Esteri

L’eredità di Elisabetta: il Regno più decentralizzato del mondo

Rule of law, neutralità e unica monarca che abbia veramente saputo fare i conti con le aspirazioni dei popoli all’indipendenza, all’autodeterminazione e alla devolution

Elisabetta II

Molto è stato già detto e scritto sulla morte della Elisabetta II, una figura la cui riconoscibilità ha ampiamente travalicato i confini del suo Regno. Per tutti, durante la nostra vita, lei è stata The Queen, “la Regina”, simbolo non solamente del suo Paese ma dell’istituto monarchico nella sua accezione moderna.

Quello a cui si assiste in questi giorni è un grande tributo di affetto per una figura che con dignità e con bonarietà ha accompagnato tre generazioni.

La sua scomparsa è un momento per molti versi commovente e romantico. In qualche misura ci si sente orfani dell’ultima grande figura del Novecento e viene meno un punto di riferimento che forse ci piaceva considerare al di sopra dell’umana mortalità.

Ed è certamente affettuoso, romantico e in qualche modo “fiabesco” lo spirito dei tanti ricordi della Regina che abbiamo trovato in tv, sui giornali e sui social. Di questo atteggiamento non ci si deve certo lamentare. È assolutamente comprensibile – e per molti versi è anche bello che una volta tanto ci si ritrovi in modo condiviso nel ricordare una qualche personalità istituzionale in modo scevro da veleni e faziosità.

Ruolo super partes

Sarebbe, tuttavia, abbastanza riduttivo ricondurre l’eredità storica di Elisabetta II ad una generica esperienza collettiva “feel-good”, ad una generica atmosfera da film disneyano.

Ha senso, invece, anche provare a riflettere su quello che la Regina ha rappresentato sul piano politico, istituzionale e costituzionale. In questo senso, il più grande lascito di Elisabetta II è stato, probabilmente, il suo puntiglioso rispetto del ruolo super partes delle istituzioni, sempre assolutamente neutrale rispetto alle tradizionali contrapposizioni politiche e partitiche.

È questo coerente modo di operare che sta alla base del consenso largo e condiviso che in Gran Bretagna sembra ancora possibile guadagnare ai simboli nazionali.

Se in un Paese come il nostro ogni simbolo istituzionale è eternamente divisivo ed ogni “festa nazionale” è festa di una parte del Paese contro l’altra, nel mondo anglosassone la monarchia è, fortunatamente, un “patrimonio” che appartiene a tutti quanto la lingua inglese, Shakespeare o il gioco del calcio.

Limitazione del potere politico

Il ruolo che la Corona britannica ha saputo interpretare è, peraltro, perfettamente coerente con un importante principio liberale, quello della limitazione del potere politico.

In una democrazia liberale nessuna parte politica dovrebbe occupare tutte le istituzioni e conquistare tutto il potere. Attraverso le elezioni si può arrivare a formare il governo, ma non si deve conseguire il diritto di controllare ed incarnare lo Stato rendendolo strumento di una sola parte.

Prima ancora del governo degli uomini deve esistere un “rule of law”, formato da una serie di meccanismi e di pratiche che garantisca la neutralità delle istituzioni e inibisca un uso arbitrario del potere.

Questo “rule of law” può essere assicurato attraverso strumenti diversi a seconda dei diversi assetti istituzionali. Nel Regno Unito è garantito anche attraverso l’istituzione della monarchia che, lungi dall’essere un orpello ed un retaggio del passato, rappresenta un pilastro fondamentale dell’equilibrio costituzionale.

Peraltro, se la nostra Repubblica ci ha abituati, specie negli ultimi trent’anni, alla continua generazione di soluzioni ad hoc, in nome di una logica eternamente “emergenziale” che consente ogni volta di piegare le regole alla convenienza del momento, la visione monarchica è una visione consuetudinaria.

Si fa come si è sempre fatto – e l’attenersi ad un solco ben definito rappresenta un argine importante alla discrezionalità del potere

Da questo punto di vista, per quanto Elisabetta II abbia contributo ad innovare ed ad adeguare ai tempi l’immagine pubblica della monarchia, si è sempre guardata bene dall’intraprendere o dall’avallare percorsi politici ed istituzionali “irrituali”.

Indipendenza e devolution

La neutralità della Sovrana si è, peraltro, estesa non solamente alle polarità classiche del dibattito politico interno, ma anche alle tematiche legate all’indipendenza, all’autodeterminazione e alla devolution.

Di fatto la monarchia britannica è l’unica che abbia veramente saputo fare i conti con questo tipo di questioni politiche, dall’era della decolonizzazione fino al recente referendum per l’indipendenza scozzese.

E non è un caso che il Regno di Elisabetta sia stato il più decentralizzato del mondo, essendo formato da 15 stati indipendenti. Ce ne sarebbe persino uno in più se il referendum del 2014 – che non era, si badi bene, un referendum sulla Repubblica – avesse fatto rinascere il Regno di Scozia.

Intendiamoci, tutto quello che Elisabetta II ha fatto era “dovuto” e parte del ruolo; ha fatto, in altre parole, “il suo lavoro”. Ma le istituzioni stanno in piedi e operano anche attraverso le persone che le rappresentano e quindi ha più che senso rendere omaggio non solo alla Corona – intesa come principio astratto di governo costituzionale – ma anche alla donna che l’ha indossata e che si è dimostrata assolutamente all’altezza dell’importante compito.

E adesso “God Save the King”. E lo assista nella responsabilità di dare continuità alla vera e grande eredità dell’”era elisabettiana”.

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