Esteri

Le tre scommesse politiche di Netanyahu spazzate via da Hamas

Normalizzazione con Riyad, intesa con Putin sulla Siria, cordone flessibile su Gaza. L’attacco di Hamas innescato non dalla repressione ma da una pacificazione in atto

Netanyahu Onu

Gli storici del futuro probabilmente ricorderanno questo attacco di Hamas come il primo determinato non da un “trigger” (fattore scatenante) di tipo offensivo o repressivo israeliano, ma paradossalmente da una dinamica di pacificazione che si era sviluppata negli anni precedenti nel Vicino Oriente.

Gli Accordi di Abramo

Il punto di approdo della politica estera del premier israeliano Benjamin Netanyahu degli ultimi anni è rappresentata dagli Accordi di Abramo: una strategia finalizzata a stringere accordi con vecchi nemici di Israele, con il patrocinio degli Stati Uniti allora guidati da Donald Trump.

In verità Netanyahu proseguiva una linea diplomatica che già era emersa alla fine del Novecento quando Israele era riuscita a normalizzare le relazioni con Egitto e Giordania. Con gli “Accordi di Abramo” del 13 agosto 2020 gli Stati Uniti patrocinavano una dichiarazione amichevole tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, successivamente estesa a Marocco e Sudan fino a giungere ad un accenno di intesa con l’Arabia Saudita di Mohammad Bin Salman.

Difficile, ma non impossibile la distensione tra Gerusalemme e le monarchie sunnite: da un lato vi è la comune avversione per il nemico geopolitico dell’Iran, dall’altro forse vi è la volontà dei ceti benestanti dello Stato israeliano e dei Paesi arabi di approfondire la conoscenza reciproca. Lo dimostrano i voli settimanali sempre più affollati tra Tel Aviv e Dubai.

La morsa iraniana

A sua volta Teheran stringe Israele nella morsa di Hezbollah a nord, di Hamas a sud superando l’atavica diffidenza tra sciti e sunniti. E se nelle ore immediatamente successive al blitz di Hamas sono giunte le congratulazioni delle autorità iraniana, il passo successivo è stato la prevedibile serie di missili dal confine libanese su Israele.

Proprio per evitare la chiusura nella morsa, Netanyahu ha cercato di consolidare l’intesa con Putin. Una relazione pragmatica che ha portato i suoi frutti, dal momento che la Russia ha impedito che sulle alture del Golan si insediassero guerriglieri attivamente anti-israeliani.

La terza misura è consistita nel creare un cordone attorno a Gaza: non un blocco assoluto come osservano gli opinionisti anti-ebrei, che vorrebbero paragonare Gaza a un lager e dimenticano i visti concessi a 20 mila palestinesi che ogni giorno si recavano a lavorare in Israele. E chissà quanti di quei “lavoratori civili” hanno contribuito nei giorni scorsi ai blitz con eliminazioni fisiche e sequestri nei kibbutz israeliani…

D’altra parte alla chiusura, non ermetica, del distretto di Gaza ha fatto da corrispettivo l’analoga misura di controllo delle frontiere attuata dall’Egitto. Gli egiziani, che sono troppo vicini ai palestinesi per mitizzarli, hanno concesso pochi margini alla libera circolazione degli abitanti di Gaza verso il Sinai, anche se in questo caso rimane il dubbio sul libero passaggio di materiale esplosivo e militare da utilizzare contro gli israeliani.

La paranoia complottista

Dopo aver attuato queste tre misure (normalizzazione dei rapporti con gli Stati arabi, intesa con Putin, controllo ma non blocco su Gaza) il governo Netanyahu ha concentrato la sua attenzione sulla situazione in Cisgiordania: adesso una buona parte della strategia deve essere rivista alla luce dell’attacco di Hamas.

Una dura prova per lo Stato di Israele che contraddice l’ennesima paranoia complottista, quella per cui “il Mossad non poteva non sapere” ciò che Hamas stava preparando e dunque ha lasciato fare… anzi ha spinto a compiere per poi reagire con violenza.

Un tragico rovesciamento di responsabilità che corre sul web per fornire l’ennesima copertura deresponsabilizzante al terrorismo di Hamas: una rappresentazione folle dal momento che il colpo di Hamas è duro e costringe Israele a misure che mettono a rischio quella strategia di normalizzazione dei rapporti con l’Estero Vicino che ha caratterizzato gli ultimi anni.