L’equivalenza Israele-Hamas getta un’ombra inquietante sulla Corte

Precedente doppiamente pericoloso: più difficile combattere il terrorismo e un mondo capovolto in cui saranno le dittature a giudicare le democrazie liberali

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Era nell’aria da mesi, alla fine è successo davvero: il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim A.A. Khan, ha dichiarato che ci sono “ragionevoli motivi per ritenere che” il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant “siano responsabili penalmente” per una serie di “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”, commessi almeno dall’8 ottobre, il giorno successivo all’attacco di Hamas contro Israele. E ha chiesto alla Corte di emettere un mandato di arresto internazionale nei loro confronti.

Il procuratore Khan ha inoltre dichiarato di avere ragionevoli motivi per ritenere che i leader di Hamas Sinwar, Deif e Haniyeh siano responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi sul territorio di Israele e della Striscia di Gaza almeno dal 7 ottobre, giorno degli attacchi contro il sud di Israele che hanno causato almeno 1.200 morti. I crimini di cui si accusano i leader di Hamas includono lo sterminio, l’omicidio, la presa di ostaggi, lo stupro e la violenza sessuale, secondo quanto ha dichiarato il procuratore.

Equivalenza che non regge

Khan ha così creato un’equivalenza tra uno Stato democratico liberale e un gruppo terroristico islamico che ha dimostrato, il 7 ottobre, di non essere meno violento dell’Isis. Netanyahu sarebbe il primo capo di governo di una democrazia liberale a essere oggetto di un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale.

Questa equivalenza non sta in piedi, comunque la si guardi. L’esercito israeliano è monitorato dal governo israeliano, dalla magistratura di Israele (che è indipendente dal governo), da un’opinione pubblica informata da media liberi. Non è un caso che, tutto ciò che sospettiamo dei presunti crimini di Israele, lo veniamo a sapere solo dalla stampa israeliana.

Non può neppure essere equiparato un esercito di una democrazia liberale, sottoposto a un codice di guerra e alle Convenzioni di Ginevra, ad un gruppo terrorista il cui scopo esplicito è di massimizzare le vittime civili del nemico.

Hamas ha deliberatamente sterminato civili israeliani, ebrei e non ebrei, per motivi ideologici e religiosi, uccidendoli nelle loro case, nelle loro auto, mentre ballavano a un festival. La risposta israeliana mira a uccidere i terroristi. Anche se, come in ogni guerriglia urbana, muoiono anche civili, lo scopo è quello di colpire i terroristi e non i civili.

Se Israele davvero mirasse a sterminare o scacciare la popolazione palestinese di Gaza, l’esercito non sarebbe entrato con truppe di terra, rischiando perdite molto più elevate rispetto a bombardamenti aerei e d’artiglieria. Se lo scopo fosse stato quello di uccidere più civili possibili, non avremmo visto colonne di sfollati palestinesi in fuga dal nord al sud della Striscia: gli israeliani non li avrebbero lasciati andare. Se fosse veramente in atto una strategia della fame, non avremmo visto entrare i camion con gli aiuti umanitari, tutti i giorni, nella Striscia. E gli americani non avrebbero potuto montare un porto artificiale per sbarcare ancora più aiuti.

Un assist agli antisemiti

Ci rendiamo conto dell’assist che questo procuratore britannico-pakistano ha dato agli antisemiti di tutto il mondo? In una società mediatica, una richiesta per un mandato di cattura è già sinonimo di condanna senza appello. Da adesso, affermare “Israele è uno Stato genocida e Netanyahu è un criminale ricercato” diventa possibile. Non c’è più inibizione che tenga.

All’atto pratico, Israele, come gli Stati Uniti, non è parte dello Statuto di Roma, che pone i Paesi sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale. Ma in base alle sue regole, i 124 Stati e le altre parti del tribunale sono obbligati a detenere i funzionari che rischiano un mandato d’arresto, mettendo in difficoltà molti alleati di Israele.

Se approvati dalla Corte, i mandati di arresto per Netanyahu e Gallant potrebbero complicare ulteriormente la capacità di Israele di combattere la guerra. E pure i negoziati: funzionari israeliani hanno avvertito che l’emissione dei mandati di arresto potrebbe vanificare gli sforzi per porre fine al conflitto nell’enclave con un accordo per liberare decine di ostaggi detenuti da Hamas. Paradossalmente, ora è Hamas che potrebbe ben dire di non voler trattare con criminali ricercati.

La prima pietra da Biden

L’amministrazione Biden si è opposta a un’azione della Corte penale internazionale contro i leader israeliani, affermando di non ritenere che la Corte abbia la giurisdizione per decidere sul caso. L’ex ambasciatore statunitense all’Onu, John Bolton, chiede sanzioni, così come le chiedono diversi membri del Congresso:

La Corte Penale Internazionale ha dimostrato la sua fondamentale illegittimità chiedendo mandati di arresto contro funzionari israeliani nel bel mezzo di una guerra. Per aiutare il nostro alleato Israele, gli Stati Uniti dovrebbero prendere provvedimenti sia al Congresso che alla Casa Bianca per condannare la Corte Penale Internazionale e imporre sanzioni, come ho già suggerito in precedenza.

Ma anche negli Usa, chi è innocente scagli la prima pietra: per primo Joe Biden ha minacciato sanzioni, contro vertici e unità militari israeliane colpevoli di “crimini di guerra” (stabiliti da chi? dopo quale inchiesta? la magistratura israeliana che dice?). Per prima la sua amministrazione ha sempre trattato Netanyahu come un leader illegittimo e un interlocutore indesiderato, fino al punto di chiederne l’estradizione. È di destra, quindi “puzza”, non è presentabile in società, secondo un’amministrazione per cui l’immagine conta, evidentemente, più di una vittoria o una sconfitta sul campo.

Un precedente pericoloso

Ci sono altri due pericoli che questa richiesta apre, soprattutto se venisse accolta. Il primo è quello di regalare una vittoria ai terroristi, non solo ora, ma anche in futuro. Con un precedente simile, gli Usa non potrebbero più rispondere efficacemente ad un eventuale futuro attacco terroristico. E, almeno in parte, lo spirito della giustizia internazionale, parte proprio dalle lezioni sbagliate apprese dopo l’11 settembre. Quante volte abbiamo sentito la richiesta di spiccare un mandato di arresto per George W. Bush?

Lo spirito con cui il procuratore Khan (ma non è il solo) si è mosso è quello di una serie di “mai più”: mai più Guantanamo, mai più rapimenti extragiudiziari, mai più torture della Cia, mai più invasioni di Afghanistan e Iraq, mai più guerra dei droni. Ma senza tutti questi metodi e strumenti, come si può combattere il terrorismo? Risposta brutta ma inevitabile: non si può. E Israele non può fare a meno di invadere la Striscia di Gaza (Rafah inclusa) se non vuole che si ripeta un altro pogrom come quello del 7 ottobre.

Chi amministra la giustizia internazionale

Il secondo grave pericolo è la domanda angosciosa: chi e con che criteri amministra la giustizia internazionale? Gli alter-mondialisti e i difensori dei dittatori criminali negli anni ’90 (allora erano soprattutto Saddam Hussein e Slobodan Milosevic) temevano che la Corte Internazionale di Giustizia si sarebbe ben presto trasformata nel braccio legale della Nato. Già il fatto che gli Usa non avessero aderito, avrebbe dovuto suggerire altrimenti, ma trent’anni fa si pensava ancora che a comandare fosse il gruppo delle democrazie liberali.

Invece sta realizzandosi il contrario. Stanno prevalendo le dittature, soprattutto grazie ai loro numerosissimi complici, consapevoli e non, che nelle nostre democrazie occupano anche posizioni apicali. Possiamo ben prevedere un futuro in cui saranno le dittature a giudicare le democrazie liberali? È possibile. Questo è solo il primo assaggio.

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