israele, che sta esercitando il suo diritto all’autodifesa nei confronti di Hezbollah dopo un anno di attacchi quasi quotidiani, ma tirarli fuori da una missione fallimentare i cui presupposti – la tregua proprio tra Israele e Hezbollah – sono ormai venuti meno.
Tra due fuochi
La situazione è di facile lettura e non si capisce perché il governo italiano si ostini a non ritenere arrivato il momento di ritirare il nostro contingente. Le basi Unifil nel sud del Libano sono nel mezzo delle operazioni militari israeliane per smantellare Hezbollah. Non perché Israele sia cattivo e si diverta a prendere di mira i caschi blu. Ma semplicemente perché negli ultimi 18 anni, anziché adempiere al suo mandato, la missione Onu si è fatta circondare di postazioni e depositi di armi del gruppo terroristico.
L’ultimo incidente che ha coinvolto l’Unifil, chiarito dall’Idf, ne è l’ulteriore prova: un carro armato israeliano che stava cercando di evacuare i soldati feriti mentre era ancora sotto il tiro nemico è arretrato di diversi metri, facendo irruzione in una base Unifil, da cui è uscito subito una volta cessato il fuoco nemico ed evacuati i feriti.
Al Tg1 il portavoce dell’Idf Daniel Hagari ha spiegato che “ogni incidente nel quale l’esercito ha forse sparato contro basi Unifil è un errore. Non stiamo puntando contro Unifil. L’Italia è un amico molto importante di Israele, è una amicizia sincera e anche un’alleanza importante”, ha detto assicurando che stanno “indagando in modo molto serio per evitare che una cosa del genere si ripeta. Stiamo attaccando solo Hezbollah, che in certi casi si nasconde vicino o dietro le basi dell’Onu“, ha aggiunto. “Quando operiamo in Libano il nostro obiettivo è esclusivamente Hezbollah, non il Libano come Paese e neanche i cittadini libanesi. Siamo concentrati esclusivamente sul gruppo terroristico Hezbollah“, ha ribadito Hagari.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in una telefonata con il premier israeliano, ha parlato di “attacchi inaccettabili”. Ma non si tratta di “azioni ostili”, il dato di fatto è inequivocabile: le basi Unifil si trovano tra due fuochi, sono impossibilitate a compiere la missione, come ammesso anche dal ministro della difesa Guido Crosetto, e per di più non hanno mai nemmeno tentato di adempiere al loro mandato. Più sfumata la reazione Usa, con il segretario alla Difesa Lloyd Austin che ha espresso all’omologo Yoav Gallant “profonda preoccupazione”.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto ufficialmente all’Onu di ritirare i peacekeeper dalle zone dei combattimenti, anche perché vengono sfruttati da Hezbollah come “scudi umani“. E francamente non dovrebbe essere così difficile crederlo.
Prime prove
Ribadire l’impegno alla “piena applicazione della risoluzione 1701”, come ha fatto Meloni con Netanyahu, suona grottesco, dopo che per 18 anni Unifil ha permesso a Hezbollah di ammassare oltre 150 mila missili, costruire tunnel e postazioni, insomma di operare nell’area di sua competenza, che doveva invece essere interdetta, e persino di lanciare attacchi contro Israele a pochi metri dalle sue basi.
Come avevamo previsto, cominciano ad emergere le prime imbarazzanti prove di questa “distrazione” di Unifil: a pochi metri dalle sue basi scoperti bunker sotterranei, depositi di armi, torri di guardia di Hezbollah.
Ieri l’Idf ha pubblicato una mappa dei luoghi di lancio dei missili di Hezbollah contro il nord di Israele che si trovano entro 300 metri da una base Unifil. Sono una ventina. Un’area – lo ripetiamo – che era preciso ed esclusivo compito di Unifil mantenere libera da qualsiasi arma e attività di Hezbollah. “Il 6 ottobre, tre razzi sono stati lanciati a 25 metri da una scuola e a 200 metri da un edificio delle Nazioni Unite, provocando la morte di due soldati dell’Idf. L’Idf deve operare nel Libano meridionale per eliminare la minaccia che rappresenta per i nostri civili e le nostre truppe, come farebbe qualsiasi altro esercito“.
Solo nell’ultimo anno Hezbollah ha lanciato contro il territorio israeliano migliaia di missili causando 80 mila sfollati. Nella serata di ieri l’ennesimo attacco dalle zone di competenza di Unifil ha causato 4 morti e 68 feriti, di cui alcuni gravi. Per 18 anni Israele ha rispettato la risoluzione 1701, restando al di qua della Blue Line, mentre Hezbollah l’ha costantemente violata, nel silenzio dell’Onu e dei governi che forniscono i propri contingenti a Unifil.
Per anni, ha ricordato Hadas Meitzad, ex rappresentante di Israele alle Nazioni Unite, “come i miei predecessori e successori, ho chiesto instancabilmente che Unifil adempisse alla sua missione come delineata nel mandato della risoluzione 1701. Abbiamo presentato costantemente prove delle enormi riserve di armi di Hezbollah e della sua significativa presenza a sud del fiume Litani. Eppure, di volta in volta, ci siamo imbattuti in affermazioni secondo cui non vedevano o non potevano agire, insieme a una serie di altre scuse, anno dopo anno”.
Uno scandalo annunciato
Non si può purtroppo escludere che l’ostinazione di Unifil a non ritirarsi sia motivata dalla volontà di impedire che emerga la portata della sua inazione, le sue responsabilità ai limiti della collusione con Hezbollah, organizzazione terroristica con la quale per 18 anni ha convissuto in un fazzoletto di terra senza che si ricordi un solo incidente.
Unifil si appresta a passare alla storia come l’ennesimo scandalo Onu sul quale, tra gli altri, anche il governo e lo Stato Maggiore italiani dovrebbero essere chiamati a rispondere. Scandalo annunciatissimo, tra l’altro. Bastava tirarsene fuori in tempo…