L’importanza dell’Australia per contenere l’espansionismo di Pechino

Il nuovo premier laburista Anthony Albanese più attento a non compromettere i rapporti con il Dragone. Il tema al centro dei colloqui del formato “Quad”

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Quando si parla della strategia occidentale per contenere l’espansionismo cinese nel Pacifico è indispensabile menzionare l’Australia. Si tratta di un continente-isola che, grazie alle dimensioni e alla collocazione geografica, gioca un ruolo cruciale in uno scacchiere tra i più turbolenti al mondo.

La rete di alleanze

Si tratta di un Paese di circa 7,5 chilometri quadrati popolato da poco più di 26 milioni di persone. Fa parte del Commonwealth e delle principali alleanze militari occidentali, nonché dell’alleanza di sorveglianza elettronica e di intelligence “Five eyes”. Quest’ultima include tutte le nazioni anglosassoni: Usa, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e la stessa Australia. Altrettanto importante è la partecipazione di Canberra al “Quad”, il “Dialogo quadrilaterale di sicurezza” (Quadrilateral Security Dialogue), che registra la presenza di Stati Uniti, Giappone e Federazione Indiana. Anche in questo caso l’intento principale è il contenimento della Cina comunista.

Già oggetto di desiderio dell’impero giapponese nel secondo conflitto mondiale, il Paese dei canguri è sempre stato una colonna portante degli interessi e dei valori occidentali nell’Indo-Pacifico, anche dopo il suo distacco formale dal Regno Unito di cui fu prima colonia e poi Dominion per molti decenni.

I rapporti con Pechino

Significa, tutto questo, che l’Occidente può dormire sonni tranquilli continuando a confidare sul supporto australiano nell’area? In realtà la situazione è un po’ più complicata. Com’è accaduto in molti altri casi grazie alla globalizzazione, l’Australia ha intensi rapporti economici con Pechino, che è il primo partner commerciale di Canberra, con un giro d’affari che supera i 300 miliardi annui di dollari australiani.

Mentre i precedenti governi conservatori avevano privilegiato l’alleanza militare con le nazioni occidentali, il nuovo premier laburista (di origine italiana) Anthony Albanese sembra più sensibile agli aspetti commerciali, e quindi più attento a non compromettere i rapporti con il Dragone.

Non solo. Nella ex colonia britannica vive una foltissima comunità di origine cinese: un milione e mezzo di persone, il che significa il 5,5 per cento della popolazione. Ovviamente si teme che, con tali numeri, molti sino-australiani possano, in caso di tensioni, sentire il richiamo della madre patria.

E non basta ancora. L’Australia, pur non riconoscendo formalmente Taiwan, ha sempre intrattenuto con l’isola che Pechino vuole annettere rapporti ottimi. Fornisce infatti a Taipei oltre l’80 per cento del suo fabbisogno energetico. Fatto assai importante giacché Taiwan non dispone di fonti energetiche proprie. Inutile dire che tale situazione è molto sgradita a Xi Jinping e al suo gruppo dirigente.

A tutto ciò si aggiunge un’intensa presenza di studenti cinesi negli atenei australiani, mentre cresce l’emigrazione di cittadini della Repubblica Popolare verso l’Australia.

Anche di questo ha parlato Joe Biden nella recente riunione del “Quad” tenutasi negli Usa, con la partecipazione dell’indiano Narendra Modi, del giapponese Fumio Kishida e dello stesso Anthony Albanese. Tuttavia, visto il caos politico americano e le imminenti elezioni presidenziali, è lecito dubitare che Biden abbia ottenuto dal premier laburista australiano rassicurazioni precise.

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