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Le sanzioni cominciano a far male: all’Occidente. Prime ammissioni dalla Casa Bianca

Funzionari della Casa Bianca a Bloomberg: “danno collaterale più ampio del previsto”. Per Mosca record di introiti e Gazprom taglia il gas

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Non che le sanzioni non abbiano avuto un serissimo impatto sull’economia russa, riconosciuto anche dalle massime autorità, come la governatrice della Banca centrale Nabiullina (“le condizioni per l’economia russa sono cambiate drammaticamente“).

E, d’altronde, lo ammettono implicitamente ogni volta che denunciano le sanzioni come “un atto di guerra” contro la Russia, bollando come “ostili” i Paesi che le hanno adottate, o che rispondono alle richieste dell’Occidente, per esempio sul grano ucraino, mettendo come prima condizione sul tavolo la revoca delle sanzioni.

Impatto incerto sulla Russia

Il rublo sembra stabilizzato ed è difficile valutare le probabilità di un default della Russia, che nelle settimane passate veniva dato per imminente, o l’impatto reale delle sanzioni sulla operatività delle forze armate russe impegnate in Ucraina, che al momento non sembrano risentirne.

Le sanzioni occidentali hanno costretto Mosca ad avviare un processo di adattamento doloroso, che in pratica avrà l’effetto di rendere l’economia russa ancor più dipendente dall’esportazione di materie prime energetiche, isolata dal punto di vista finanziario e in grave recessione, dovendo inoltre fare a meno di importazioni ad alto contenuto tecnologico dai Paesi del G7, non facilmente reperibili altrove.

Un impoverimento che alla lunga non potrà non avere conseguenze nefaste in termini sia di condizioni di vita che di produzioni strategiche. Ma se l’obiettivo delle sanzioni – le più dure mai adottate nei confronti di un Paese come la Russia – era fermare la guerra, allora bisogna ammettere che ad oggi non stanno funzionando.

Di recente il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha affermato, senza fornire spiegazioni, che il massimo impatto delle sanzioni sull’economia russa arriverà in estate, tra luglio e agosto. Vedremo, anche se per quella data Putin potrebbe aver raggiunto buona parte dei suoi obiettivi militari.

I danni collaterali per l’Occidente

Tuttavia, comincia ad essere difficile negare che le sanzioni si stiano ritorcendo contro l’Occidente in misura pesante, mentre almeno un beneficio alla Russia lo stanno assicurando: i forzieri di Mosca sono stracolmi.

L’inflazione galoppante ha costretto la Fed e la Bce a virare rapidamente la politica monetaria, avviando un percorso di stretta sui tassi, tenuti fin troppo a lungo a zero. Una mossa necessaria che però ha inevitabilmente la controindicazione di frenare l’economia.

Ed è alto il rischio, che avevamo segnalato su Atlantico Quotidiano, di un duplice contraccolpo politico: stanchezza delle opinioni pubbliche occidentali per le politiche di sostegno all’Ucraina e calo dei consensi ai governi promotori e artefici di tali politiche.

Difficile fare stime precise, gli aumenti dei prezzi non sono dovuti interamente alla guerra e alle sanzioni, l’ondata inflattiva era visibile già da mesi prima, ma funzionari della Casa Bianca citati da Bloomberg ora ammettono in privato che “il danno collaterale” delle sanzioni russe “è stato più ampio del previsto”.

E che inizialmente l’amministrazione Biden era convinta che esentare dalle sanzioni il settore energetico e quello alimentare avrebbe minimizzato gli effetti sull’inflazione in patria. E invece, osserva Bloomberg, gli americani si sono ritrovati con l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni, spinta proprio da energia e cibo.

Record di introiti da petrolio e gas

A fronte dei danni collaterali maggiori del previsto per Washington, Mosca ha appena registrato un record assoluto di profitti petroliferi. Le sanzioni sembrano contribuire a spingere i prezzi ai massimi storici per i consumatori occidentali, finanziando la macchina da guerra di Putin, mentre Cina e India acquistano a prezzi scontati.

Nei primi cento giorni di guerra, la Russia ha incassato un record di 93 miliardi di euro dalle sue esportazioni di petrolio, gas e carbone, secondo i dati del Center for Research on Energy and Clean Air, un centro di ricerca con sede a Helsinki, riportati dal New York Times. Circa due terzi di questi guadagni sono giunti dall’Unione europea.

Incassi “senza precedenti, perché i prezzi sono senza precedenti e i volumi delle esportazioni sono vicini ai livelli più alti mai registrati”, ha affermato la ricercatrice Lauri Myllyvirta. Secondo le stime del centro, le entrate superano quanto Mosca sta spendendo per la guerra in Ucraina.

E questo ancor prima degli effetti dell’embargo parziale sul greggio russo (solo quello consegnato via mare, tra l’altro per Mosca più facile da reindirizzare) deciso nei giorni scorsi dall’Ue.

La cosa bizzarra è che i rischi erano ben noti all’interno dell’amministrazione Usa. Il segretario al Tesoro Janet Yellen aveva avvertito che per effetto di un bando Ue Mosca avrebbe esportato una minore quantità di petrolio, ma a prezzi superiori. In realtà, secondo la ricerca citata dal NYT, i volumi di esportazione potrebbero addirittura non ridursi.

Gazprom taglia il gas

L’Europa ha compiuto degli sforzi importanti per ridurre le sue importazioni di gas russo, acquistandone il 23 per cento in meno nei primi 100 giorni dell’invasione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, le entrate di Gazprom sono rimaste circa il doppio rispetto all’anno precedente, grazie ai prezzi più elevati.

E proprio ieri Gazprom ha annunciato che ridurrà del 40 per cento il flusso di gas verso la Germania tramite il primo gasdotto Nord Stream, da 167 a 100 milioni di metri cubi al giorno.

La riduzione delle forniture, ha spiegato Gazprom, è dovuta alla “necessità di eseguire riparazioni” al gasdotto, ma “le attrezzature necessarie non sono state consegnate dal gruppo tedesco Siemens“. Siemens Energy ha confermato di aver effettuato la revisione di una turbina di Nord Stream 1, ma che “a causa delle sanzioni imposte dal Canada questa non può essere riconsegnata al cliente”.

L’Europa ha ridotto anche le sue importazioni di greggio russo (-18 per cento a maggio), ma il calo è stato compensato dall’India e dagli Emirati Arabi Uniti, il che non ha portato a nessuna variazione netta nei volumi delle esportazioni petrolifere russe.

Lo abbiamo ripetuto più volte su Atlantico Quotidiano l’unica sanzione efficace contro la Russia di Putin è aumentare la produzione di energia elettrica, tornando a investire in idrocarburi e nucleare, così da aumentare l’offerta globale e abbassare i prezzi, e ridurre la nostra dipendenza dalle forniture russe. Ma stiamo facendo l’opposto, inseguendo l’ideologia gretina della transizione green.

Proprio ieri le Commissioni Affari economici e Ambiente del Parlamento europeo hanno votato contro l’inclusione del gas e del nucleare tra le fonti sostenibili nella cosiddetta “tassonomia” Ue.

A rischio pure i dazi alla Cina

L’inflazione potrebbe inoltre fare un’altra vittima eccellente: la politica dei dazi nei confronti della Cina adottata dall’amministrazione Trump e fino ad oggi mantenuta da Biden.

Secondo quanto riportato da Axios, infatti, il presidente Usa, “in una riunione della scorsa settimana nello Studio Ovale con i membri chiave del suo governo, ha indicato che sta propendendo per la rimozione di alcuni prodotti dall’elenco dei dazi cinesi dell’amministrazione Trump”, al fine di raffreddare l’inflazione.

E così non solo la Russia, anche la Cina trarrebbe indirettamente vantaggio dalle sanzioni occidentali contro Mosca.

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