L’elefante nella stanza in Africa: finalmente vere proteste anti-corruzione

Le parole “corruzione” e “malgoverno” gridate nelle piazze come cause dei problemi degli africani. Un incoraggiante segnale di maturità delle giovani generazioni

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There is an elephant in the room. C’è un elefante nella stanza. Con questa espressione gli inglesi intendono l’esistenza di una realtà del tutto evidente e nota a tutti, ma che viene sistematicamente ignorata perché nessuno ha voglia di parlarne e si preferisce far finta che non esista.

Ebbene, quando si tratta di Africa, qualunque sia il contesto e quali che siano i temi affrontati, un elefante nella stanza c’è sempre. È la corruzione, un argomento che nessuno vuole toccare. Se di corruzione si parla, nelle sedi internazionali, forse è durante i colloqui privati tra capi di stato e di governo, negli incontri bilaterali, facendo attenzione a non urtare la suscettibilità dei leader africani.

Cause autoassolutorie

Quando si arriva alle cause dei grandi problemi del continente – la povertà, i conflitti, il jihad, il debito estero, la disoccupazione… – di tutto si parla salvo che del ruolo giocato dalla corruzione che pure contamina incontrastata ogni aspetto, ogni settore della vita pubblica e privata, eretta a sistema, addirittura ostentata come segno di status sociale, responsabile di un generale approccio predatorio che autorizza chi può a usare il denaro pubblico come fosse sua proprietà e diritto.

Le cause dei problemi sono sempre altre. Il global warming, rinominato cambiamento climatico, è la spiegazione più recente che si aggiunge alle altre addotte nel corso del tempo: le risorse naturali depredate, dall’Occidente mai da altri, il neocolonialismo, i diktat del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, fino a più remoti fattori come l’incontro iniziale con l’Europa nel XVI secolo, che avrebbe bloccato e distorto il promettente sviluppo del continente mettendovi fine, e la tratta transatlantica degli schiavi, per la quale si continuano addirittura a chiedere risarcimenti. Tipicamente, sono tutte cause attribuite a fattori esterni, che assolvono gli africani da ogni responsabilità.

Le proteste in Kenya

Ma adesso in Africa la parola “corruzione” finalmente viene scandita, gridata da decine di migliaia di giovani. Hanno incominciato in Kenya, dove da oltre sei settimane manifestazioni di protesta vengono organizzate nella capitale Nairobi e nelle principali città per chiedere che alla corruzione si metta fine.

A mobilitare la “generazione Z” è stata la notizia che erano in arrivo nuove tasse destinate inevitabilmente ad aumentare il costo della vita già elevato: una nuova tassa annuale di circolazione per gli automezzi, pari al 2,5 per cento del loro valore, una “tassa ecologica” sulla maggior parte dei manufatti locali e l’aumento delle imposte su generi di base come il pane (del 16 per cento) e l’olio da cucina (del 25 per cento). Le casse dello stato sono vuote, ha provato a spiegare il presidente William Ruto, quindi o si aumenta il debito estero ricorrendo ad altri prestiti, e già adesso per ogni dollaro ricavato dalle imposte 61 centesimi servono per pagare i debiti contratti, oppure si aumentano le tasse.

Inutilmente il capo dello Stato ha cercato di far leva sull’orgoglio nazionale dicendo che il provvedimento era necessario per “riscattare il nostro Paese e affermare la nostra sovranità”, un appello all’orgoglio nazionale che spesso ha funzionato, ma non questa volta, non con chi ogni giorno deve fare i conti con spese alle quali non riesce a far fronte e che per “debito” intende i conti non pagati al negozio di alimentari che non concede più credito, gli arretrati dell’affitto, la bolletta della luce scaduta.

Le proteste sono continuate. La polizia il 25 giugno, quando i manifestanti hanno marciato sul Parlamento dove si discuteva la legge finanziaria, riuscendo a dar fuoco ad alcuni locali, ha sparato ad altezza d’uomo uccidendo decine di persone e ha continuato in occasione delle manifestazioni successive. Ormai i giovani uccisi sono più di 50.

Anche quando Ruto, vista la situazione, ha deciso che la legge finanziaria non sarebbe entrata in vigore, i giovani leader delle proteste, invece di dirsi soddisfatti, hanno incominciato a chiederne le dimissioni. Gli slogan scanditi e scritti sui manifesti durante le nuove proteste hanno continuato a reclamare la fine di corruzione e malgoverno, ad accusare la classe politica di essere responsabile delle difficoltà in cui versa tanta gente.

L’11 luglio il presidente ha quindi sciolto il governo lasciando in carica soltanto il ministro degli esteri, Musalia Mudavadi. Il giorno successivo il capo della polizia Japhet Koome ha rassegnato le dimissioni. Neanche questo è bastato, tanto più dopo che Ruto ha annunciato di voler formare un governo di unità nazionale, vale a dire composto anche da alcuni rappresentanti dell’opposizione, e il 24 luglio ha nominato ministri quattro membri del principale partito di opposizione, l’Orange Democratic Movement.

“Abbiamo creato una partnership visionaria, lungimirante, per una trasformazione radicale del Kenya”, ha detto il capo dello Stato presentandoli e poi ha ringraziato “per il loro storico atto di patriottismo” tutti coloro che vi hanno collaborato. Il suo è stato un collaudato espediente per rabbonire l’opposizione che non ha ingannato nessuno. “Ruto ha nominato delle persone corrotte per combattere la corruzione”, hanno replicato i rappresentanti dei giovani, “l’accordo con l’opposizione è corrotto”.

Le proteste quindi continuano e con esse la richiesta che il presidente Ruto e il vicepresidente Rigathi Gacharua rassegnino le dimissioni. Una denuncia depositata in tribunale il 25 luglio li accusa di grave violazione della costituzione, abuso di potere, incompetenza, perdita irreversibile della fiducia popolare.

Le proteste in Nigeria e Uganda

Intanto altri giovani in Africa stanno pensando di seguire l’esempio di quelli kenyani e in due Paesi, la Nigeria e l’Uganda, sono già passati all’azione. Benché sia il primo produttore africano di petrolio e la prima economia del continente, la Nigeria sta affrontando la peggiore crisi economica degli ultimi decenni, ha anch’essa accumulato un debito insostenibile, lo scorso anno ha evitato di dichiarare default solo grazie a nuovi prestiti di entità enorme.

La svalutazione del naira, la valuta nazionale, e la rimozione di alcuni sussidi statali introdotti per contenere il prezzo al consumo di elettricità e benzina hanno fatto impennare il costo della vita. Molte famiglie ormai si possono permettere solo un pasto al giorno e c’è chi si procura da mangiare frugando nella spazzatura.

Il 1° agosto nella capitale Abuja e nelle altre principali città si sono svolte manifestazioni contro la corruzione. La più imponente è stata quella di Kano dove adesso è stato imposto il coprifuoco per fermare i disordini. La polizia nega di aver usato proiettili veri, ma a Kaduna, capitale dell’omonimo Stato, sono stati uccisi almeno tre manifestanti. A Lagos, il polo commerciale, i giovani gridavano “ole”, che in lingua Yoruba vuol dire ladro, all’indirizzo del presidente Bola Tinubo e del suo governo. Il presidente ha reagito sprezzantemente dicendo che “pochi uomini e donne” vogliono mobilitare i giovani per loro “biechi motivi”.

In Uganda, Paese che confina con il Kenya, è stata organizzata una grande manifestazione anti corruzione il 23 luglio. La polizia è intervenuta con gli idranti e ha arrestato centinaia di persone. Il presidente Yoweri Museveni, che governa dal 1986, anno in cui ha conquistato con le armi la capitale Kampala, e che per anni ha negato il passaggio alla democratica teorizzando un “no party system” come formula politica ideale per gli africani, ha minacciato gli organizzatori dicendo che “stanno giocando con il fuoco”, che non consentirà a nessuno di interferire con le attività del suo governo e li ha accusati “essere al servizio di potenze straniere”.

Accusare di essere manovrati, di servire potenze straniere è un altro collaudato metodo usato dai leader africani per screditare chi li contesta e per stornare la collera popolare. Ma non è detto che questa volta funzioni.  

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