Esteri

L’incriminazione di Hunter cucita su misura per coprire Joe Biden

L’evasione fiscale contestata riguarda affari con soggetti di regimi corrotti e antiamericani da cui la famiglia Biden ha ricavato milioni di dollari, ma il presidente nemmeno citato

Hunter Biden Hunter Biden

La Camera Usa ha formalmente approvato l’inchiesta di impeachment del presidente Joe Biden, avviata ormai da settimane su iniziativa dell’ex Speaker Kevin McCarthy. Compatti i due schieramenti, con i 221 Repubblicani che hanno votato a favore e i 212 Democratici contro. Sia i Democratici che i Repubblicani hanno avviato indagini di impeachment senza un voto formale. Ricordiamo infatti il precedente dell’inchiesta contro Donald Trump avviata dalla Speaker Dem Nancy Pelosi per la telefonata con il presidente ucraino Zelensky.

Ma chiaramente l’approvazione dell’aula conferisce maggiore legittimazione all’inchiesta, dato che la Costituzione Usa attribuisce il potere di impeachment all’intera Camera e non allo Speaker. Ora uffici governativi e testimoni avranno più difficoltà a sottrarsi e a non rispondere alle domande. Poi, quando l’inchiesta sarà conclusa, la Camera dovrà votare l’impeachment, la vera e propria messa in stato di accusa del presidente, ma i Repubblicani non hanno i numeri.

Hunter sfida la Camera

Nel frattempo, a dare spettacolo fuori dal Campidoglio di Washington il figlio del presidente, Hunter Biden, i cui opachi affari con soci stranieri hanno coinvolto tutta la famiglia presidenziale, compreso il padre Joe, e sono ovviamente al centro dell’inchiesta: 24 milioni di dollari che la famiglia Biden ha ricevuto in un periodo di cinque anni da soggetti di regimi corrotti e antiamericani, commercializzando il “brand Biden”.

Mercoledì Hunter si è rifiutato di rispondere alla convocazione per una deposizione a porte chiuse davanti alle Commissioni Vigilanza e Giustizia della Camera, convocando invece i giornalisti per una conferenza stampa. Non una semplice audizione, ma una citazione a comparire legalmente vincolante. In altre parole, il testimone citato è obbligato a presentarsi e se rifiuta rischia l’accusa di oltraggio, in questo caso non ad una corte ma alla Camera.

Ciò non significa che i testimoni citati debbano rispondere a tutte le domande. Se in quel momento godono di un privilegio legale di riservatezza, allora possono rifiutarsi. Siccome il figlio del presidente è sotto processo e quindi ha un privilegio basato nel Quinto Emendamento, avrebbe potuto rifiutarsi di rispondere alle domande, ma era comunque tenuto a presentarsi.

Ora che la Camera ha formalmente approvato l’inchiesta di impeachment, cade l’argomentazione secondo cui non era obbligato a presentarsi perché non era stata ancora votata dall’intera Camera e un nuovo mandato di comparizione avrebbe maggiore forza. Convocandolo prima del voto formale sull’inchiesta di impeachment, i Repubblicani hanno quindi regalato a Hunter un pretesto per sottrarsi.

I testimoni del 6 Gennaio

Ai giornalisti Hunter Biden ha spiegato di essere disponibile a testimoniare, ma in udienza pubblica e aperta. Anche se potrebbe sempre rifiutarsi di rispondere invocando il Quinto Emendamento. Va sottolineato però che i Democratici non hanno mai concesso udienze pubbliche durante le inchieste per l’impeachment di Trump o sull’assalto al Congresso del 6 Gennaio.

In particolare, i testimoni di Trump hanno sempre onorato i mandati di comparizione per testimonianze a porte chiuse davanti alla Commissione 6 Gennaio, invocando il Quinto Emendamento per non rispondere ad alcune domande. Poi però la Commissione ha fatto taglia e cuci delle loro testimonianze per le sue udienze trasmesse dalle tv nazionali, alcune in prima serata, suggerendo scorrettamente al pubblico che rifiutarsi di rispondere in base al Quinto Emendamento fosse un’ammissione di colpevolezza, quando si tratta invece del principio secondo cui spetta all’accusa l’onere di provare la colpevolezza, senza l’aiuto dell’imputato.

Quindi probabilmente ora i Repubblicani si accontenterebbero anche di costringere Hunter Biden a ripetere più volte di non voler rispondere.

La seconda incriminazione

La settimana scorsa il figlio del presidente è stato raggiunto da un’altra incriminazione (stavolta in California) per evasione fiscale: nove capi d’imputazione per non aver pagato 1,4 milioni di dollari di tasse dal 2016 al 2020. Hunter rischia una pena massima di 17 anni. Ma come con la prima incriminazione per il porto d’armi, il procuratore speciale David Weiss punta sull’evasione fiscale e non sui reati che coinvolgerebbero direttamente il presidente Biden per gli affari del figlio. Anche questa incriminazione, come la precedente, va letta nell’ottica della riduzione del danno.

Nell’atto di accusa Weiss è severo nel descrivere lo stile di vita sgradevole del “giovane” Biden, la sua disonestà, la sua volontà di evadere le tasse su milioni di dollari e di spenderli in escort, droga e beni di lusso. Ma è lo stesso procuratore che solo quattro mesi prima aveva cercato di seppellire la stessa causa contro lo stesso Hunter Biden, offrendogli un patteggiamento per due reati minori così generoso e fuori dall’ordinario che i suoi collaboratori non sono riusciti a giustificarlo davanti ad un giudice.

Come ha commentato il professore di legge Jonathan Turley sul New York Post, “i passi compiuti da Hunter per evadere le tasse sono impressionanti, ma non altrettanto impressionanti quanto gli sforzi del Dipartimento di Giustizia per eludere qualsiasi implicazione diretta per suo padre, il presidente Biden”.

Omissioni per proteggere Joe

Il Dipartimento di Giustizia di Biden ha cercato in ogni modo di seppellire questo caso. Ma una volta saltato il patteggiamento, una volta divenute pubbliche le testimonianze degli informatori dell’IRS, e dopo che le Commissioni Vigilanza e Giustizia della Camera hanno mostrato le prove degli sbalorditivi trasferimenti di milioni di dollari da soggetti stranieri ai Biden, l’incriminazione del figlio del presidente per reati fiscali era inevitabile.

E ovviamente non piacevole per la Casa Bianca. Ma non contestando a Hunter il traffico di influenza, né corruzione o riciclaggio di denaro, né la mancata registrazione come agente straniero, in violazione della legge, di fatto il procuratore speciale Weiss sta continuando a coprire il presidente, in una operazione di demolizione controllata.

L’atto di accusa infatti mantiene tutta l’attenzione sulle tasse non pagate, trascurando il come quel denaro è stato “guadagnato”. Concentrandosi esclusivamente sull’evasione fiscale, Weiss evita ancora una volta qualsiasi riferimento diretto all’oggetto del traffico di influenza utilizzato per raccogliere questi milioni di dollari, ovvero il “brand Biden”.

Nell’atto di incriminazione sono riportati per filo e per segno i trasferimenti di denaro portati alla luce dalle stesse commissioni della Camera che indagano sull’impeachment, eppure l’accusa riesce a non citare nemmeno il presidente Joe Biden, al quale sono finiti parte di quei fondi e che ha più volte incontrato i soci stranieri del figlio dai cui quei fondi sono arrivati. Sappiamo da vari resoconti di testimoni e documenti che il presidente, all’epoca vicepresidente o candidato, è ovunque – come è ovvio, dato che era sulla sua influenza politica che Hunter stava guadagnando.

Weiss, ad esempio, osserva che la compagnia energetica ucraina Burisma ha accettato nel 2014 di pagare al figlio dell’allora vicepresidente un milione di dollari l’anno. Ma poi ricorda impassibile che, nel marzo 2017, “Burisma ha ridotto il compenso a 500.000 dollari l’anno”. Forse perché da gennaio 2017 – che coincidenza! – Joe Biden non era più vicepresidente, e quindi Hunter non più così prezioso per Burisma, il cui capo, Mykola Zlochevsky, disse a un informatore dell’FBI di aver inserito Hunter nel consiglio di amministrazione di Burisma solo per ingraziarsi il padre Joe e di aver pagato 10 milioni di dollari di tangenti (5 ciascuno a Joe e Hunter) per fermare l’indagine del procuratore generale di Kiev Viktor Shokin, fatto rimuovere dall’allora vicepresidente Biden.

L’accusa dettaglia anche i 5 milioni di dollari arrivati dai soci cinesi di Hunter alla Hudson West III, in parte girati alla Owasco PC, dal cui conto sono partiti poi i pagamenti a Joe Biden nello stesso periodo. In totale, la Hudson ha effettuato 7 trasferimenti a Owasco nel 2017, per un totale di circa 1,445 milioni di dollari, e altri 15 nel 2018, per un totale di circa 2,1 milioni.

Ci sono dunque evidenti omissioni nell’accusa a Hunter Biden che tendono a coprire pagamenti critici e condotte che coinvolgono direttamente il presidente. Anche perché nella lunga “indagine” su Hunter il procuratore Weiss ha “inspiegabilmente” fatto scadere il termine di prescrizione sui pagamenti più controversi di Burisma.

L’indagine su quei precedenti pagamenti ucraini avrebbe aperto interrogativi sul traffico di influenza di Hunter ed evidenziato il conflitto di interessi nella straordinaria mossa di suo padre di costringere Kiev a licenziare il procuratore generale che indagava su Burisma.

Indagini sabotate

Non una casualità. Su Atlantico Quotidiano abbiamo già riportato come ogni via investigativa che portava al presidente fosse stata bloccata e sabotata dallo stesso Weiss e dal Dipartimento di Giustizia. Lo hanno ricostruito nelle loro testimonianze giurate al Congresso gli investigatori dell’IRS Joseph Ziegler e Gary Shapley, a cui di fatto è stato impedito di indagare.

Alcuni esempi? Il documento FD 1023 dell’FBI che raccoglieva le dichiarazioni di una fonte altamente affidabile secondo cui Joe sarebbe stato corrotto per 5 milioni di dollari dall’Ucraina è stato tenuto nascosto agli investigatori dell’IRS; agli investigatori è stato rifiutato l’accesso al laptop di Hunter in mano all’FBI; i mandati di perquisizione della proprietà di Joe nel Delaware sono stati respinti e la imminente perquisizione del magazzino di Hunter è stata fatta trapelare ai suoi avvocati; non ammesse domande su “The Big Guy” o interrogatori dei membri della famiglia Biden.

Casa Bianca in difficoltà

Certo, anche senza menzionarlo, le implicazioni dell’incriminazione di Hunter sono devastanti per la narrazione e le smentite di Joe Biden. Falso che il presidente non fosse a conoscenza degli affari del figlio e non avesse avuto interazioni con i suoi soci, come ha continuato a sostenere. Il presidente ha inoltre affermato che suo figlio “non ha mai fatto nulla di male” e non ha mai accettato denaro dalla Cina. Falso anche questo, ora anche secondo il Dipartimento di Giustizia.

Eppure, il procuratore Weiss continua a evitare di chiamare in causa la persona che è stata la leva del traffico di influenze. Come ha efficacemente osservato Turley, “è come arrestare un rapinatore di banche che si è allontanato dalla scena del crimine senza contestargli il motivo della sua fuga. In uno scandalo con dozzine di riferimenti ai presidenti e milioni inviati per ottenere influenza, ci è voluta una mano ferma da parte di Weiss per evitare di toccare il presidente Biden”.