Esteri

L’intellettuale J.D. Vance, in America si fa strada il post-liberalismo

Nella visione del vice scelto da Trump, la libertà individuale deve risultare in equilibrio con la comunità. Contano le relazioni, non l’individuo isolato

Vance convention (Nbc)

Quando Donald Trump ha indicato James David Vance come candidato alla vice-presidenza nel ticket repubblicano i mass media Usa hanno manifestato una certa sorpresa. Questo perché il giovane senatore dell’Ohio si può a buon diritto definire un “intellettuale”, categoria di cui i progressisti liberal americani ritengono di avere il monopolio (un po’ come accade in Italia, dove la possibilità che esistano intellettuali di destra e conservatori viene negata senza mezzi termini).

Eppure Vance, che proviene da una famiglia umile, e che è certamente di desta e conservatore, è anche scrittore di successo nonché buon conoscitore della filosofia occidentale, e in particolare della filosofia politica.

Appartiene a una corrente che si definisce “post-liberale”, anche se pochi conoscono il significato di tale espressione. In estrema sintesi, i post-liberali ritengono che il liberalismo classico, e la sua variante liberista, abbia fatto il suo tempo, e che non possa essere “riformata”, quanto piuttosto sostituita da una nuova visione della politica, della società e dei rapporti umani.

Vance si è formato sui testi di René Girard, filosofo, antropologo e critico letterario francese deceduto nel 2015 e che fu docente di “Letteratura comparata” nell’ateneo Usa di Stanford. Girard era cattolico, e questo fatto è importante per comprendere perché Vance si è convertito al cattolicesimo.

Si noti innanzitutto che il candidato alla vice-presidenza rifiuta, come tutti i post-liberali, l’individualismo – spesso estremo – sul quale il liberalismo classico è fondato. Ciò che conta non è tanto l’individuo isolato, ma le relazioni che gli individui intrattengono tra loro. Da questo punto di vista svolge un ruolo essenziale la solidarietà sociale. La libertà individuale deve risultare in equilibrio con la comunità, e l’interdipendenza tra gli esseri umani avvicina per certi versi il post-liberalismo al comunitarismo.

Anche i rapporti tra Stato e mercato devono essere più equilibrati di quanto non siano nella visione liberale classica, nel senso che il mercato non possiede un’indipendenza assoluta e, in certe occasioni, spetta allo Stato intervenire per correggere eventuali storture. Dal che si deduce un rapporto meno conflittuale con le tradizionali tesi della socialdemocrazia.

Vance è infine contrario alla “esportazione della democrazia”, ritenendo che l’America debba curare i propri problemi interni invece di imporre un modello preconfezionato ad altre nazioni. Essenziale è, a suo avviso, ricostruire il tessuto industriale e manifatturiero degli Stati Uniti, che è stato devastato dalle delocalizzazioni e dalla globalizzazione di marca cinese.

Non si sa fino a che punto Donald Trump, uomo notoriamente pragmatico, condivida le tesi post-liberali del suo vice in pectore. Ma se l’ha scelto vi saranno certamente dei motivi. Potremmo insomma vederne delle belle se il ticket repubblicano vincerà.

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