Con un sorprendente “scatto in avanti” diplomatico, la Cina Popolare ha mediato un riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, contrastando la politica estera degli Stati Uniti nel Golfo Persico. Mentre l’amministrazione Biden, fin dall’insediamento, irritava i suoi alleati del Golfo, limitando le forniture di armi e raffreddando le relazioni, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman trovava buon rapporto con il leader cinese Xi Jinping.
L’annuncio della scorsa settimana della ripresa dei rapporti diplomatici tra Riyadh e Teheran è arrivato inaspettato, ma non avrebbe dovuto esserlo. È la logica conseguenza della attuale debolezza diplomatica americana e della crescente ricerca di Pechino di modellare il mondo nella sua orbita di interesse.
Prima mossa: accordi in Medio Oriente
L’affermazione di Pechino secondo cui la Cina Popolare non persegue alcun interesse egoistico in Medio Oriente appare come la solita “sparata”, visto che i cinesi comprano più petrolio dall’Arabia Saudita che da qualsiasi altro Paese al mondo. Xi ha bisogno di energia per far crescere l’economia cinese, garantire stabilità interna e alimentare la sua ascesa come leader di una potenza globale.
Ovvio l’interesse attuale di Pechino per i Paesi del Golfo, in quanto l’altro suo principale fornitore energetico, la Russia, è in guerra, quindi le sue forniture sono a rischio. Conseguentemente, riducendo le tensioni tra l’Arabia Saudita e l’Iran, Xi non solo rafforza le sue alternative energetiche ma, in un clima di crescente tensione con gli Stati Uniti, evita anche potenziali limitazioni al suo accesso al petrolio del Golfo stesso.
Il declino dell’influenza Usa
La motivazione di Xi, quindi, è sicuramente alimentata da interessi più ampi, ma il Dipartimento di Stato Usa ha cercato di far passare il messaggio di aver accolto con favore la mossa cinese. “Sosteniamo tutto ciò che servirebbe a ridurre le tensioni nella regione e potenzialmente aiutare a prevenire un conflitto”, ha commentato il portavoce Ned Price.
Va ricordato, comunque, che nel 2021 la coppia Pechino-Teheran ha firmato un accordo commerciale del valore di 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi in 25 anni, in cambio di una fornitura costante di petrolio iraniano. Al regime iraniano, isolato dalle sanzioni internazionali, Pechino offre uno spiraglio di sollievo finanziario.
L’Arabia Saudita è consapevole che una guerra con l’Iran distruggerebbe la sua economia e metterebbe a rischio il suo dominio regionale e può sembrare semplice, ma il fatto che gli Stati Uniti non siano riusciti, in passato, a trovare la via dell’accordo di questi giorni indica la complessità di quanto si è sviluppato negli ultimi due decenni.
Per molti analisti le guerre in Iraq e in Afghanistan hanno annullato buona parte della sua capacità diplomatica in Medio Oriente, nonostante i successi della presidenza Trump con gli “Accordi di Abramo”.
Molti nel Golfo vedono la guerra in Ucraina come un’avventura americana non necessaria e pericolosa, e alcune delle rivendicazioni territoriali del presidente russo Putin non appaiono, in quell’area, ingiustificate, perché ciò che in Occidente viene visto come lotta per i valori democratici non fa presa tra le autocrazie del Golfo e il conflitto non le “consuma” allo stesso modo dei leader nelle capitali europee.
Implicazioni da regionali a globali
Intervenendo nel Golfo, Pechino guarda essenzialmente ai propri interessi dopo la fine delle restrizioni della (autoinflitta) pandemia di Covid-19. La mediazione tra Iran e Arabia Saudita può essere mal digerita a Occidente, ma per quanto grandi siano i potenziali guadagni per la Cina Popolare, le implicazioni per l’ordine regionale e persino globale sono ancora maggiori.
Xi ha interesse a vedere prosperare l’Arabia Saudita, di gran lunga il partner più grande con un maggiore peso economico globale potenziale e, soprattutto, un’enorme influenza religiosa nel mondo islamico. Pechino è perfettamente consapevole di quanto una guerra continua per il Golfo Persico potrebbe costare ai suoi interessi commerciali.
Teheran, nonostante gli sforzi degli Stati Uniti, si sta avvicinando alle capacità nucleari e il Regno saudita ha sempre dichiarato che se l’Iran avesse sviluppato una bomba nucleare, avrebbe intrapreso subito tale strada. Senza considerare le possibili reazioni israeliane, anche se il governo Netanyahu, già sotto un’enorme pressione interna a causa delle crescenti tensioni con i palestinesi e delle enormi proteste per le sue proposte di riforma giudiziaria, ora deve affrontare un massiccio ripensamento sulla sicurezza regionale.
È sorprendente che potremmo trovarci presto di fronte ad un ordine mondiale alternativo con origine dalla pacificazione in Medio Oriente e indipendente da ciò che accade nel conflitto russo-ucraino.
Seconda mossa: Xi a Mosca
Proprio in queste ore Xi è a Mosca con il chiaro intento di farsi passare come il mediatore di una possibile e auspicata tregua nei combattimenti. È palese che dopo gli accordi di cui sopra questo sarebbe un altro duro colpo alla supremazia americana. Possibile che, al momento, Washington faccia pressioni e promesse a Kiev perché non accetti qualsiasi “proposta” proveniente o appoggiata da Pechino.
Il segretario di Stato Anthony Blinken è stato esplicito: il mondo non si faccia ingannare da una mossa tattica della Russia sostenuta dalla Cina. Come ha spiegato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, “un cessate il fuoco in questo momento non farebbe che ratificare le conquiste russe, dando al presidente Putin il tempo per rifornire e addestrare le truppe e per rilanciare le operazioni militari dove e quando lo vorrà”. Per questo Kiev “dovrebbe respingerlo, cosa che faremo anche noi”.
Terza mossa: Taiwan
Terza mossa di Xi Jinping potrebbe riguardare la Repubblica di Cina – Taiwan. Infatti, Ma Ying-jeou, l’ex presidente di Taiwan, si recherà presto nella Cina Popolare, in quella che sarebbe la prima visita di un leader taiwanese, presente o passato, da quando il governo nazionalista cinese fu sconfitto nella guerra civile e fuggì sull’isola nel 1949.
La visita di alto profilo è stata presentata da Ma e dal suo partito, il Kuomintang (KMT), oggi all’opposizione, come un’opportunità per incrementare gli scambi amichevoli attraverso lo Stretto in un momento di estrema tensione – alimentata dai minacciosi piani di Pechino per annettere/aggredire Taiwan ed esacerbata dalla pandemia proveniente da Wuhan.
I rappresentanti di Ma e del KMT hanno presentato il viaggio come culto degli antenati – una pratica tradizionale cinese di rendere omaggio agli antenati defunti – e occasione per rafforzare gli scambi non governativi e studenteschi tra Taiwan e la Cina Popolare.
I partiti taiwanesi
Tuttavia, è molto probabile che la visita alimenterà le divisioni politiche interne tra il KMT e il Partito Democratico Progressista (DPP), oggi al governo, sullo spinoso tema delle relazioni con la Cina Popolare.
La visita di Ma, presidente di Taiwan dal 2008 al 2016, arriva tra le crescenti minacce di Pechino per incorporare Taiwan nella Repubblica Popolare cinese come provincia. Attraverso pressioni militari e diplomatiche, Pechino spera di ottenere “pacificamente” quella che chiama “riunificazione”, ma non esclude l’uso della forza.
Il popolo e il governo di Taiwan – sia il DPP che il KMT – respingono la prospettiva del dominio cinese.
Il KMT, partito di minoranza, sostiene legami più amichevoli con la Cina Popolare ma si oppone alla riunificazione e nega di essere pro-Pechino. Il DPP, attualmente guidato dalla presidente Tsai Ing-wen, al suo secondo mandato presidenziale, è stato etichettato come “separatista” da Pechino, ma afferma che Taiwan è già una nazione sovrana senza bisogno di dichiarare l’indipendenza.
La visita di Tsai negli Usa
La visita di Ma avverrà più o meno nello stesso periodo in cui la presidente Tsai dovrebbe visitare gli Stati Uniti, dove dovrebbe incontrare lo Speaker della Camera statunitense Kevin McCarthy. Una visita, confermata all’inizio di questo mese, che sicuramente riceverà la condanna di Pechino, che si oppone vigorosamente a qualsiasi atto che possa legittimare la sovranità di Taiwan.
Dopo che l’ex Speaker Nancy Pelosi ha visitato Taiwan lo scorso anno, l’Esercito Popolare di Liberazione ha circondato l’isola ed effettuato esercitazioni militari per alcune giornate.
La visita programmata di Ma, in vista delle elezioni presidenziali all’inizio del prossimo anno, ha già suscitato dibattiti e polemiche a Taiwan, anche perché arriva dopo una controversa visita a Pechino, a febbraio, del vicepresidente del KMT Andrew Hsia , accusato dal governo in carica di “corteggiare i comunisti”.
Comune denominatore
In conclusione, tre eventi, a livello diverso, che però un comune denominatore per Pechino. Quello di riportare la Cina Popolare al centro del palcoscenico politico-diplomatico mondiale, ottenendo anche vantaggi economici ed energetici, accreditarsi come mediatore di pace agli occhi soprattutto di una Europa diffidente dopo la perdita di credibilità dovuta alla pandemia, e infine avvicinare i cittadini di Taiwan all’idea di diventare “provincia”, alimentando scontento in previsione delle elezioni del prossimo anno.