Esteri

Leader Ue in fila alla corte di Xi: siamo già dipendenti dalla Cina

Mentre gli Usa alzano il cordone sanitario tecnologico, i leader europei corrono a Pechino per salvaguardare scambi commerciali vitali per la transizione green

Esteri

Come prevedibile, la recente visita del leader cinese Xi Jinping a Mosca ha provocato reazioni molto diverse in Occidente. I governi europei si confermano disposti a tollerare l’ambiguità di Pechino sulla guerra russo-ucraina, al fine di preservare accordi economici e relazioni commerciali, per evidenti quanto discutibili interessi.

Macron in prima linea

In prima linea troviamo Parigi nel provare a mantenere vivi e proficui i rapporti con il tiranno cinese, da poche settimane “rieletto” per un terzo mandato, che sarà quasi totalmente incentrato sulla lotta all’ordine liberale occidentale.

Stando a quanto riportano le agenzie di stampa internazionali, sarebbero imminenti le visite a Pechino del premier spagnolo Pedro Sanchez e a stretto giro del presidente francese Emmanuel Macron e della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.

Viaggi sulla carta motivati dalla volontà di discutere il cosiddetto “piano di pace cinese” e scongiurare il pericoloso avvicinamento in atto tra Pechino e Mosca, che stanno costruendo un vero e proprio asse autocratico, in netta contrapposizione politica e – se necessario – militare all’Occidente.

Basterebbe questo per comprendere di dover limitare al minimo indispensabile relazioni e scambi commerciali con la Cina, lo Stato totalitario più potente al mondo che minaccia direttamente la nostra sicurezza.

L’abbraccio green di Pechino

Tuttavia, qualsiasi osservatore che non pecchi di colpevole ingenuità, comprende perfettamente la vera ragione di questa corsa dei leader Ue a presentarsi alla corte di Xi: il tentativo di salvaguardare scambi commerciali e rapporti economici su cui i Paesi Ue, Germania e Francia su tutti, stanno irresponsabilmente costruendo il nostro futuro, in particolar modo sul fronte dell’elettrico e della transizione ecologica.

Un obiettivo – quello della svolta green – raggiungibile solo attraverso la cooperazione con la Cina, forza quasi monopolistica sul mercato di minerali e materie prime, e principale produttore di componenti – come i pannelli solari – essenziali per le rinnovabili.

Come dimostra la recente approvazione dello scellerato stop ai motori endotermici dal 2035, l’Unione europea non sembra affatto disposta a invertire la rotta o quantomeno ridimensionare i propri piani di riconversione energetica, che rischiano di devastare la nostra industria automobilistica, causando una strage occupazionale, e di renderci dipendenti dalla Cina.

“La Cina non è perfetta, ma un giorno potremmo averne bisogno, diversi Stati membri condividono questa valutazione”, è la sintesi consegnata a Politico un da un funzionario Ue.

La posizione Usa

Una strategia, quella dell’Ue a guida franco-tedesca, in controtendenza rispetto alla linea dell’amministrazione Biden, che sta provando invece a frenare l’ascesa commerciale, politica e militare di Pechino, sia pure con colpevole ritardo.

Washington sta mettendo in atto un vero e proprio embargo tecnologico verso la Cina vietando l’esportazione di chip di ultima generazione.

Da mesi il segretario di Stato Usa Anthony Blinken denuncia l’alto rischio di un sostegno anche militare di Pechino all’aggressione russa dell’Ucraina, attraverso l’invio di armamenti letali.

La Casa Bianca ha immediatamente messo in guardia dal farlocco piano di pace cinese, su cui Pechino fa leva per presentarsi come potenza mediatrice dinanzi all’opinione pubblica occidentale. Un piano che – se letto tra le righe – sostiene le ragioni di Mosca e punta esclusivamente a criticare Usa e alleati, colpevoli di instaurare la logica della “divisione in blocchi” e interferire nelle vicende interne dei singoli Stati.

Ad essere onesti, non servirebbero le denunce dell’amministrazione Usa per comprendere che Xi Jinping non ha alcuna intenzione di svolgere un ruolo di sincera mediazione nel conflitto ucraino.

Stiamo entrando in una fase decisiva per il futuro dell’ordine mondiale, ma in Europa quasi nessuno sembra voler comprendere l’urgenza di prendere le distanze da Pechino, frenare la sua ascesa, limitare la nostra dipendenza, prima che sia troppo tardi per farsi trovare preparati alla prossima crisi, che potrebbe riguarda Taiwan.