Esteri

Le università Usa trasformate in roccaforti di Hamas

Clima da Germania anni ’30 alla Columbia e in altri campus, con l’accondiscendenza delle autorità accademiche. Lezione da apprendere velocemente anche in Italia

Columbia Gaza (Abc)

Quanto sta accadendo nei più prestigiosi campus Usa dovrebbe indurre a non prendere sottogamba le proteste pro-Hamas che da settimane subiamo anche nei nostri atenei (e non solo). La fiamma dell’antisemitismo è la stessa e l’intervento della polizia in Italia ha probabilmente impedito eccessi simili a quelli visti alla Columbia University e in altri atenei Usa.

Le proteste alla Columbia

Mercoledì scorso alla Columbia la protesta è giunta al culmine, con la richiesta all’università di interrompere gli accordi di collaborazione con istituzioni e aziende israeliane o che hanno legami con Israele – il boicottaggio accademico che è stato chiesto e in qualche caso ottenuto anche nelle università italiane – e l’occupazione del campus. Un’occupazione in pieno stile CHAZ – la “zona autonoma” autoproclamata dagli Antifa nel quartiere Capitol Hill di Seattle nel giugno 2020, nel corso delle proteste per la morte di George Floyd.

Giovedì alla polizia di New York è stato finalmente chiesto dalle autorità accademiche, che fino ad allora avevano esitato, di entrare nel campus e porre fine all'”accampamento”. Gli agenti hanno smantellato la tendopoli improvvisata e arrestato 130 studenti per violazione di domicilio.

Ma domenica i manifestanti pro-Hamas hanno rapidamente ricostituito il loro accampamento negli spazi pubblici della Columbia, sfidando gli amministratori e le forze dell’ordine. Il sindaco di New York Eric Adams si è detto pronto a mandare la polizia se la Columbia lo richiederà nuovamente.

Agghiaccianti i canti e gli slogan intonati, nelle stesse ore in cui la rettrice, insieme ai co-presidenti del consiglio di amministrazione, testimoniava davanti al Congresso sull’antisemitismo nel campus. “We are Hamas”, “Al-Qassam (l’ala militare di Hamas, ndr), you make us proud, take another soldier out”; “We say justice, you say how? Burn Tel Aviv to the ground”; “Hamas, we love you. We support your rockets too”. Riduttivo definirla una protesta pro-palestinese, come si evince da questi slogan siamo in presenza di un esplicito sostegno ad Hamas e all’invocazione dello sterminio di ebrei.

L’ignobile resa della rettrice

Dopo giorni di proteste e un centinaio di arresti, la tensione è salita a tal punto che lunedì la rettrice Nemat “Minouche” Shafik ha assunto l’inaudita decisione di passare alla didattica a distanza per la sicurezza di studenti e docenti di religione ebraica, attirandosi le critiche bipartisan del Congresso.

La rettrice ha in sostanza chiuso l’università, esortando gli studenti a non recarsi nel campus, in una dichiarazione pubblicata poco dopo l’una di notte di lunedì. Nel comunicato, si è detta “profondamente rattristata” per alcune azioni degli attivisti, che hanno eretto un “accampamento” nel campus e “irritato” studenti e docenti con slogan e canti antiebraici. Rattristata…

“Abbiamo bisogno di un reset“, ha aggiunto. “Per allentare il rancore e dare a tutti noi la possibilità di considerare i prossimi passi, annuncio che lunedì tutte le lezioni si terranno online. I docenti e il personale che possono lavorare da remoto dovrebbero farlo; il personale essenziale dovrebbe presentarsi al lavoro secondo la politica universitaria. Invitiamo gli studenti che non vivono nel campus a non entrarvi”. Insomma, un clima da Germania nazista anni ’30.

Aggressioni e intimidazioni

Una studentessa ebrea della Columbia è stata ripetutamente presa a calci nello stomaco durante le proteste e, secondo quanto riportato, un’attivista le avrebbe detto di “uccidersi”. “La Columbia si è rifiutata di lasciarmi entrare nel campus. Perché? Perché non possono proteggere la mia sicurezza come professore ebreo. Questo è il 1938″, ha denunciato il prof. Shai Davidai, che si è ritrovato disattivato il tesserino universitario. Si direbbe che più che proteggere lui, l’intenzione sia quella di proteggere la “zona autonoma” pro-Hamas.

“La situazione alla Columbia è degenerata al punto che la mia sicurezza fisica è in pericolo”, è la drammatica testimonianza di uno studente ebreo, Jonathan Lederer, su The Free Press. “Sabato notte, 20 aprile, sono stato aggredito e minacciato ripetutamente all’interno dei cancelli della Columbia“. E “alla fine siamo stati cacciati dal campus e ci è stato detto di ‘tornare in Polonia‘, un acuto promemoria del fatto che anche in America gli antisemiti desiderano condannare gli ebrei come me al tragico destino dei nostri antenati”.

Uno dei rabbini del campus, Elie Buechler, ha esortato gli studenti ebrei a partire presto per la Pasqua ebraica:

Ciò a cui stiamo assistendo dentro e intorno al campus è terribile e tragico. Gli eventi degli ultimi giorni, soprattutto la scorsa notte (sabato, ndr), hanno reso chiaro che la Pubblica Sicurezza della Columbia University e la polizia di New York non possono garantire la sicurezza degli studenti ebrei di fronte all’estremo antisemitismo e all’anarchia. Mi addolora profondamente dire che vi consiglio vivamente di tornare a casa il prima possibile e di rimanere a casa finché la situazione all’interno e nei dintorni del campus non sarà notevolmente migliorata”.

Le proteste pro-Hamas non sono purtroppo confinate alla Columbia ma coinvolgono anche altri atenei della Ivy League. Dal 7 ottobre, gli studenti sono stati intimiditi e minacciati fisicamente anche ad Harvard, picchiati a Tulane, costretti a lasciare le loro sale da pranzo kosher alla Cornell. Assediati e costretti a nascondersi alla Cooper Union. Una ex stagista di National Review, Sahar Tartak, è stata “trafitta in un occhio con una bandiera palestinese” a Yale, dove gli arresti sono stati 50.

“Immaginate se gli studenti neri della Columbia venissero provocati con canti come ‘tornate in Africa‘, oppure se uno studente gay a Yale fosse circondato da manifestanti omofobi e trafitto nell’occhio con l’asta di una bandiera”, ha commentato Bari Weiss. “Oppure, immaginate se un imam del campus dicesse agli studenti musulmani che dovrebbero tornare a casa per il Ramadan perché la loro sicurezza nel campus non è garantita”. Quale sarebbe stata la reazione dei media e della politica?

Su X è intervenuto il miliardario Bill Ackman, chiedendo provocatoriamente: “Come risponderebbe la Columbia se gli studenti prendessero il controllo del campus a sostegno del KKK e chiedessero il genocidio di altre minoranze etniche? La Columbia continuerebbe a sostenere le manifestazioni sulla base di un impegno per la libertà di parola o il codice di condotta dell’università avrebbe improvvisamente un impatto operativo?”

Rettrice sotto accusa

Sotto accusa la rettrice, per la sua accondiscendenza. Più grave del fatto che la situazione le sia sfuggita di mano è che perseveri su una linea che di fatto lascia campo libero agli antisemiti. In un intervento sul Wall Street Journal, ancora ieri cercava di giustificarsi con la supposta necessità di conciliare “il diritto alla libertà di parola dei manifestanti filo-palestinesi e l’impatto che queste proteste stavano avendo sui nostri studenti ebrei e sui loro sostenitori”, dovendo riconoscere che “alcune cose dette durante quelle proteste e sui social media erano profondamente inquietanti e spaventose”.

“Cercare di conciliare il diritto di parola di una parte della nostra comunità con il diritto di un’altra parte della nostra comunità di vivere in un ambiente favorevole o almeno libero da paure, molestie e discriminazioni, è stata la sfida centrale nella nostra università e nei campus di tutto il Paese”. Capite che, vista la situazione, si tratta di un proposito surreale, come cercare di conciliare le ragioni degli aggrediti con quelle degli aggressori.

Non risultano al momento prese di posizione del più illustre laureato vivente della Columbia, l’ex presidente Barack Obama.